Se il contribuente ha pagato tutto il ricorso non è “comprensibile”

Se il contribuente ha pagato tutto il ricorso non è “comprensibile”

Secondo la Ctr Liguria, è inammissibile il ricorso presentato dal contribuente che ha definito volontariamente sia le imposte che le sanzioni, in quanto non esistono concreti e attuali vantaggi che potrebbero derivare, al contribuente. dall’accoglimento del ricorso proposto avverso l’avviso di accertamento, emesso dopo il mancato perfezionamento della procedura di voluntary disclosure.
In questi termini si è espresso il Collegio ligure, con la sentenza n. 148 del 9 febbraio 2022.

I fatti e il processo di primo grado
Un contribuente proponeva ricorso contro una serie di avvisi di accertamento, emessi dal Centro operativo di Pescara, per omessa compilazione del quadro RW, a seguito del mancato perfezionamento della procedura di voluntary disclosure, (ex articoli da 5-quater a 5-septies del Dl n. 167/1990), per il rientro delle attività finanziarie detenute all’estero e volontariamente rivelate prima della loro emersione.
Il contribuente censurava l’attività impositiva per una serie di eccezioni, preliminari e di merito. Di contro l’ufficio, opponeva l’inammissibilità dei ricorsi per acquiescenza del contribuente.

In seguito all’accoglimento dei ricorsi da parte della Ctp, chiamata a pronunciarsi in primo grado, l’ufficio, nell’opporsi alla decisione, ribadiva l’eccezione di inammissibilità dei ricorsi, che erano stati presentati contestualmente al pagamento di quanto richiesto per la definizione delle sole sanzioni degli avvisi di accertamento impugnati. Con detti avvisi, infatti, non veniva richiesto il pagamento dell’imposta bensì solo delle sanzioni; pertanto il contribuente, con la definizione, in maniera agevolata, delle sole sanzioni avrebbe, di fatto, deciso di prestare acquiescenza alla pretesa dell’ufficio precludendosi il diritto di proporre i ricorsi che, quindi, sarebbero da considerare inammissibili.
Il contribuente, sul punto, evidenziava di non aver inteso prestare acquiescenza all’accertamento, sussistendo un proprio interesse ad impugnare ciascuno degli accertamenti in questione, al fine di beneficiare degli effetti della voluntary ed evitare il raddoppio dei termini.

La sentenza
Nell’accogliere il ricorso erariale, la Ctr ligure, focalizzando la propria attenzione sull’eccezione di inammissibilità esposta, rileva che gli importi recati dagli avvisi di accertamento impugnati erano riferiti alle imposte e alle maggiori sanzioni derivanti dal disconoscimento, da parte dell’ufficio, del perfezionamento della voluntary disclosure a cui il contribuente aveva inteso aderire.

Ebbene, continua il Collegio regionale, lo stesso contribuente aveva dichiarato, nelle more della notifica dei ricorsi di primo grado, di aver provveduto a definire le sanzioni irrogate dagli accertamenti impugnati, mediante il pagamento di un terzo (ex articolo 17, Dlgs n. 472/1997).
Inoltre, nonostante la definizione delle sole sanzioni, con i ricorsi di primo grado, il contribuente aveva contestato la legittimità della pretesa impositiva elevata per gli anni in questione, per quanto la relativa imposta accertata da ciascuno degli atti impugnati fosse già stata interamente pagata in base all’invito all’adesione, derivante dalla asserita decadenza del ricorrente dagli effetti premiali della voluntary, il cui venir meno comporta per l’ufficio anche la possibilità di fruire del raddoppio dei termini, per l’emissione dell’accertamento (articoli. 43 e 57, Dpr 633/1972). Da qui il preteso interesse del contribuente a impugnare l’accertamento al fine di salvare il principio ed i benefici della procedura in questione.

La mancanza di interesse a ricorrere
Tuttavia, secondo la Ctr, avendo definito volontariamente sia le imposte che le sanzioni, non residua in capo al contribuente alcun attuale e concreto interesse ad agire: è vero che la definizione delle sole sanzioni non preclude al ricorrente la possibilità di contestare davanti al giudice tributario la pretesa impositiva, ma è altrettanto vero che, nel caso in esame, la pretesa impositiva portata dagli atti impugnati era limitata alla sola differenza tra le sanzioni ridotte, dovute con l’applicazione della norma di favore della voluntary disclosure e quelle del l00% dell’imposta accertata aumentate di un terzo (articolo 1, Dlgs n. 471/1997, nel testo vigente al 30 dicembre 2014 – ex Dl 1523/2015).

Ciò posto, considerato pacifico che i benefici apportati dalla procedura riguardano il solo profilo sanzionatorio, senza prevedere alcuna riduzione delle imposte dovute, non si comprende –  a parere del giudice d’appello – quale beneficio concreto intendesse trarre il contribuente da una sentenza di accoglimento dei ricorsi in questione, in quanto:
– le imposte erano state da lui versate volontariamente, in seguito agli inviti all’adesione pervenutigli dal Cop di Pescara e certo non ne poteva richiedere la restituzione, né l’ufficio gli aveva chiesto il pagamento di ulteriori imposte
– le sanzioni erano state da lui definite, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, del Dlgs n.472/1997 e non poteva essere richiesto il rimborso di quanto versato, in quanto “il versamento della somma notevolmente inferiore a quella concretamente irrogabile, effettuato ex art. 17, comma 2 cit., definisce irrevocabilmente ogni questione inerente l’aspetto sanzionatorio del rapporto tributario in contestazione, precludendo all’amministrazione finanziaria di irrogare maggiori sanzioni ed al contribuente di ripetere quanto già pagato” (cfr Cassazione nn. 25577/2017 e 5166/2020).

In definitiva – conclude la Ctr – solo se il contribuente non avesse definito le sanzioni in maniera agevolata, avrebbe avuto interesse a impugnare gli avvisi di accertamento in questione, perché, in caso di vittoria, avrebbe potuto ricondurre le sanzioni alla misura premiale prevista dalla procedura di voluntary disclosure; tuttavia, avendole volontariamente definite, ha perso, irrimediabilmente, ogni interesse ad agire.



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale