20 Feb Extra-utili nella Sc a base ristretta e doppio binario penale-tributario
Con l’ordinanza della Corte suprema n. 29345 del 23 dicembre 2020 sono stati confermati due importanti principi giurisprudenziali, vale a dire:
– la possibilità di imputare gli utili extra-contabili ai soci di società di capitali a ristretta base azionaria
– l’indipendenza del contenzioso tributario dall’eventuale procedimento penale (“doppio binario” penale-tributario).
Imputazione degli utili extra-contabili
La presunzione di distribuzione degli utili extra-contabili, nel caso di società di capitali a ristretta base societaria, è di matrice unicamente giurisprudenziale.
Ciò in quanto, mentre nelle società di persone si ha l’applicazione del principio di “trasparenza” previsto dall’articolo 5 del Tuir, ciò non accade nelle società di capitali (escludendo lo speciale regime di cui agli articoli 115 e 116 del Tuir che non rileva ai nostri fini).
Per poter effettuare la tassazione dei redditi in capo ai soci, infatti, è generalmente necessaria un’apposita delibera.
Peraltro, nel caso degli utili extra-contabili accertati in capo alla società di capitali, non può aversi, per definizione, una delibera di distribuzione.
La Corte di cassazione ha, quindi, fissato il principio di cui si parla, il quale stabilisce che “in caso di società a ristretta base partecipativa, per questa Corte è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati”.
L’ordinanza in esame, peraltro, risulta l’ultima di una lunga serie di altre pronunce dei giudici di legittimità, che hanno sempre confermato tale orientamento, dettando anche specifici principi (tra le varie: sentenza 26949/2020 e ordinanze 28562/2020, 27445/2020, 26945/2020, 26317/2020, 24742/2020, 24599/2020, 21126/2020, 19794/2020, 3980/2020).
Le pronunce citate, quindi, oltre ad aver più volte convalidato il principio espresso, da ultimo, dall’ordinanza 29345/2020, hanno anche fissato criteri applicativi relativi a casi e aspetti particolari.
È stato, quindi, stabilito che non vi è contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado “in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza dell’assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e reciproco controllo dei soci nella gestione sociale” (fra le varie, ordinanza 19794/2020).
È comunque previsto che il contribuente possa evitare l’applicazione della presunzione di distribuzione, che si applica nello stesso periodo d’imposta di conseguimento degli utili, provando che gli utili medesimi sono stati reinvestiti dalla società o accantonati.
La presunzione può inoltre essere vinta dimostrando la propria estraneità alla gestione sociale, per cui “il socio deve fornire la prova di avere ricoperto un ruolo meramente formale di semplice intestatario delle quote sociali, senza avere concretamente svolto alcuna della attività di gestione e controllo riservate dalla legge (e dallo statuto) al socio della società a responsabilità limitata” (fra le varie, ordinanza n. 27445/2020).
Non è invece sufficiente la circostanza che l’esercizio sociale si sia concluso con delle perdite né che sia stato instaurato un processo penale solo a carico dell’amministratore.
Particolarmente importante è, poi, il principio in base al quale si può avere la “ristretta base societaria” fino a sei soci, anche se il numero è puramente indicativo.
È, inoltre, da tenere presente che tra i procedimenti relativi all’accertamento nei confronti della società e quelli nei confronti dei soci, non sussiste una ipotesi di litisconsorzio necessario, previsto invece nel caso di società di persone.
Ulteriore (importante) principio stabilito dalla Corte suprema è quello in base al quale è ammissibile una motivazione per relationem all’accertamento nei confronti della società, per cui “una volta divenuti destinatari di accertamenti emessi nei loro confronti quali soci della società anzidetta, non possono dolersi della circostanza che l’accertamento emesso nei confronti della società sia divenuto definitivo e non possono riproporre doglianze riferibili all’accertamento emesso nei confronti di quest’ultima ed ormai divenuto definitivo” (fra le varie, ordinanza n. 3980/2020).
Doppio binario
Ulteriore principio, confermato con la pronuncia in esame, è quello in base al quale “in materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali”.
Anche quest’orientamento giurisprudenziale, come il precedente, risulta fortemente consolidato.
Di conseguenza, anche in questo caso, vi sono numerose pronunce che hanno sempre confermato il principio generale, dettando, nel contempo ulteriori criteri per specifiche situazioni (tra le varie: ordinanze nn. 21126/2020, 25070/2020, 19931/2020, 19794/2020, 17059/2020, 17000/2020, 16653/2020, 16650/2020, 16649/2020, 10145/2020).
È stato, quindi, evidenziato, dai giudici di piazza Cavour, che nel processo tributario vigono limiti alle prove ammissibili, come il divieto di prova testimoniale ex articolo 7, comma 4 del Dlgs n. 546/1992, mentre sono utilizzabili anche presunzioni semplici.
Di contro, nel procedimento penale, le presunzioni non sono applicabili.
Inoltre, è stato stabilito che qualunque tipologia di pronuncia penale non si riverbera automaticamente nella controversia tributaria, compresa l’assoluzione con formula piena e l’archiviazione per infondatezza della notizia di reato ex articolo 408 del codice di procedura penale.
In ogni caso, il giudice tributario, anche se “non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, recependone acriticamente le conclusioni assolutorie […] deve procedere ad un suo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli elementi di prova acquisiti al giudizio” (tra le varie ordinanza n. 25070/2020).
In generale, quindi, qualunque sentenza penale, sia di assoluzione che di condanna, deve essere valutata dal giudice insieme alle altre risultanze istruttorie.
In applicazione del principio del libero apprezzamento del giudice, è stato sancito, di conseguenza, che non è censurabile la decisione della Commissione tributaria “di non attribuire nessuna rilevanza determinante alle dichiarazioni testimoniali assunte nell’ambito del procedimento penale […] posto che il giudice, nel suo libero convincimento, ha ritenuto che il contenuto delle dichiarazioni rese e acquisite agli atti del giudizio non fosse idoneo a sovvertire il quadro indiziario acquisito” (tra le varie, ordinanza n. 17000/2020).
Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale