Voluntary: al contribuente provare il nesso fra reddito e beni emersi

Voluntary: al contribuente provare il nesso fra reddito e beni emersi

La Cgt di II grado del Friuli, con la sentenza n. 191 del 18 luglio scorso, ha stabilito che l’effetto preclusivo del generale potere di accertamento dell’amministrazione finanziaria, in caso di regolarizzazione dei capitali, ha natura di eccezionale misura di agevolazione per il contribuente il quale, pertanto, è onerato di fornire la relativa prova della correlazione tra gli imponibili in questione e le somme o le altre attività costituite all’estero e oggetto di rimpatrio, che rientrano nella sua disponibilità.

La vertenza originava dal controllo della posizione fiscale di un contribuente, svolto da una Dp delle Entrate, a seguito di istanza di collaborazione volontaria (“voluntary disclosure”), presentata dal contribuente ai sensi degli articoli da 5-quater a 5-octies del Dl n. 167/1990. In sostanza, l’Ufficio riteneva l’insufficienza delle indicazioni fornite dal contribuente in ordine ai fattori di tracciabilità di una elevata somma di denaro, conferita in una relazione bancaria aperta presso un istituto bancario svizzero, e applicava la disciplina di cui all’articolo 12, comma 2 n. 78/2009, qualificandosi così quei redditi sottratti a tassazione come “redditi diversi”, emettendo un avviso di accertamento ed un atto di contestazione sanzioni per omessa compilazione del quadro RW della dichiarazione dei redditi, riferibili al medesimo periodo di imposta.

La Ctp di Pordenone, adita in prime cure dal contribuente, accoglieva il ricorso, rilevando che l’articolo 5-quater dispone che colui che intenda avvalersi della procedura di collaborazione volontaria per l’emersione di attività detenute all’estero deve solo indicare spontaneamente all’amministrazione, mediante la presentazione di apposita richiesta, tutti gli investimenti e tutte le attività di natura finanziaria costituiti o detenuti all’estero, anche indirettamente o per interposta persona, fornendo i relativi documenti e le informazioni per la determinazione dei redditi che servirono per costituirli o acquistarli e versare le somme dovute in base all’invito di cui all’articolo 5, comma 1 Dlgs n. 218/1997, senza che l’ufficio possa esigere ulteriore dimostrazione della tracciabilità delle somme incassate, considerato, tra l’altro, che si trattava di denaro percepito in contanti.

Nel successivo gravame, l’ufficio, oltre a censurare il deliberato di prime cure nella parte sopra descritta, si doleva dell’insufficienza – ai fini della dimostrazione del perfezionamento della “voluntary disclosure” – dei documenti e delle informazioni fornite dal contribuente, e censurava, in particolare, la mancata valorizzazione della scansione temporale intercorsa tra l’epoca di percezione della provvista ed il deposito di essa nel conto svizzero, avvenuto svariati anni dopo.

La sentenza dei giudici friulani
Il Collegio d’appello friulano premette che, in termini generali, l’articolo 12, comma 2 n. Dl 78/2009, che nulla dispone in ordine alla categoria in cui ricomprendere il reddito presunto sottratto a tassazione, non può essere ricondotto ad un profilo di indeterminatezza della fattispecie, ma esprime una non censurabile espressione della discrezionale volontà legislativa.

Ebbene, il contribuente – nel caso di specie – non ha fornito la prova idonea a determinare l’origine della disponibilità estera, rendendola così inquadrabile nella categoria dei redditi diversi di cui all’articolo 67 Tuir. Inoltre, prosegue la Corte di giustizia del gravame, alle sanzioni irrogate ai sensi dell’articolo 17 Dlgs n. 472/1997, applicate nella misura minima prevista dalla legge, si applica il raddoppio previsto dall’articolo 12, comma 2 n. Dl 78/2009, in quanto le attività finanziarie detenute negli Stati a regime fiscale privilegiato in violazione degli obblighi di dichiarazione di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 4 Dl n. 167/1990, ai soli fini fiscali, si presumono costituite, salva la prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione. Inoltre, la base di calcolo del raddoppio tiene conto dell’articolo 1, comma 3 Dlgs n. 471/1997, cui fa riferimento il citato articolo 12.

Fatte tali premesse giuridiche, i giudici di secondo grado richiamano la giurisprudenza di legittimità che, di recente, ha chiarito che “premesso che … l’effetto preclusivo del generale potere di accertamento della Amministrazione, di cui all’art. 14, comma 1 lett. a) Dl 350/2001 … ha natura di eccezionale misura di agevolazione per il contribuente il quale, pertanto, è onerato di fornire la relativa prova, anche in virtù del cd. principio di vicinanza della prova, rispetto ai dati necessari a dare conto della correlazione tra gli imponibili in questione e le somme o le altre attività costituite all’estero e oggetto di rimpatrio, che rientrano nella disponibilità del primo, la questione di quale sia il contenuto del predetto onere è stata risolta da questa Corte, che ha affermato che “la limitazione normativa dell’inibizione dell’accertamento in riferimento agli imponibili rappresentati dalle somme o dalle altre attività costituite all’estero e oggetto di rimpatrio richiede la dimostrazione di una concreta correlazione oggettiva (quanto meno di compatibilità, se non di immediata derivazione, oltre che cronologica e quantitativa) tra il reddito accertato e la provenienza delle somme o dei beni rimpatriati o regolarizzati, nel senso che il reddito non dichiarato, oggetto di accertamento, deve essere collegato alle somme o ai beni emersi a seguito del rimpatrio, restando pertanto escluse dall’efficacia inibente dello “scudo” tutte quelle fattispecie in cui l’accertamento abbia ad oggetto componenti estranei rispetto alle attività “scudate” e con essi non compatibili” (Cassazione n. 8000/2023, n. 34577/2019, n. 4719/2021 e n. 38722/2021).

In sintesi, è opportuno soffermare la nostra attenzione sul fatto che la Corte friulana ritiene che l’onere della prova debba essere posto a carico del contribuente.
Quest’ultimo non può limitarsi ad addurre la mera compatibilità cronologica e quantitativa tra somme rimpatriate e quelle accertate, quando, tra l’altro, nel caso di specie vi era un ampio lasso temporale, di svariati anni, tra l’asserita acquisizione della provvista poi illecitamente costituita all’estero ed il deposito di essa presso la banca elvetica. Tale divaricazione cronologica, proprio in considerazione della sua ampia consistenza, ben avrebbe imposto, invece, al contribuente una più dettagliata descrizione dell’iter di raccolta, di intermedio collocamento e di trasporto delle somme in questione, anche perché il richiamo al supporto esecutivo fornito da un anonimo “spallone” per dare corso alla loro esportazione non può certo esimere il contribuente, che voglia utilmente avvalersi della procedura di collaborazione volontaria, dal fornire concreti elementi di riscontro, volti a fare piena luce sui fatti che sono alla base della precostituzione della provvista estera.
Il difetto di adeguata collaborazione informativa – palesemente non realizzata da parte del contribuente, come invece imposto dal già citato articolo 5-quater, comma 1, lettera a) Dl n. 167/1990 – comporta l’applicabilità dell’articolo 12, comma 2 Dl n. 78/2009, secondo cui “gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato … in violazione degli obblighi di dichiarazione di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’art. 4 Dl 167/1990 …, ai soli fini fiscali si presumono costituite, salva la prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione. In tale caso, le sanzioni previste dall’art. 1 Dlgs 471/1997 sono raddoppiate”.
In definitiva, il mancato supporto probatorio fornito dal contribuente determina conseguenze a suo carico di una certa consistenza: dell’onere viene investito il privato e non l’Amministrazione, come chiarito dalla Suprema Corte (vedi la già citata Cassazione n. 4719/2021), anche in virtù del principio di vicinanza della prova, secondo cui – come noto – l’onere della prova deve essere ripartito tenendo conto in concreto della possibilità per l’una o per l’altra parte di dimostrare circostanze che ricadono nelle rispettive sfere d’azione, per cui è ragionevole gravare dell’onere la parte maggiormente prossima al fatto da provare (cfr ex multis, Cassazione n. 12910/2022).



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale