La fattura troppo nebulosa rende invisibile l’inerenza

La fattura troppo nebulosa rende invisibile l’inerenza

La vicenda processuale prendeva le mosse da diversi ricorsi (successivamente riuniti) con i quali una Sas e i due soci impugnavano avvisi di accertamento con i quali era stata disconosciuta la deducibilità dei costi portati da alcune fatture (e, conseguentemente, rideterminato il reddito d’impresa imputabile ai soci), sul presupposto che mancassero del requisito dell’inerenza.
Si trattava, in particolare, di fatture relative a prestazioni svolte, in favore della ricorrente (esercente l’attività di noleggio di macchine e attrezzature edili), da parte di una Srl (esercente attività di riparazione e manutenzione di macchine e apparecchi di sollevamento), società facente parte dello stesso gruppo e avente il medesimo legale rappresentante.

Il ricorso veniva rigettato dalla Ctp di Como, con sentenza poi confermata, in sede d’appello, dalla Ctr della Lombardia.
La società e i due soci ricorrono per cassazione sulla base di due motivi mentre l’Agenzia delle entrate ha depositato controricorso.

In sintesi, i ricorrenti lamentano:

  1. falsa applicazione dell’articolo 109 comma 5 Tuir per avere la Ctr escluso l’inerenza dei costi contestati, invero congrui rispetto all’attività svolta dalla Sas, tanto più se comparati all’unitario interesse del gruppo economico cui facevano capo le parti del contratto
  2. erronea applicazione del principio dell’onere della prova dal momento che “nel caso in esame, in sostanza, l’inerenza della spesa appare in re ipsa, esistendo una chiara funzionalizzazione della stessa all’attività d’impresa della Beta s.a.s. e dell’unitario gruppo economico di appartenenza della stessa.

La Cassazione, con l’ordinanza n.14190 dello scorso 23 maggio ha rigettato il ricorso con condanna delle parti al pagamento delle spese di legittimità avendo ritenuto del tutto infondati i motivi di impugnazione.
In via preliminare, i giudici di legittimità hanno precisato che “in tema di imposte sui redditi delle società, la deducibilità di costi ed oneri richiede la loro inerenza all’attività di impresa, da intendersi come necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale, escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità – anche solo potenziale ed indiretta – secondo valutazione qualitativa e non quantitativa, la cui prova, in caso di contestazioni dell’amministrazione finanziaria, è a carico del contribuente, dovendo egli provare e documentare l’imponibile maturato e, quindi, l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, quale atto di impresa perché in correlazione con l’attività di impresa e non ai ricavi in sé (cfr Cassazione, n. 24880/2022, e vedi anche n. 2224/2021 e n. 30366/2019).

Nel caso in commento, correttamente i giudici di seconde cure hanno negato la deducibilità dei costi ivi discussi in quanto “…i contribuenti non hanno allegato, ovvero prodotto, in sede contenziosa materiale documentale idoneo a supportare i requisiti di certezza, obbiettività, determinabilità e inerenza richiesti dalla norma tributaria per il riconoscimento di un costo”, in quanto “la fattura contestata non chiarisce la natura, la quantità, e la qualità dei servizi prestati, risultando del tutto generica, né consente di individuare, con la necessaria certezza, il tipo di prestazione svolta, il tecnico che l’ha eseguita, il cantiere e il modello di gru, e conseguentemente il valore e l’utilità conseguita dalla società.

In sostanza, i ricorrenti hanno preteso che venisse riconosciuta detta inerenza avendo basato le loro asserzioni sul solo rapporto soggettivo esistente tra le parti dell’operazione (due società aventi la medesima compagine sociale e “controllate”, dunque, dalle stesse persone fisiche).
In tal modo i contribuenti hanno circoscritto il concetto di inerenza su un piano del tutto astratto finendo per dare per scontato ciò che avrebbero dovuto dimostrare (vale a dire – per usare le parole del ricorso – la “funzionalizzazione della stessa [spesa, n.d.r.] all’attività d’impresa della s.a.s.”).

In linea di principio, quindi, secondo la Corte suprema non appare sussistente, nel caso in esame, alcuna violazione della regola generale sull’onere della prova (articolo 2697 cc), avendo l’ufficio proporzionatamente motivato le ragioni poste a fondamento dell’accertamento (nei termini dell’assoluta genericità del documento contabile) e senza che i contribuenti portassero elementi (anche solo presuntivi) idonei a “dare sostanza” ai presupposti della deducibilità del costo, con riferimento alla fattispecie concreta (secondo Cassazione, n. 32280/2018, “in tema di redditi di impresa, ai fini della deduzione delle spese relative a contratti a forma libera, il contribuente deve in ogni caso dimostrarne puntualmente l’esistenza, l’oggetto, l’ammontare, l’inerenza, nonché la congruità del prezzo corrisposto per gli stessi e l’effettività del pagamento”).

In conclusione, la Cassazione ha risolto in senso favorevole all’Amministrazione ritenendo che le doglianze dei ricorrenti si riducessero a una sterile contrapposizione circa una differente valutazione di merito dell’impianto “indiziario sul quale il giudice ha fondato la propria conclusione, nel senso dell’indeducibilità per carenza di prova dell’inerenza.



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale