Regime di esenzione dalla ritenuta, il fruitore finale può essere simulato

Regime di esenzione dalla ritenuta, il fruitore finale può essere simulato

Con due di recenti decisioni (n. 6045/05/23 e 6079/05/2023) la Cassazione ha confermato la legittimità degli avvisi di accertamento emessi dalla Dr Toscana con i quali si contestava ad una società operativa italiana α, facente parte di un gruppo belga, l’omessa applicazione della ritenuta a titolo di imposta (articolo 26, comma 5, Dpr n. 600/1973) sugli interessi passivi corrisposti ad altra società italiana β, divenuta sua finanziatrice dal 2006, anch’essa appartenente al gruppo belga.  
Inizialmente la società α, come le altre società operative italiane del gruppo, fruiva di una linea di finanziamento da parte di una consociata lussemburghese. Nel corso del 2006, nell’ambito di un progetto di ristrutturazione finanziaria dell’intero gruppo, la società β ha acquistato tutte le partecipazioni nelle società operative italiane, assumendo il ruolo di subholding, e la consociata lussemburghese ne acquistò il 45% del capitale sociale.
In un momento successivo, la subholding italiana β e la società lussemburghese hanno sottoscritto un accordo con il quale la società belga cedeva alla subholding i diritti e gli obblighi derivanti dai contratti di finanziamento stipulati con le società operative; contestualmente, la società lussemburghese concedeva alla subholding italiana un finanziamento di importo pari ai crediti oggetto di acquisizione.
Sia le commissioni di merito di primo grado che di secondo grado toscane avevano ritenuto legittimo l’operato dell’Ufficio ritenendo che la subholding italiana β non fosse l’effettiva beneficiaria degli interessi passivi pagati dalla società operativa italiana α, rivestendo piuttosto il mero ruolo di “conduit” con riferimento all’operazione di finanziamento. Infatti, dall’esame dei profili contrattuali economici e finanziari e contabili delle operazioni effettuate ed in considerazione della corrispondenza dei flussi finanziari intercorsi tra le società coinvolte, il beneficiario effettivo risultava essere la società controllante lussemburghese. Conseguentemente la società α, avrebbe dovuto effettuare la ritenuta a titolo di imposta ai sensi dell’articolo 26 comma 5 Dpr n. 600/1973 sugli interessi passivi erogati.
Il difensore della società accertata ha censurato le sentenze di merito, tra le varie eccezioni,
lamentando in primis che la Ctr avrebbe enunciato l’erroneo principio di diritto per cui un soggetto residente (sostituto di imposta) è tenuto ad applicare la ritenuta alla fonte sui redditi di capitale (interessi su mutuo) corrisposti a un soggetto parimenti residente nonché per avere illegittimamente esteso all’ambito domestico i presupposti di applicazione del regime di esenzione da ritenuta, ovvero la nozione di “beneficiario effettivo” (articolo 26-quater) in attuazione della direttiva 2003/49/CE.

Con le sentenze n. 6405/05/2023 e 6079/05/2023 la Cassazione ha invece chiarito che “l’abuso in senso tecnico” va tenuto distinto dalla verifica se la società percettrice dei flussi reddituali risponda o meno ai requisiti per fruire di vantaggi che, altrimenti, non le sarebbero dovuti. Infatti, una cosa è l’abuso del diritto, altra cosa (ed è questo il campo nel quale s’inscrive la figura del beneficiario effettivo) sono i requisiti da soddisfare affinché spettino i benefìci riconosciuti da disposizioni ispirate a finalità antiabuso. Si tratta di diversi piani di indagine, anche dal punto di vista della concreta attività accertatrice e della ripartizione, tra fisco e contribuente, dell’onere della prova (cfr. punto 14”).
La Suprema corte precisa che “In tema di esenzione degli interessi (e di altri flussi reddituali) dall’imposta ex art. 26 quater, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600” spetta alla società contribuente, che ne adduca la qualità, la prova di essere il “beneficiario effettivo”; a tal fine è necessario che essa superi tre test, autonomi e disgiunti”.
Secondo i giudici di legittimità sono 3 le verifiche che è necessario effettuare e cioè che:

  • la società percipiente svolga un’attività economica effettiva
  • la società percipiente possa disporre liberamente degli interessi ricevuti e non sia tenuta a rimetterli ad un soggetto terzo
  • la società percipiente abbia una funzione nell’operazione di finanziamento e che invece non sia una mera conduit company (o société relais), la cui interposizione è finalizzata esclusivamente ad un risparmio fiscale.

Nel caso di specie la Corte di legittimità ha confermato le sentenze della Ctr della Toscana, che hanno  escluso il carattere meramente “domestico” dell’operazione consistendo in realtà in un pagamento transfrontaliero di interessi, affermando che “..non si deve applicare l’esenzione dalla ritenuta ex art. 26-quater, dato che la subholding italiana è un soggetto interposto nel flusso reddituale transfrontaliero …Il giudice di merito, sulla base dell’esame dei profili contrattuali, economico finanziari e contabili delle operazioni, ha riconosciuto la presenza, nella fattispecie concreta, degli indici segnaletici idonei a dimostrare che la società lussemburghese era il beneficiario effettivo del flusso finanziario transfrontaliero” e concludendo che “la sentenza impugnata, nel confermare la legittimità dell’accertamento, si è attenuta al seguente principio di diritto: «In tema di esenzione dalle imposte sugli interessi (e sui canoni) corrisposti a soggetti residenti in Stati membri dell’Unione europea, nonostante la comune matrice antielusiva, gli artt. 26 e 26-quater, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, come le altre disposizioni tributarie antielusive (quali, per es., la disciplina del transfer pricing, le norme in tema di società non operative o di comodo, il c.d. “valore normale” nei diversi contesti delle IIDD, Iva, doganale), non sono sussumibili entro l’art. 37-bis, d.P.R. n. 600 del 1973, anche per quanto attiene alle prescrizioni endoprocedimentali recate da quest’ultimo (quali, per es., l’obbligo del contraddittorio preventivo e della motivazione rafforzata dell’atto impositivo)”.

Inoltre si segnala come la Corte respinga l’eccezione in merito alla doppia imposizione, accogliendo l’obiezione “della difesa erariale secondo cui, come extrema ratio, le disposizioni sovranazionali e gli accordi fiscali bilaterali prevedono degli strumenti contro le doppie imposizioni, capaci di favorire la realizzazione e il funzionamento del mercato europeo. E infatti, da un lato, la società lussemburghese ..aveva la possibilità di scontare, nel proprio sistema fiscale, la ritenuta alla fonte operata nello Stato membro di origine; dall’altro, è sempre possibile accedere alle procedure amichevoli contro le doppie imposizioni previste dagli artt. 6 e seguenti della convenzione 90/436/CEE del 23/07/1990 (ratificata con legge 22 marzo 1993, n. 99), relativa all’eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate. Più specificamente, in relazione al primo aspetto, si deve ricordare che, a norma dell’art. 24, par. 1, della convenzione tra Italia e Lussemburgo contro le doppie imposizioni, se un residente nel Lussemburgo possiede redditi che, in base alla stessa convenzione, sono imponibili in Italia, può essergli riconosciuta un’esenzione da imposta di tali redditi, oppure può essere accordata una deduzione dell’imposta prelevata sui redditi del detto residente di ammontare pari all’imposta pagata in Italia”.



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale