
13 Feb Successione: le somme sui conti non entrano nel calcolo forfettario
La percentuale del 10% dell’attivo ereditario da imputare, ai fini del calcolo dell’imposta di successione, a denaro, gioielli e mobilio deve essere calcolata senza tener conto delle somme depositate dal de cuius presso gli istituti bancari. Ciò in quanto tali somme sono di proprietà della banca e non del cliente, il quale vanta, in relazione a esse, soltanto un diritto di credito.
Questo principio è stato espresso dalla Corte di cassazione con l’ordinanza n. 33682 del 16 novembre 2022.
Al riguardo, occorre premettere che l’articolo 9 del Testo unico sulle successioni e donazioni (Dlgs n. 346/1990, dispone che “si considerano compresi nell’attivo ereditario denaro, gioielli e mobilia per un importo pari al dieci per cento del valore globale netto imponibile dell’asse ereditario anche se non dichiarati o dichiarati per un importo minore …”.
In base a questa norma, si presume che nell’attivo ereditario vi siano denaro, gioielli e mobilio per un valore, determinato forfettariamente, pari al 10% del valore complessivo netto dell’asse ereditario.
Tale presunzione si basa, soprattutto, in considerazione del fatto che il denaro, i gioielli e il mobilio sono beni:
- generalmente presenti nel patrimonio di ogni soggetto al momento del suo decesso
- facilmente occultabili all’amministrazione finanziaria al momento dell’apertura della successione, con conseguente mancata applicazione della relativa imposta.
Come precisato anche dalla circolare n. 27/1987, parte II, la presunzione in esame, disciplinata anche dal precedente Testo unico sulle successioni (regio decreto n. 3270/1923), non è assoluta ma relativa. La parte finale del citato articolo 9, infatti, dispone che la presunzione viene superata se il contribuente, mediante un inventario analitico redatto dal cancelliere o dal notaio, ai sensi dell’articolo 769 cpc, dimostra l’effettivo valore di denaro, gioielli e mobilio compresso nell’asse ereditario.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 109/1967, ha negato che la presunzione in argomento fosse lesiva del principio della capacità contributiva, considerato che “…è fondata sulla comune esperienza e risponde a principi di logica tanto rilevanti da legittimare la certezza giuridica della esistenza dei beni”.
Nel caso oggetto della pronuncia in esame, gli eredi avevano effettivamente indicato nella dichiarazione di successione un ammontare del denaro pari al 10% del valore dell’asse ereditario, ritenendo, pertanto, di aver rispettato il dettato normativo sopra richiamato. Tale denaro era depositato su conti correnti intestati al de cuius.
In sede di controllo della dichiarazione di successione, l’ufficio territoriale presso il quale la successione era stata presentata, ha emesso un avviso di liquidazione ritenendo che i beni da considerare ai fini della presunzione del 10% sopra descritta fossero solo i beni di proprietà del defunto.
A seguito dell’impugnazione presentata dall’erede, le Commissioni tributarie, sia di primo (Ctp di Messina) che di secondo grado (Ctr della Sicilia, sentenza n. 6242/2021) hanno ritenuto illegittimo l’avviso di liquidazione e corretto l’operato dell’erede in tema di presunzione del 10% per i beni mobili.
I giudici della Corte di cassazione, invece, hanno condiviso l’operato dell’amministrazione finanziaria, richiamando la propria precedente sentenza n. 21901/2020, con la quale avevano evidenziato, in riferimento alla presunzione di cui all’articolo 9 del Testo unico sulle successioni, che “…il denaro rientra nell’ambito di applicazione della norma stessa solo quando su di esso il defunto esercitasse un diritto di proprietà e non quando formasse oggetto di un diritto di credito……”.
Negli stessi termini, la stessa Corte si era già pronunciata con la sentenza n. 19160 del 15 dicembre 2003.
In relazione al caso specifico, la Corte di cassazione ha espresso il principio di diritto, in base al quale:
- il denaro depositato su un conto corrente presso un istituto bancario, è di proprietà della banca
- il cliente, in relazione a tali somme vanta un mero diritto di credito.
I giudici hanno ribadito che la ratio della presunzione è proprio quella di rendere possibile un accertamento, in via presuntiva, dei beni che sono facilmente sottraibili all’attenzione dell’amministrazione finanziaria come il denaro liquido custodito in casa. Questa esigenza, invece, non sussiste rispetto al denaro depositato presso un istituto di credito.
È stato, quindi, accolto il ricorso dell’amministrazione finanziaria e si è confermato che i beni (denaro, gioielli, mobilio) da indicare in dichiarazione per un valore pari al 10% dell’asse ereditario non includono il denaro depositato in banca.
Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale