Una volta firmata l’adesione impossibile tornare indietro

Una volta firmata l’adesione impossibile tornare indietro

In caso di giudicato formatosi in ordine all’accertamento in sede giudiziale dell’adesione sul valore accertato da parte dei coeredi ex articolo 11, legge n. 880/1986, è precluso il riesame dei medesimi elementi di fatto nei confronti dei coeredi concordatari.
La dichiarazione di questi ultimi di volersi avvalere di una determinata definizione agevolata integra un atto volontario, frutto di una scelta del contribuente, i cui effetti sono previsti dalla legge, sicché, una volta presentata, è irrevocabile e non può essere modificata dall’ufficio, né contestata dal contribuente per un ripensamento successivo, ma solo per errore materiale manifesto e riconoscibile.
Si tratta dei principi statuiti dall’ordinanza della Corte di cassazione n. 21459/2023, in accoglimento del ricorso dell’Amministrazione finanziaria avverso una decisione della Commissione tributaria centrale, sezione di Torino, in una controversia con oggetto un avviso di rettifica dell’imposta di successione risalente all’anno 1986.

Il fatto e la vicenda processuale
La controversia riguarda un avviso di accertamento in rettifica di una dichiarazione di successione, che veniva definito con l’abbuono di legge del 10% dai coeredi della contribuente coinvolta nella controversia.
La predetta presentava ricorso avverso l’atto impositivo, chiedendo e ottenendo dalla Commissione tributaria di primo grado la riduzione pari al 30% del valore accertato in base al disposto dell’articolo 11 della legge n. 880/1986. Nelle more del ricorso, la contribuente presentava altresì un’istanza di rimborso dell’imposta di successione pagata a seguito di adesione dei soli suoi coeredi.
Formatosi il silenzio-rifiuto in ordine all’istanza, la contribuente impugnava anch’esso e la Commissione tributaria di primo grado respingeva il ricorso, “appurato che i coeredi hanno definito la vertenza tributaria con adesione sul valore accertato, vincolante anche per la ricorrente coerede, stante il principio di solidarietà fra gli eredi nei confronti del fisco”.

La Commissione concludeva, quindi, che il rimborso non era dovuto da parte dell’Amministrazione e che la ricorrente poteva eventualmente solo rivalersi nei confronti dei coeredi in sede civile. Su tale statuizione si formava il giudicato, non essendo stato interposto appello da parte della contribuente. Quest’ultima impugnava, invece, la decisione di primo grado relativa all’avviso di rettifica della dichiarazione di successione, richiedendo nel corso della lite, per la prima volta, l’applicazione dei criteri di valutazione automatica del valore degli immobili ai sensi del Dl n. 70/1988, convertito nella legge n. 154/1988.

I giudici dell’appello confermavano la decisione, ritenendo non accoglibile la domanda della contribuente, non avendo quest’ultima prodotto i certificati catastali dei beni caduti in successione, dai quali fosse possibile desumere le rendite catastali necessarie per la determinazione dei relativi valori.

La contribuente ricorreva avverso la predetta decisione alla Commissione tributaria centrale, in proprio nonché per conto degli altri coeredi, insistendo sulla richiesta di applicazione dei coefficienti automatici e chiedendo la conferma del valore dichiarato in quanto superiore a quello automatico.
La Commissione tributaria centrale accoglieva il ricorso, annullando l’accertamento e dichiarando validi, per l’effetto, i valori degli immobili come dichiarati da tutti gli eredi, ossia non solo dalla ricorrente, ma anche dai suoi coeredi, sebbene il ricorso fosse stato promosso solo dalla contribuente coinvolta nella vicenda giudiziaria in esame e senza che risultasse agli atti alcuna delega all’impugnazione da parte degli altri coeredi.

Il ricorso e la decisione della Corte di cassazione
Su impulso dell’Amministrazione finanziaria, la vertenza finiva all’esame della Cassazione. Quest’ultima, ribadendo un proprio orientamento, ha ritenuto che l’accertamento con adesione, avendo natura di concordato tra l’amministrazione ed il contribuente, ed essendo caratterizzato dal carattere volontario dell’adesione, non può che avere efficacia che nei confronti del solo soggetto che tale adesione ha prestato”, escludendo, quindi, che lo stesso possa acquisire valore anche indirettamente “nei confronti di chi abbia impuganto l’atto impositivo fondato sul valore accertato con adesione in relazione ad un diverso soggetto”.

La decisione ha invece riconosciuto, in accoglimento del ricorso presentato dall’Amminsitrazione, efficacia di giudicato esterno alla decisione della Commissione tributaria di primo grado, che aveva deciso in ordine al silenzio rifiuto impugnato dalla stessa, statuendo che le affermazioni ivi contenute, dotate di “efficacia di giudicato, circa la definizione della vertenza tributaria da parte degli altri coeredi con adesione sul valore accertato, hanno effetto preclusivo dell’esame degli stessi elementi nel presente giudizio (relativo all’accertamento del valore dell’eredità tassata), in quanto l’azione in esso dispiegata avrebbe in ogni caso identici elementi costitutivi”.
Il Collegio di legittimità ne ha fatto discendere il corollario per cui non aveva ragion d’essere la pronuncia della Ctc in riforma della sentenza di appello resa non solo nei confronti della contribuente, bensì di tutti i coeredi, in presenza di un giudicato che cristallizzava per gli eredi partecipanti al concordato la definizione della vertenza tributaria con adesione sul valore accertato.
In sostanza, secondo il dictum della Corte suprema, l’unico soggetto legittimato alla contestazione delle rettifiche apportate con l’avviso di rettifica poteva ritenersi la coerede rimasta estranea al concordato. E ciò in forza del principio dell’intangibilità del giudicato, che aveva appurato l’intervenuta adesione al valore accertato prestata dagli altri coeredi.

Vale la pena di osservare, sul punto, che la giurisprudenza di legittimità ha confermato il proprio orientamento inteso a ritenere sussistente un giudicato esterno laddove risulti inequivocabilmente dagli atti di causa che due giudizi intercorsi tra le medesime parti abbiano come oggetto un medesimo rapporto giuridico e uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato. In tal caso, il giudizio in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative a un punto decisivo comune a entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto già accertato e risolto (Cassazione civile, sezione V, pronunce n. 13152/2019, n. 16675/2011, n. 13854/2004; Cass civile, sezioni unite, sentenza n. 13916/2006).

In secondo luogo, Corte si è pronunciata in senso favorevole all’Erario in ordine all’eccepita violazione dell’articolo 11, comma I, legge n. 880/1986, rilevato che la Ctc, nonostante l’espresso rilievo sul punto da parte dell’Agenzia, aveva omesso di pronunciarsi in ordine all’intervenuta acquiescenza prestata dalla contribuente nel primo grado di giudizio alla residua pretesa erariale in forza della predetta norma.
A tal proposito si rammenta che, in buona sostanza, l’articolo 11 della legge n. 880/1986 prevede che per le successioni aperte e le donazioni poste in essere in data anteriore al 1° luglio 1986, per le quali non sia intervenuto il definitivo accertamento del valore imponibile, quest’ultimo possa essere determinato per adesione con una riduzione pari al 30% del valore accertato. A tal proposito il Collegio di piazza Cavour ha ritenuto che, trattandosi di una manifestazione di volontà, la stessa, a differenza delle dichiarazioni di scienza o di giudizio, per loro natura emendabili in caso di errore, deve ritenersi irretrattabile e insuscettibile di modifica, salvo nel caso di errore riconoscibile ed essenziale ai sensi dell’articolo 1428 del codice civile.

Sul punto la giurisprudenza si è pronunciata anche recentemente, statuendo che il principio di generale emendabilità della dichiarazione si riferisce all’ipotesi ordinaria nella quale la stessa rivesta carattere di mera dichiarazione di scienza, mentre, nelle parti in cui abbia carattere negoziale non opera, salvo che il contribuente dimostri il carattere essenziale e obiettivamente riconoscibile dell’errore in cui sia incorso, ai sensi degli articoli 1427 e seguenti del codice civile (Cassazione civile, sezione V, sentenza n. 35133/2022, sezione VI-V, ordinanza n. 255962018).

A tal proposito anche la dottrina ha affermato che il carattere dichiarativo di scienza della denuncia dei redditi non si estende alle determinazioni discrezionali previste dalla legge e contestuali alla dichiarazione che costituiscono veri e propri atti negoziali, generatori di effetti loro propri, come la scelta di destinare una percentuale delle imposte pagate ad alcune confessioni religiose o a partiti politici o a enti con finalità rilevanti, con la conseguenza che a essi si applicano le regole generali sui vizi del consenso civilistici (Gaffuri, Diritto Tributario, parte generale e parte speciale, Padova, 2006, pp. 105-106; A.M. Gaffuri, “La rettificabilità degli errori commessi da contribuente nell’esercizio delle opzioni fiscali”, in Giur. It. 1998, p. 1520).
Nella presente fattispecie, quindi, la Cassazione ha attribuito valore di estrinsecazione di volontà alla richiesta della contribuente volta a ottenere la riduzione pari al 30% del valore accertato, in base al disposto dell’articolo 11 legge n. 880/1986, attribuendovi valore di acquiescenza parziale alla pretesa.

La decisione in commento, ribadendo un orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, ha ritenuto che un atto di adesione non possa essere dotato di efficacia vincolante nei confronti dei soggetti non aderenti alla stessa (in tal senso già Cassazione civile, sezione V, ordinanze n. 18351/2021 e n. 1298/2019).
Per il principio civilistico di solidarietà cui è improntato il pagamento dell’imposta di successione, statuito dall’articolo 1292 cc, è vincolante per il contribuente solo il pagamento susseguente all’intervenuto atto di adesione. In ragione di ciò, la parte che abbia assolto la propria obbligazione in forza di un’adesione concordata con l’Amministrazione finanziaria non può ritrattare tale atto negoziale, richiedendo il rimborso di quanto pagato, salvi ovviamente i casi di indebito pagamento per accertata doppia imposizione o di pagamento indebito per ragioni non connesse con l’adesione.



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale