Dichiarazione dei redditi estera: non prova la doppia imposizione

Dichiarazione dei redditi estera: non prova la doppia imposizione

Secondo la Ctr Abruzzo, le prestazioni lavorative rese nell’ambito di un rapporto di lavoro, alle dipendenze di una società italiana e prevalentemente in Italia, anche se in parte relative ad alcune trasferte estere, devono essere assoggettate a imposizione nel nostro Paese. Ciò in base a una corretta applicazione della Convenzione tra Italia e Germania contro le doppie imposizioni.
Questo il contenuto della sentenza n. 71 depositata lo scorso 9 febbraio 2022.
 
I fatti in causa
La vertenza originava da un’istanza di rimborso, relativa a ritenute Irpef, che un contribuente riteneva di aver illegittimamente subito, argomentando che, nell’anno in questione, egli avesse la propria residenza fiscale in Germania, ove era stato assoggettato a tassazione il reddito ovunque prodotto nel mondo, ivi compresi i redditi da lavoro dipendente percepiti per l’attività svolta al di fuori del territorio tedesco, in conformità all’articolo 15 paragrafo 1 della Convenzione contro le doppie imposizioni.
Dunque, secondo la tesi dell’istante, sarebbe illegittimo l’ulteriore assoggettamento all’imposta sul reddito da lavoro dipendente anche in Italia per attività svolta in trasferta, al di fuori del territorio italiano, in virtù del disposto di cui agli articoli 3 e 23 Tuir, oltre alla citata norma della Convenzione.
Tra l’altro, spiegava il contribuente, il fisco tedesco aveva disconosciuto il suo credito per le imposte pagate in Italia per il reddito da lavoro dipendente prodotto nei giorni trascorsi fuori dall’Italia, tanto da avere emesso avviso di liquidazione per le maggiori imposte dovute, considerandoli redditi di fonte tedesca, con ciò ritenendo di aver fornito la prova:

  • della propria residenza fiscale all’estero
  • dell’indebito assoggettamento alla doppia imposizione, come richiesto dalla Convenzione contro le doppie imposizioni tra l’Italia e la Germania.

Il contenzioso di primo grado
A seguito del diniego dell’ufficio, il contribuente presentava ricorso avanti alla Ctp di Pescara, che, concordemente alla prospettazione erariale, rilevava che, sulla base della Convenzione menzionata, la tassazione per l’attività lavorativa del ricorrente era correttamente avvenuta in Italia, dovendosi fare riferimento alla sede del datore di lavoro, che era quella ove il lavoratore doveva, comunque, fare rientro alla fine delle trasferte. Queste ultime pertanto – riteneva la Ctp adita – se operate all’estero, non influiscono, ai fini dell’imposizione fiscale, sul luogo di prestazione dell’attività lavorativa, comunque ancorata alla sede principale, corrispondente a quella ove è situata la direzione effettiva dell’impresa da cui il lavoratore dipende e, quindi, nel caso di specie, in Italia.
Il contribuente proponeva, allora, gravame.
 
La sentenza
Nel respingere l’appello, la Ctr premette che – tenuto conto del combinato disposto di cui agli articoli 23, comma 1 Tuir e 15 della Convenzione più volte richiamata – le prestazioni lavorative rese dal contribuente nell’ambito del rapporto lavorativo in questione sono state correttamente assoggettate ad imposizione in Italia, in quanto svolte prevalentemente in Italia, alle dipendenze di datore di lavoro residente in territorio nazionale, anche se, in qualche caso, materialmente concretizzatesi in trasferte temporanee all’estero, da considerarsi, comunque, prestazioni accessorie e prive di autonomia rispetto all’unitario rapporto di lavoro con la società italiana.
Nel caso di specie, spiega il Collegio abruzzese, appare certamente carente la prova della doppia imposizione e, in particolare, la specifica attestazione dell’imposizione sui redditi per i quali è stata avanzata istanza di rimborso.
Manca, in particolare, un idoneo attestato del fisco tedesco, richiesto ex articolo 29, paragrafo 2 della Convenzione Italia-Germania contro le doppie imposizioni, che certificasse la sussistenza delle condizioni richieste per avere diritto all’applicazione delle esenzioni o riduzioni previste dalla medesima Convenzione.
Infatti, non può ritenersi a tal fine sufficiente un’attestazione, come quella prodotta dal contribuente, che appariva di non chiara provenienza e di contenuto generico, in quanto meramente indicativo di una residenza fiscale in territorio tedesco e riferito a pretesi redditi da lavoro dipendente concernenti un’annualità diversa da quella per cui era causa e, pertanto, priva dell’idoneità ad evidenziare che sui redditi da lavoro dipendente percepiti dalla società italiana nell’anno in questione vi fosse stata imposizione in Germania o, comunque, che in tale Stato proprio tali redditi fossero stati effettivamente dichiarati.
Inoltre, conclude il Collegio abruzzese, al riguardo non può supplire la mera dichiarazione dei redditi presentata in Germania che non solo non fornisce alcuna certezza sulla identità dei redditi con quelli oggetto dell’istanza di rimborso ed assoggettati a tassazione in Italia, ma neppure consente di desumere inequivocabilmente il pagamento delle imposte in via definitiva e, conseguentemente, l’intervenuta effettiva doppia imposizione.



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale