Il giudice penale può “contare” sugli esiti degli Studi di settore

Il giudice penale può “contare” sugli esiti degli Studi di settore

Con la sentenza n. 37238 del 3 ottobre 2022, la Cassazione ha evidenziato che, in ambito penale, è necessario distinguere l’accertamento induttivo tramite studi di settore dalle presunzioni legali tributarie. Per queste ultime opera il diverso principio per cui, pur avendo valore indiziario, non possono costituire prova del reato, assumendo esclusivamente il valore di dati di fatto.

La pronuncia in commento, seppur resa in un procedimento penale di origine tributaria, presenta interessanti spunti di riflessione in ordine alle tematiche trattate dalla Corte suprema.
La vicenda di merito ha preso spunto da un sentenza del 12 aprile 2021 con la quale la corte di appello di Lecce confermava la sentenza del tribunale di Brindisi del 23 marzo 2018 con cui un contribuente era stato condannato in relazione al reato di omessa dichiarazione di cui all’articolo 5 del decreto legislativo n.74/2000.
Avverso la pronuncia di secondo grado, la parte ha proposto ricorso per Cassazione articolato su motivi che possono essere sintetizzati come segue:

  • la corte di appello, ignorando gli spunti difensivi in tema di quantificazione della imposta evasa, si sarebbe superficialmente adagiata sulle conclusioni della Agenzia delle entrate, circa la ricostruzione induttiva della base imponibile, sebbene la giurisprudenza abbia sancito il principio per cui le presunzioni legali o i criteri ritenuti validi in ambito tributario non possono trovare ingresso nel processo penale alla luce dell’onere della prova a carico dell’accusa. Sempre in tema di intervenuto calcolo della base imponibile e dell’Iva sarebbe incomprensibile come a fronte di una differenza in positivo di circa 228mila euro tra ricavi dichiarati e accertati, sia stato determinato un imponibile Iva superiore di circa 157mila euro rispetto a quello contabilizzato dal contribuente
  • il ricorrente sostiene che, nel procedere al calcolo dell’Iva dovuta, questa sarebbe inferiore alla soglia di punibilità rispetto invece a quella addebitata pari a circa 60mila euro. E ciò perché tale ultimo risultato conseguirebbe non da ulteriori ricavi non contabilizzati, ma dal mancato riconoscimento di talune fatture assoggettate al regime del “reverse charge”, con conseguente recupero a tassazione Iva di “autofatture” per le quali l’imposta sarebbe stata a carico del destinatario.

La Cassazione, con la sentenza in commento, ha dichiarato inammissibile il ricorso e condannato il contribuente alla refusione delle spese processuali.
In linea generale, i giudici di piazza Cavour hanno precisato che occorre distinguere tra attività di accertamento induttivo compiute mediante gli studi di settore dagli uffici finanziari per la determinazione dell’imposta dovuta e presunzioni legali tributarie, per le quali opera il diverso principio per cui, pur potendo avere valore indiziario, non possono costituire di per sé fonte di prova della commissione del reato, assumendo esclusivamente il valore di dati di fatto, che devono essere valutati liberamente dal giudice penale (Cassazione, sentenze n. 36207/2019 e n. 7078/2013).

Mentre, quindi, le presunzioni legali coincidono a circostanze già valutate dal legislatore come significative a fini tributari e sono stabilite con specifica previsione di legge, il metodo induttivo inerisce, invece, una modalità di ricostruzione della prova mediante la valorizzazione di dati non oggetto di una preventiva ipotesi legale.
Nel caso specifico, la Cassazione ha rigettato il primo motivo di ricorso in quanto i giudici dell’appello, in linea con gli indirizzi giurisprudenziali prima citati, circa la valutazione del metodo “induttivo”, hanno condiviso gli esiti dello stesso mediante un esame critico del tutto immune da vizi logico-giuridici.

Analoghe considerazioni sono state svolte dalla Cassazione in ordine al secondo motivo di impugnazione, ritenuto infondato, sul presupposto che la valutazione delle fatture adottate in regime di “reverse charge” è estranea all’applicazione delle presunzioni legali tributarie.
In particolare, per queste ultime, opera il diverso principio per cui, pur potendo avere valore indiziario, non possono costituire, di per sé, fonte di prova della commissione del reato, assumendo esclusivamente il valore di dati di fatto, che devono essere valutati liberamente dal giudice penale unitamente a elementi di riscontro che diano certezza dell’esistenza della condotta criminosa.
Mentre, quindi, le presunzioni legali corrispondono a circostanze già valutate dal legislatore come significative a fini tributari e sono stabilite con specifica previsione di legge, il metodo induttivo riguarda invece una modalità di ricostruzione della prova mediante la valorizzazione di dati non già oggetto di previa determinazione legale del loro significato, cosicché esso, piuttosto, soggiace alle ordinarie regole di valutazione.



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale