27 Feb Gianni Marongiu: l’etica del tributo e il rispetto del contribuente
Nella notte tra domenica 14 e lunedì 15 febbraio ci ha lasciato Gianni Marongiu. Non solo era professore ordinario di diritto tributario, docente presso le Università di Trieste, Genova e Milano Bocconi, esponente di quella scuola genovese cui tanto deve il diritto tributario italiano (basti pensare alla rivista “Diritto e pratica tributaria”), ma era anche maestro di assoluta originalità, di straordinario fascino oratorio e comunicativo, di impegno civile per tradurre la sua cultura in progresso per il nostro Paese.
Si percepiva in lui l’esigenza morale del suo concittadino, Giuseppe Mazzini, uomo che non si rassegnava alla decadenza servile della sua patria. Sentivi che la cultura diventava strumento per una missione da compiere; avvertivi l’importanza, nella sua ispirazione, di uomini come Vanoni, che, partendo dalla cultura del tributo, aveva tracciato una strada innovativa, l’aveva approfondita scientificamente e poi attuata concretamente in anni di difficoltà estrema, lasciandola peraltro incompiuta e affidandola alla cura di chi sentiva la stessa urgenza morale.
Gli studi giuridici di Marongiu si sono prevalentemente riferiti agli aspetti fondativi dei grandi principi e il suo metodo si avvaleva di un imprescindibile inquadramento storico.
La prima monografia non a caso riguarda “I fondamenti costituzionali dell’imposizione tributaria. Profili Storici e Giuridici”.
Storia e giustizia sono intrecciate con il grande tema della sua vita: la crescita democratica attraverso la crescita della democrazia del tributo.
Meglio: il tributo, la dignità del tributo, come aspetto nodale della crescita democratica.
Di più … (della crescita democratica) del proprio Paese, della Comunità in cui la Storia ci ha dato l’avventura misteriosa della vita, rendendoci responsabili della sua crescita.
L’articolo 23 della Costituzione. significava “coralità” nell’assunzione di “prestazioni imposte” per la crescita del Paese, significava “consenso” e dunque rispetto della persona.
L’articolo 53 della Costituzione, nella spiegazione del Vanoni (cui il prof. Marongiu dedicò la monografia “Ezio Vanoni Ministro delle Finanze” del 2016) era “pietra d’angolo” delle nuove istituzioni democratiche, passando dallo Stato etico alla Repubblica personalistica.
Significava che il tributo non era l’imposizione di un potere su un “soggetto passivo”, bensì “concorso”, “contribuzione” del cittadino, “sinergia” di persone responsabili del bene comune, “in ragione” delle loro “capacità”, per un fine di interesse pubblico (le “spese pubbliche”).
Non una concezione incentrata sullo Stato che può o meno “mettere le mani nelle tasche degli italiani” ma, invertendo la prospettiva, incentrata sulla persona che si prende doverosamente cura della sua Comunità (economica, sociale, politica).
Un passaggio, dunque, epocale, un cambio radicale di cultura, di valori, di modo di essere all’interno della Comunità.
Passaggio prezioso in termini democratici, perché basato sulla cellula della democrazia che è la persona; passaggio da tutelare e da vivere.
E il professor Marongiu non solo lo studiò (come uno dei temi prediletti) e lo difese culturalmente, ma anche lo visse, perché fu la scuola di Genova (e furono in particolare i giovani avvocati e professori Gianni Marongiu ed Emanuele Granelli) che si batterono per riportare alla logica originaria l’imposta locale sui redditi, che, nata per discriminare i “redditi fondati” dai redditi “non fondati”, era finita per creare una “discriminazione tra redditi di lavoro autonomo, soggetti a quell’imposta, e redditi di lavoro dipendente, da essa esclusi”, con il paradossale effetto diseducativo di presumere una evasione del settore del lavoro autonomo, che, da un lato, per ciò stesso la legittimava e, dall’altro, comportava maggior aggravio per il contribuente onesto (Marongiu, L’imposta locale sui redditi). Ma con l’effetto ancora peggiore di gettare un’ombra sulla “iniquità del nuovo sistema” appena riformato (Marongiu, Le imposte della riforma). E la Corte costituzionale, con la sentenza n. 42/1980 accolse le numerose istanze di rinvio, annullando l’Ilor laddove non escludeva i redditi di lavoro autonomo non assimilabili ai redditi di impresa. Una delle sentenze dell’“età dell’oro” – disse Marongiu – del principio di capacità contributiva.
Ma venne anche l’età della cosiddetta “crisi” di tale principio; venne il periodo in cui la Corte dimenticò cosa esso significasse in termini di dignità della persona rispetto al Potere, di “limiti entro i quali la potestà di imposizione può legittimamente esplicarsi” (Crisafulli), cioè delle ragioni stesse della sua previsione nella Carta fondamentale.
Ebbene, il professor Marongiu non volse la sua cultura e la sua capacità di analisi solo alla critica, a una lamentela non costruttiva.
Dimostrando anche qui cosa significhi essere culturalmente intriso di storia, come la storia spieghi che esistono corsi e ricorsi, in una Relazione tenuta a Castellanza il 14 ottobre 1999, svolse una meticolosa indagine delle numerose sentenze dell’ultimo decennio della Corte costituzionale, dimostrando come non fosse stata del tutto recisa la continuità con l’insegnamento della Corte per cui il precetto enunciato nell’articolo 53 “sul piano garantistico costituzionale deve essere inteso come espressione della esigenza che ogni prelievo tributario abbia causa giustificatrice in indici concretamente rivelatori di ricchezza” (Marongiu, La crisi del principio di capacità contributiva), e come alcune pronunce fossero frutto del carattere straordinario dell’imposta, che rendeva “di per sé discutibile il confronto con la disciplina applicabile alle imposte ordinarie” (sentenza n. 251/1996).
Come dire: Marongiu visse come studioso e professionista la “pietra d’angolo” della capacità contributiva come principio di giustizia tributaria, e altresì la difese nel tempo della “crisi”, della perdita di memoria storica.
Ma lo studio dell’articolo 53 nella sua multiforme base valoriale indicata da Vanoni, esprime non solo il dovere del contribuente, ma anche il dovere dello Stato. Non solo l’etica del contribuente, ma anche l’etica dello Stato. Anzi quanto più è richiesta responsabilità al contribuente, tanto più lo Stato deve avere cura del contribuente.
Non a caso si parla nell’articolo 53 di “spese pubbliche”: sono indicative del bene comune anche dal lato dell’uso delle risorse che procedono dal tributo.
Se il dovere tributario è nell’articolo 53 espressione della persona responsabile, la persona è titolare non solo di doveri ma anche di diritti, come scolpisce l’articolo 2 della Costituzione.
Di più: in tanto è possibile l’esplicazione dei doveri, in quanto si garantisca la persona nella sua dignità e nei suoi diritti.
Ecco allora che Marongiu (sulla scia di Vanoni) segnala come il primo passo spettasse allo Stato, dimostrando “che i suoi Poteri, a tutti i livelli (legislativo, amministrativo e giudiziario) hanno una giustificazione unica: l’etica del comportamento e la finalità di giustizia”, mentre “l’esercizio del Potere per il Potere (e non del potere per la Giustizia) rompe il sinallagma tra doveri e diritti sancito dall’art. 2 della Costituzione” (Marongiu,. La concezione etica del tributo)
Dalla stessa etica del tributo, nasce l’etica del rispetto del contribuente (il valore costituzionale della dignità della persona) e, in questo quadro, la certezza del diritto, la conoscibilità del dovere, la sua prevedibilità, i principi riportati a sistema, la coerenza dell’ordinamento, l’affidamento e la collaborazione nel rapporto tra amministrazione e contribuente.
Tutto ciò richiedeva come passaggio primo la codificazione dei Principi.
Non era solo un problema di alluvionalità, di instabilità e di mancanza di sistema. Erano in gioco la certezza del diritto, e, ancor prima, la divisione dei poteri.
Partendo dall’insegnamento vanoniano e in armonia con la scuola di Genova, Marongiu si fece operatore culturale e operatore politico, per lo Stato di siritto e per i diritti del contribuente nel vissuto tributario.
Il suo intervento fu a tutto campo, segnalandoci:
- abuso dei decreti legge, magari poi convertiti con voti di fiducia
- sviamento delle leggi interpretative, utilizzate per far prevalere la tesi dell’amministrazione
- predominio dell’amministrazione che non solo applica (come è suo dovere) le leggi, ma di fatto le crea, le modifica e le interpreta
- Parlamento che abdica ai suoi doveri, vedendo nella problematica tributaria solo il tema dell’evasione e non quello dei diritti.
Nella sua indagine, sempre concreta, individua un difetto di fondo, per così dire strutturale, nell’unificazione dei tre tradizionali ministeri economici nell’unico Ministero dell’Economia e delle Finanze: “L’unificazione ha comportato che il tre volte ministro, assorbito dai rilevantissimi temi di macroeconomia (euro, disoccupazione, inflazione, spread ecc.), ha trascurato la guida del fisco che è stata così affidata alle pur capaci mani della burocrazia.
Il tutto rapportato a un ritorno (ecco i corsi e ricorsi storici), a una situazione di sudditanza, in cui un soggetto di fatto prevale, rendendo “passivo” non solo il contribuente ma anche il Parlamento.
L’etica civile di Gianni Marongiu, la coscienza che la sua cultura doveva tradursi in opera politica, lo hanno condotto all’impegno parlamentare (diventando altresì sottosegretario alle Finanze) nella XIII legislatura, nella quale concorse, in modo decisivo, alla definitiva stesura dell’attuale Statuto dei “diritti” del contribuente.
Si dava così attuazione alle premesse costituzionali, per cui il contribuente, soggetto di doveri ex articolo 53 della Costituzione, è per ciò stesso (e anche in attuazione dell’articolo 2), soggetto di diritti di fronte allo Stato.
Diritti che sono applicativi di un sistema armonico di principi costituzionali e che dunque debbono guidare l’interpretazione delle leggi. Diritti che riguardano sia il modo di fare le leggi, sia il modo di applicare i tributi.
Con un valore di fondo: doveri e diritti sono emanazione della “pietra d’angolo” costituzionale che è la persona, doveri e diritti sono l’anima della istituzione democratica.
Lo Statuto dei diritti è stato un passaggio storico nella democrazia del tributo e la Relazione illustrativa, scritta dal professor Marongiu e presentata alla Camera il 24 aprile 1998, costituisce un affresco delle regole tributarie di uno “Stato di Diritto” in materia tributaria, da porre in continuità con la Relazione vanoniana della commissione Economica presentata all’assemblea Costituente.
Ma lo Statuto dei diritti del contribuente era concepito solo “come tappa verso la codificazione dei principi generali secondo le indicazioni costituzionali”. “Altra e ancora più ambiziosa deve essere la meta”, leggiamo nella citata Relazione.
Lo richiede il secondo comma dell’articolo 53 della Costituzione laddove esso si riferisce al “sistema”. “Sistema” richiede la codificazione della Parte generale, che è il solo modo “di rendere chiaro, semplice e razionale l’ordinamento dei tributi” (così leggiamo ancora nei passaggi finali della Relazione alla Camera).
Strada questa già indicata da Ezio Vanoni, come studioso negli anni Trenta e poi riproposta nel Rapporto che la Commissione economica presentò all’Assemblea Costituente.
La direzione è, dunque, da tempo tracciata, ma sia Vanoni, sia Marongiu, accomunati dalla cultura del tributo e dall’urgenza del dovere civico, hanno un altro aspetto in comune: non hanno potuto portare a termine il loro disegno.
Sullo slancio dello Statuto, Marongiu già aveva descritto alcune linee di completamento. E nella sua sensibilità democratica non mancava di raccomandare (direi, fino all’ultimo) “che la Camera dei Deputati e il Senato, che quotidianamente lamentano di vedere compromesso, se non svuotato, il loro ruolo, ritrovino l’orgoglio di esercitare i poteri che la Costituzione loro affida”..
Ma il Parlamento poco può fare senza l’apporto della cultura del tributo, vivificata da uno spirito di uomini critici e liberi.
Quest’opera è ora affidata alla nuova generazione degli studiosi, arricchiti da alcuni fondamentali insegnamenti del Maestro; e cioè che:
- il diritto si accentra in un “sistema” attorno a principi fondativi
- la democrazia si basa sul “concorso di tutti”, sulla partecipazione, sulla responsabilità, sui doveri, ma richiede anche il consenso e il rispetto dei diritti
- la democrazia deve essere sempre difesa e alimentata, essendo ricorrente il pericolo che la stagione dei passi avanti entri nella “crisi” della perdita di memoria storica
- non ci può essere sistema normativo senza cultura
- non ci può essere politica senza cultura storica
- ma soprattutto la democrazia richiede un ingaggio etico, il sentirsi responsabili nella Comunità.
Questo, Gianni Marongiu ha testimoniato, aggiungendo altresì che le difficoltà della situazione storica non possono costituire alibi per passività e sfiducia. Lo riconosciamo come una risorsa della nostra Repubblica, così complessa nel suo aspetto corale, così straordinaria in suoi singoli interpreti.
Il nostro amico e maestro ci ha affascinato con il suo dire, la sua cultura, il suo impegno civile; ci ha insegnato come si interpreta e vive la democrazia.
È ora giusto e dovuto che la sua fiaccola trovi menti e volontà degne della sua testimonianza.
Il che significa certo completare lo Statuto dei diritti, codificare la Parte generale dell’ordinamento tributario, dare ai contribuenti “dopo una lunghissima attesa” (Marongiu, Una lunghissima attesa: un giudice tributario professionale, in Neotera n. 1/2019, p. 9) un giudice tributario professionale e tecnicamente adeguato alla difficoltà della materia.
Ma significa ancor prima assumere una cultura di rispetto delle più alte realizzazioni della Nostra Storia, a partire dalla Costituzione repubblicana, che, in attuazione ancora del metodo storico, non deve essere interpretata alla luce di sopravvenuti approcci culturali ad essa estranei, ma nel rispetto della ispirazione ideale dei suoi Padri.
Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale