09 Giu Affitto salone auto gratis o quasi, tanta generosità non convince il Fisco
Corretta la ricostruzione dei ricavi effettuata dall’ufficio delle Entrate nei confronti dell’impresa che riscuote, da quanto risulta dalle fatture emesse, un canone molto inferiore al valore di mercato per l’affitto di spazi espositivi a un’altra società dello stesso gruppo, che svolge lo stesso tipo di attività. È quanto afferma la Corte di cassazione nella sentenza n. 10422 dello scorso 19 aprile
Con la sentenza n. 1214/22/2020 la Commissione regionale tributaria della Lombardia rigettava l’appello principale proposto da una Srl in liquidazione e accoglieva l’appello incidentale dell’Agenzia delle entrate avverso la pronuncia della Ctp di Pavia la quale aveva accolto il ricorso introduttivo della medesima società – avente ad oggetto l’avviso di accertamento per Iva, Ires e Irap relativo all’anno d’imposta 2016 – nei limiti del solo disconoscimento del rilievo di indeducibilità dei costi rappresentati dalle esistenze iniziali.
Di contro, i giudici di appello condividevano le argomentazioni della Ctp in relazione alla fondatezza dei recuperi erariali in tema di:
- omessa fatturazione e contabilizzazione di ricavi per concessione in uso di spazi commerciali a un’altra Srl in cambio di canone quasi gratuito (condotta antieconomica avuto riguardo ai rapporti fra le due società con medesima compagine sociale e stesso amministratore)
- minusvalenza indeducibile in conseguenza dell’errata contabilizzazione di beni utilizzati come strumentali anziché come merce
- omessa contabilizzazione e fatturazione di ricavi per contratti di comodato aventi come oggetto veicoli concessi in uso a terzi.
Infine, la Ctr lombarda accoglieva l’appello incidentale dell’Agenzia riformando il capo della sentenza di primo grado che aveva annullato il recupero per costi indeducibili relativi a beni riqualificati come beni strumentali anziché beni merce.
Avverso la pronuncia di seconde cure, la Srl ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi di impugnazione avverso i quali l’ufficio ha controdedotto chiedendone il rigetto integrale.
La Cassazione, con sentenza n. 10422 dello scorso 19 aprile, ha rigettato nel merito il ricorso di controparte confermando la legittimità degli addebiti contestati.
Con il primo motivo di ricorso, la contribuente lamentava la violazione degli articoli 5, comma 2, del Dlgs n. 147/2015 e 9 del Tuir con riferimento alla statuizione della Commissione tributaria regionale circa la ripresa per concessione in uso di spazi commerciali e attrezzature ad altra società al canone annuo di 5mila euro in luogo di una stima di mercato, che riteneva congrua una somma ben superiore.
I giudici di legittimità hanno ritenuto infondato detta doglianza in ragione del fatto che, a differenza di quanto sostenuto dalla ricorrente – secondo cui si sarebbe dovuto applicare il parametro del valore “normale” in presenza di concessione di spazi espositivi tra società appartenenti al medesimo gruppo, entrambe venditrici di autovetture – il ricorso, effettuato dall’ufficio, al criterio del valore normale non è stato applicato acriticamente al fine di valutare le scelte imprenditoriali bensì quale argomento a dimostrazione dell’antieconomicità lampante dell’operazione commerciale in esame, trattandosi di un canone d’affitto largamente inferiore a quello di mercato, quale indizio di non inerenza del costo fatta salva la prova contraria in capo al contribuente; e ciò risulta conforme alla giurisprudenza di legittimità (cfr Cassazione, sentenza n. 18904/2018).
La ricorrente, inoltre, invocava la norma interpretativa e, quindi di applicazione retroattiva, di cui all’articolo 5, comma 2, del Dlgs n. 147/2015, a tenore della quale “La disposizione di cui all’art. 110, comma 7, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 – in tema di componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa –, si interpreta nel senso che la disciplina ivi prevista non si applica per le operazioni tra imprese residenti o localizzate nel territorio dello Stato”.
Quanto, quindi, all’aspetto specifico del tributo armonizzato Iva, il Collegio ha sostenuto che l’applicazione di un canone di affitto, come nel caso di specie, molte volte inferiore a quello di mercato comporta che, in presenza di siffatta antieconomicità dell’operazione, sia onere del contribuente dimostrarne la regolarità senza che possa rilevare la mera regolarità formale della fatturazione e del pagamento (cfr Cassazione, ordinanza n. 101/2015, conforme a sentenza Cassazione 2.4.2009 n.8023/2009, più di recente, sentenza n.16948/2019).
Con i successivi due motivi di ricorso, la parte ricorrente eccepiva:
- violazione e falsa applicazione degli articoli 39 comma 1 lettera d), Dpr n. 600/1973, 83 e 163 Tuir, 2423-bis nn. 1 e 6 del codice civile da parte della Ctr Lombardia nella parte in cui ha ritenuto corretto il recupero a tassazione di costi indeducibili per 236.593,05 euro con riferimento alle esistenze iniziali di magazzino in quanto le autovetture utilizzate provvisoriamente avrebbero dovuto essere gestite contabilmente quali beni strumentali e, quindi, assoggettate ad ammortamento nei vari esercizi
- e violazione degli articoli 39, comma 1, lettera d), Dpr n. 600/1973; 5 comma 2, del Dlgs 147/2015; 1350, 1803 e 1810 codice civile.
La Corte suprema ha ritenuto tali doglianze in parte inammissibili e in parte infondate.
In punto di fatto, il Collegio, richiamando i principi generali regolanti la tipologia dell’accertamento induttivo di cui all’articolo 39, comma 1, lettera d), Dpr n. 600/73 e l’addentellato dell’inversione dell’onere della prova in capo al contribuente, ha stabilito che, nel caso di specie, l’accertamento è basato inequivocabilmente su presunzioni gravi, precise e concordanti.
In particolare, la Cassazione ha ritenuto corretto il ragionamento dei giudici di appello laddove la riqualificazione, operata dall’ufficio, di beni merce in beni strumentali delle autovetture in contestazione ha assunto caratteri di logicità e coerenza in ragione del fatto che i beni in questione sono veicoli acquistati e immatricolati dalla società contribuente e utilizzati per dimostrazioni, noleggio e concessioni in uso.
Nel caso esaminato, la contribuente non ha addotto, in sede di legittimità, alcun concreto elemento che potesse dirsi idoneo ad assolvere all’onere probatorio a essa ascritto sulla base dei principi di diritto sopra richiamati.
Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale