Sulle domande di rimborso il contribuente è parte sostanziale

Sulle domande di rimborso il contribuente è parte sostanziale

In una controversia su una domanda di rimborso fiscale avanzata dal contribuente quest’ultimo riveste la qualità di attore non soltanto in senso formale – come avviene nei giudizi di impugnazione di un atto impositivo – ma anche in senso sostanziale. Lo ha affermato, la Corte di cassazione con ordinanza n. 14998 del 29 maggio 2023

I principi affermati
In una controversia su una domanda di rimborso fiscale avanzata dal contribuente quest’ultimo riveste la qualità di attore non soltanto in senso formale – come avviene nei giudizi di impugnazione di un atto impositivo – ma anche in senso sostanziale. Lo ha affermato, accogliendo un ricorso presentato dall’Amministrazione finanziaria e cassando la decisione dei giudici tributari favorevole al contribuente, la Corte di cassazione con ordinanza n. 14998 del 29 maggio 2023.

Conseguenza di tale affermazione è che, in primo luogo, l’onere di allegare e provare i fatti ai quali la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato in domanda grava sul contribuente, e, secondariamente, che le argomentazioni con le quali l’Ufficio nega la sussistenza di detti fatti, o contesta che i medesimi siano qualificabili giuridicamente nei termini proposti dal contribuente, costituiscono mere difese, come tali non soggette ad alcuna preclusione processuale, salva l’ipotesi del formarsi di un giudicato interno o, ricorrendone i presupposti, salva l’applicazione del principio di non contestazione.

Il caso di specie e il ricorso in primo e secondo grado
Un contribuente, in qualità di erede di un soggetto titolare di reddito da lavoro dipendente, presentava istanza di rimborso dell’Irpef già versata in eccedenza dal de cuius in determinati periodi d’imposta.
Su detta istanza, l’ufficio finanziario non rispondeva al contribuente facendo cosi formare il silenzio rifiuto sulla stessa. Il contribuente erede proponeva allora ricorso alla Commissione tributaria provinciale territorialmente competente, allegando la sola istanza di rimborso.
I giudici tributari di primo grado accoglievano il ricorso presentato dal cittadino.
Avverso tale decisione dei giudici tributari, l’Agenzia delle entrate proponeva ricorso di appello eccependo, nel merito, come la domanda recasse ad oggetto il rimborso di una determinata somma di denaro, di cui non veniva però provato il preventivo versamento a titolo di imposta, oltre alla non debenza dell’eccedenza di quanto versato e di cui si richiedeva il relativo rimborso.
Il giudice tributario di appello continuava a dare ragione al contribuente erede sulla base della sola considerazione che l’istanza era stata tempestivamente presentata e che non vi fossero dubbi sul fatto che il cittadino fosse il vero beneficiario di quanto versato in eccedenza dal de cuius.
All’amministrazione finanziaria non rimaneva, quindi, altra strada se non quella di proporre ricorso di ultima istanza dinanzi alla Suprema Corte di cassazione, censurando la decisione della commissione tributaria regionale per aver quest’ultima omesso di pronunciarsi sulla contestazione afferente l’assenza di prova dei versamenti eseguiti e chiesti a rimborso.

La decisione dei giudici di legittimità  
Chiamata a pronunciarsi sulla questione, la Cassazione ha bocciato l’interpretazione fornita dai giudici tributari, cassando la relativa decisione.
I giudici, infatti, richiamando, tra le altre, le sentenze di Cassazione n. 15026/2014, n. 6550/2012, n. 29613/2011, hanno sottolineato come per concorde giurisprudenza sul punto, quando si è in presenza di una domanda di rimborso fiscale avanzata del contribuente, quest’ultimo riveste la qualità di attore in senso non soltanto formale – come nei giudizi di impugnazione di un atto impositivo – ma anche in senso sostanziale.
Ne discende che è proprio sul contribuente che ha avanzato la domanda di rimborso che grava l’onere di allegare e provare i fatti ai quali la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato in domanda e che danno diritto alla sua richiesta, e, che, in secondo luogo, le argomentazioni con le quali l’Ufficio nega la sussistenza di detti fatti, o contesta che i medesimi siano qualificabili giuridicamente nei termini proposti dal contribuente, costituiscono mere difese, come tali non soggette ad alcuna preclusione processuale, salva l’ipotesi del formarsi di un giudicato interno o, ricorrendone i presupposti, salva l’applicazione del principio di non contestazione.

E proprio con riguardo a tale principio di non contestazione, i giudici di legittimità, richiamandosi anche qui a due recenti arresti della Corte di Cassazione, ovvero le decisioni n. 20167/2020 e n. 9732/2016, hanno chiarito come questo sia certamente applicabile nel processo di tributario e come lo stesso non possa operare “nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria neghi in radice l’esistenza del credito, sicché il difetto di specifica contestazione dei conteggi funzionali alla quantificazione del credito oggetto della pretesa del contribuente può avere rilievo solo quando si riferisca a fatti non incompatibili con le ragioni della contestazione dell’an debeatur. Invero, il principio di non contestazione opera sul piano della prova e non contrasta, nè supera, il diverso principio per cui la mancata presa di posizione sul tema introdotto dal contribuente non restringe il thema decidendum ai soli motivi contestati se sia stato chiesto il rigetto dell’intera domanda.”.
Proprio in base a quanto appena affermato, i Supremi giudici hanno evidenziato come la Commissione tributaria regionale, non applicando i principi ora visti, si sia, nella fattispecie in esame, limitata ad esaminare il solo profilo concernente la presentazione della domanda e la legittimazione attiva del contribuente, mentre ha completamente omesso ogni esame circa il connesso profilo dell’onere probatorio e, quindi, circa la fondatezza della domanda medesima.

Per quanto ora visto, definitivamente pronunciandosi, la Corte di cassazione ha accolto il ricorso presentato dall’Amministrazione finanziaria, cassato la decisione della Commissione tributaria regionale (ora Corte di giustizia tributaria di secondo grado) e rinviato a diversa sezione della competente Corte di merito al fine di procedere ad un nuovo esame del merito della questione, da effettuarsi sulla base dei principi enunciati nella presente ordinanza dalla stessa Corte di cassazione.
 



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale