Il reato di dichiarazione infedele è realizzabile anche con l’integrativa

Il reato di dichiarazione infedele è realizzabile anche con l’integrativa

È legittima la condanna per dichiarazione infedele nei confronti dell’amministratore della società che presenta una dichiarazione integrativa con elementi fittizi. Anche le dichiarazioni integrative, infatti, sono ricomprese nel reato, se queste presentano elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, oppure elementi passivi inesistenti.
Lo ha stabilito la Cassazione con sentenza 10726 del 14 marzo 2023, con cui ha rigettato il ricorso dell’imputato.

La vicenda processuale e la pronuncia della Cassazione
Il caso riguarda l’evasione Iva in un’operazione di reverse charge dove, alla prima dichiarazione con un Iva dovuta di oltre 26 mila euro, era stata presentata una dichiarazione integrativa con cui veniva specificato che l’Iva da versare era invece di soli 5,5 mila euro. Nel corso degli accertamenti era emerso che l’unica dichiarazione veritiera era la prima, in quanto corrispondente alle scritture contabili e, in particolare, alla fattura che risultava regolarmente incassata anche rispetto all’Iva; mentre la dichiarazione integrativa era stata ritenuta falsa, in quanto esponeva fittiziamente elementi attivi inferiori a quelli effettivi, così abbattendo l’imponibile, nel senso che quello originariamente indicato nella prima dichiarazione era stato ridotto a due voci, una ancora imponibile, ma di molto inferiore a quella reale, e l’altra non più imponibile, in quanto in reverse charge

Correttamente, sia il tribunale sia la Corte di appello, ritenuta pacificamente superata la soglia di punibilità, hanno ritenuto configurabile a carico del ricorrente il reato ex articolo 4 del Dlgs n. 74/2000, considerando rilevante, ai fini del perfezionamento della fattispecie, anche la dichiarazione integrativa, ove la stessa, come nel caso in esame, si riveli «infedele» nel senso delineato dalla norma incriminatrice, ossia indichi elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, oppure elementi passivi inesistenti.
Bocciata la tesi del ricorrente secondo cui la norma incriminatrice sanziona la sola presentazione della dichiarazione annuale, mentre l’eventuale presentazione di una dichiarazione integrativa non assume alcun rilievo. Nel testo della norma incriminatrice, la locuzione «in una delle dichiarazioni annuali», fa espressamente riferimento non a una sola dichiarazione, ma una pluralità di atti dichiarativi, pur sempre riferiti al medesimo anno di imposta. Dunque, ricomprende nel perimetro della fattispecie non solo la prima dichiarazione fiscale, ma anche quelle successive, integrative della prima, che intervengono, come quella in esame, entro il termine finale previsto per la presentazione della dichiarazione annuale.
L’opposta conclusione porterebbe alla paradossale conclusione per cui, per evitare conseguenza penali, al contribuente sarebbe sufficiente presentare prima una dichiarazione veritiera, per poi presentare, in relazione al medesimo periodo di imposta, una dichiarazione integrativa assolutamente falsa.
Pertanto, anche le dichiarazioni integrative rientrano nel campo applicativo dell’articolo 4 del Dlgs n. 74/2000, qualora, ove siano superate le soglie di punibilità contemplate dal legislatore, le stesse introducano, come nella vicenda in esame, elementi attivi non conformi a quelli effettivi o elementi passivi inesistenti (o fittizi).

Ulteriori osservazioni
Il precedente giurisprudenziale citato dalla difesa (Cassazione n. 23810/2019) riguarda un caso opposto a quello considerato dalla pronuncia in commento. Con esso la Cassazione stabilì che l’imprenditore che presenta una dichiarazione dei redditi infedele può essere condannato anche se poi cerca di rimediare attraverso una successiva dichiarazione integrativa. In quella sede, quindi, era palesemente e pacificamente falsa la prima dichiarazione, mentre quella integrativa è stata ritenuta inidonea ad escludere la natura infedele della prima.

Nel caso di specie col ricorso in Cassazione l’imputata denunciava violazione dell’articolo 4 del Dlgs n. 74/2000 e 2, comma 8 del Dpr n. 322/1998 ritenendo non integrato il reato per aver presentato una dichiarazione integrativa con cui aveva emendato quanto indicato nell’originaria dichiarazione. Tale dichiarazione, secondo la ricorrente, non costituirebbe un post factum privo di effetti costituendo parte integrante della condotta. Quando l’articolo 4 si riferisce alle “dichiarazioni”si riferisce ad un comportamento (la presentazione della dichiarazione) che può consistere in una pluralità di atti da apprezzare, non già singolarmente ma nel loro complesso fino a quando, temporalmente, la dichiarazione sia suscettibile di essere integrata.

Nel rigettare il ricorso la Cassazione si rifece ad un precedente (sentenza n. 27697/2017) secondo cui il legislatore del 2015 non ha voluto modificare quanto agli elementi costitutivi del reato di infedele dichiarazione (diversamente da quanto fatto per i reati di cui agli articoli 2 e 3 del Dlgs n. 74/2000) il riferimento all’indicazione in una delle dichiarazioni “annuali”. Ciò comporta che a differenza delle altre fattispecie, per il delitto di dichiarazione infedele, il legislatore ha voluto circoscrivere la rilevanza penale alla sola presentazione della dichiarazione annuale.
Il riferimento alla dichiarazione annuale ha effetti non solo quanto alla delimitazione dell’ambito applicativo della fattispecie penale ma anche sul momento in cui si consuma il reato; trattandosi di reato istantaneo il reato si perfeziona con la dichiarazione annuale (non rilevando l’eventuale presentazione della dichiarazione integrativa) da cui decorre anche il dies a quo ai fini del calcolo del termine di prescrizione.



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale