08 Lug Senza le condizioni di legge, non c’è cross class cram down
La ristrutturazione trasversale dei debiti dell’impresa, o cross class cram down, consente di imporre alle classi di creditori dissenzienti la ristrutturazione in forza di un piano omologato dall’autorità giudiziaria. Il Tribunale è tenuto, in tali casi, ad accertare, non tanto la convenienza economica della proposta rispetto all’alternativa liquidatoria, quanto se sussistono congiuntamente le quattro condizioni previste dal secondo comma dell’articolo 112, del Dlgs n. 14/2019 (codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza – ccii).
La seconda sezione del Tribunale di Bergamo, con la sentenza n. 65 dell’11 aprile 2023, ha affermato rilevanti principi in tema di cosiddetto cross class cram down e omologa “eteronoma” da parte del Tribunale, in mancanza di assenso al piano concordatario da parte della maggioranza dei creditori.
Nel caso in esame, la società aveva proposto domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo. Il piano concordatario era qualificabile alla stregua di concordato in continuità indiretta, poiché prevedeva la cessione dell’attività in esercizio. L’attivo concordatario era costituito per la parte preponderante dal ricavato dell’affitto e della vendita del ramo d’azienda sulla base dell’offerta irrevocabile di acquisto dell’affittuaria (oltre all’accollo dei crediti per Tfr maturati dal personale dipendente), nonché dal realizzo di crediti tributari e da disponibilità liquide del debitore.
La proposta, in particolare, prevedeva:
- il pagamento integrale delle spese di procedura e dei connessi crediti prededucibili
- il pagamento dei crediti professionali prededucibili nella misura del 75%
- la soddisfazione integrale dei crediti di natura privilegiata
- la soddisfazione parziale dei crediti di natura privilegiata riferiti all’Agenzia delle entrate, mediante apposita transazione fiscale (ex articolo 88 ccii), nella misura di circa il 28% del totale dei crediti erariali
- la soddisfazione parziale del credito privilegiato vantato dal Comune per Imu nella misura del 20%
- la soddisfazione parziale dei debiti erariali e privilegiati Imu degradati al chirografo (Inps, Inail, Ires, Irap, ritenute fiscali, Iva, Imu a ruolo, Cciaa), per le quali era previsto il pagamento di una percentuale del 13%
- la soddisfazione parziale dei debiti chirografari verso banche e verso fornitori, per i quali era previsto il pagamento di una percentuale dell’8 per cento.
L’adempimento della proposta concordataria era previsto nell’arco di circa undici mesi dalla presentazione della domanda.
All’esito della votazione, il Commissario giudiziale comunicava che la proposta di concordato non era stata approvata dai creditori, in quanto non erano state raggiunte le maggioranze richieste dall’articolo 109, comma 5, del ccii.
Il debitore aveva poi presentato istanza (ex articolo 112, comma 2, ccii), per aprire comunque la fase della omologazione del concordato, ritenendo di avere tutti i requisiti stabiliti da tale norma per ottenere l’omologazione da parte del Tribunale, anche in assenza di approvazione dei creditori.
Tanto premesso, il Tribunale richiama innanzitutto il disposto dell’articolo 109, comma 5, ccii, sulle maggioranze necessarie per l’approvazione della proposta di concordato preventivo, secondo il quale, qualora si tratti di concordato in continuità, è necessario il voto favorevole di tutte le classi dei creditori.
Tale ipotesi non si era verificata perché, nella specie, la proposta era stata votata favorevolmente solo da tre classi su un totale di ventuno.
Il successivo articolo 112, comma 2, per l’ipotesi di mancata approvazione nel concordato preventivo in continuità aziendale, consente poi al debitore di fare istanza al Tribunale al fine di ottenere l’omologazione del concordato non approvato dai creditori, qualora ricorrano congiuntamente quattro condizioni, ovvero che:
a) il valore di liquidazione sia distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione
b) il valore eccedente quello di liquidazione sia distribuito in modo tale che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore, fermo restando quanto previsto dall’articolo 84, comma 7, ccii (crediti dei lavoratori, pagamento delle prestazioni di previdenza e assistenza obbligatorie da parte del datore di lavoro)
c) nessun creditore riceva più del proprio credito
d) la proposta sia approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure, in mancanza, la proposta sia approvata da almeno una classe di creditori che sarebbero parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione, anche sul valore eccedente quello di liquidazione.
Tale disposizione normativa, rileva il Tribunale, disciplina la ristrutturazione “trasversale” dei debiti dell’impresa, che consente appunto di imporre alle classi di creditori dissenzienti la ristrutturazione, in forza di un piano omologato dall’autorità giudiziaria.
Lo strumento di omologazione eteronoma nella sua attuale formulazione è stato introdotto, nel vigente codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, dal Dlgs n. 83/2022, di attuazione della legge delega n. 53/2021, che ha recepito nel nostro ordinamento la direttiva Ue n. 2019/1023 del 20 giugno 2019, sulle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione (direttiva “Insolvency”).
Il Tribunale è, dunque, tenuto in tali casi ad accertare la sussistenza delle condizioni previste dalla legge per l’omologazione del concordato in continuità, verificando non tanto la convenienza economica della proposta di concordato rispetto all’alternativa liquidatoria, quanto se sussistono congiuntamente le indicate quattro condizioni previste dal secondo comma dell’articolo 112 ccii.
Quanto alla citata quarta condizione, per comprendere appieno il significato della norma, è necessario rifarsi alla disciplina della segnalata direttiva Ue e, in particolare, al suo articolo 11 sulla ristrutturazione trasversale dei debiti (cross class cram down), da cui trae origine la disciplina nazionale di cui all’articolo 112, comma 2, ccii.
Ebbene, nel caso oggetto di decisione, come visto, la proposta non era stata approvata dalla maggioranza delle classi, avendo votato favorevolmente solo tre classi di creditori su un totale di ventuno. Difettava, dunque senz’altro la prima delle due condizioni alternativamente previste (l’approvazione maggioritaria dei creditori).
Andava pertanto accertato se la proposta fosse stata approvata “da almeno una classe di creditori che sarebbero parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione” (articolo 112, comma 2, lettera d), ccii).
In buona sostanza, rileva il Tribunale, la direttiva consente all’autorità giudiziaria di omologare la proposta concordataria solo se essa sia stata approvata da almeno una classe di creditori (privilegiati) che nel concordato venga trattata in maniera deteriore rispetto all’ipotesi della liquidazione giudiziale. Tale classe deve essere diversa da una classe di creditori (chirografari), che non riceverebbe comunque alcun pagamento nell’ipotesi di prosecuzione dell’impresa in crisi, o nell’ipotesi alternativa della liquidazione giudiziale.
La ratio della norma è, infatti, quella di favorire al massimo la ristrutturazione trasversale dei debiti, in una logica di continuità aziendale, che consenta di riammettere nel mercato l’impresa in crisi e di mantenere i posti di lavoro in essa impiegati.
Tuttavia, per ottenere l’omologazione con l’approvazione dell’autorità giudiziaria e quindi al di fuori di una logica di autonomia negoziale fra debitore e i suoi creditori, occorre, quale requisito minimo, quello della approvazione della proposta da parte di almeno una classe di creditori privilegiati, che sia per così dire “maltrattata” nella proposta concordataria e pur tuttavia sia fiduciosa nella bontà della proposta di “rilancio” dell’impresa.
Allo stesso tempo, poi, la medesima norma tutela ciascuno dei creditori dissenzienti, garantendo loro un trattamento non inferiore a quello a cui potrebbero aspirare nel caso di liquidazione giudiziale (articolo 112, comma 2, lettera a), del ccii).
Applicando la norma come sopra interpretata, nel caso in esame, si osservava quindi che uno dei creditori che avevano votato favorevolmente, avendo un credito per Imu non pagata, vantava il privilegio mobiliare di grado 20 (ex articolo 2778 cc), mentre i fornitori vantavano crediti ab origine chirografari.
Entrambe queste categorie di creditori, nell’ipotesi alternativa di liquidazione giudiziale, non avrebbero quindi ricevuto alcun pagamento dal patrimonio di liquidazione, mentre con la proposta concordataria sarebbero stati soddisfatti, rispettivamente, nella misura del 20% per la parte di credito Imu iscritto a ruolo e nella misura dell’8% per la parte di credito Imu degradata al chirografo, nonché per i crediti ab origine chirografari (quelli dei fornitori).
Pertanto, le classi di creditori che avevano votato favorevolmente non erano quelle che avrebbero subito un pregiudizio in ambito concordatario, ma, al contrario, erano classi che sarebbero state trattate più favorevolmente nell’ipotesi concordataria rispetto a quella liquidatoria.
Ne conseguiva quindi che non poteva ritenersi sussistente la condizione di cui alla lettera d) dell’articolo 112, comma 2, ccii.
In conclusione il Tribunale non poteva omologare il concordato, non essendo soddisfatte congiuntamente tutte le quattro condizioni previste dalla legge.
Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale