L’adesione perfezionata esclude l’impugnazione del rimborso negato

L’adesione perfezionata esclude l’impugnazione del rimborso negato

Con la sentenza n. 29310 del 23 ottobre 2023, la Corte di cassazione ritiene non ripetibili le somme versate dalla parte privata, in adempimento di un atto di accertamento definito in adesione. La sottoscrizione dell’atto da parte dell’ufficio e del contribuente, con il successivo versamento delle somme dovute, perfeziona il nuovo provvedimento impositivo. “In tema di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, poiché avverso l’accertamento definito per adesione è preclusa ogni forma d’impugnazione, devono ritenersi improponibili anche le istanze di rimborso in quanto costituirebbero una surrettizia forma d’impugnazione dell’accertamento in questione il quale, invece, in conformità della “ratio” dell’istituto, deve ritenersi intangibile”.

La questione
La controversia in commento origina dalla presentazione di distinti ricorsi, da parte delle società consolidata e consolidante, del silenzio-rifiuto opposto dall’Agenzia alle richieste di rimborso di somme versate dalle stesse società a titolo di Ires per alcuni anni d’imposta. Le somme venivano pagate al fine di definire gli accertamenti con adesione, in base agli articoli 5 e seguenti del Dlgs. n. 218/1997.
La procedura di accertamento con adesione era stata preceduta da un’indagine penale condotta dalla Procura di Forlì, che aveva ipotizzato, a carico delle società coinvolte nella vicenda, il delitto di abusivo esercizio dell’attività bancaria in concorso con altro istituto di credito. Nel corso dell’attività investigativa, emergeva l’indeducibilità fiscale dei costi “da reato”, in quanto relativi all’acquisto di beni e servizi utilizzati per commettere il reato di abusivo esercizio di attività bancaria.
Le società, quindi, avevano definito la propria posizione con l’Agenzia tramite la procedura di accertamento con adesione, salvo poi formulare istanze di rimborso, con le quali richiedevano la restituzione delle somme versate, in considerazione del fatto che il Pubblico ministero non aveva mai esercitato l’azione penale nei loro confronti e che, con riguardo al rinvio a giudizio per infedele dichiarazione, sarebbe intervenuta una sentenza di assoluzione.

I giudici tributari del primo grado del giudizio rigettavano i ricorsi, dando atto che la richiesta di rinvio a giudizio da parte del Pubblico ministero già esisteva alla data dell’accertamento con adesione.
La decisione, appellata dalle società, veniva integralmente riformata dai giudici di secondo grado, secondo cui la definizione in adesione dell’accertamento doveva considerarsi illegittima, in quanto avvenuta in mancanza dell’esercizio dell’azione penale accaduta, a dire dei giudici, in momento successivo.

La sentenza veniva impugnata dalla parte pubblica che, in via principale, rilevava come, con le istanze di rimborso, le società intendessero sostanzialmente e inammissibilmente ritrattare l’adesione, a suo tempo presentata, definitivamente perfezionatesi a seguito del pagamento delle imposte; in subordine, deduceva l’errore in cui sarebbero incorsi i giudici del secondo grado nell’identificare il momento dell’esercizio dell’azione penale nella data di emissione del decreto di citazione a giudizio da parte del Tribunale penale di Forlì.

La sentenza della Corte di cassazione
I giudici di legittimità con la pronuncia in commento, ribaltano integralmente la decisione presa in secondo grado dai giudici emiliani, accogliendo integralmente i motivi di impugnazione proposti dall’Agenzia. Nel dettaglio, i giudici, in relazione all’atto di accertamento con adesione, affermano che “la sottoscrizione, invero, costituisce un requisito indispensabile per la venuta ad esistenza dell’atto di adesione, in mancanza della quale tutta l’attività svolta resta meramente interna e non influisce sulla consistenza dell’avviso originario o, comunque, sulla pretesa dell’Amministrazione. Tale requisito, tuttavia, costituisce una condizione necessaria ma non ancora sufficiente: perché il nuovo atto impositivo si perfezioni, infatti, è necessario che il contribuente provveda al pagamento integrale e tempestivo delle somme dovute […] Solo da tale momento, infatti, il pregresso avviso (o la pretesa) perde efficacia, sicchè l’originario avviso non può più essere azionato e la pretesa (ove manchi un avviso) resta ridimensionata alla misura “concordata”. Ne deriva che: se l’accertamento con adesione, pur sottoscritto, non è seguito dal pagamento dell’intero importo o della prima rata, l’atto non si perfeziona e, quindi, l’Amministrazione può validamente ed utilmente riattivare l’originario avviso o coltivare la pretesa contenuta nel pregresso pvc che non hanno mai perso in via definitiva efficacia; se, invece, l’inadempimento del contribuente riguarda l’omesso (o tardivo) pagamento delle rate successive alla prima, le conseguenze si riverberano sul nuovo atto impositivo (iscrizione a ruolo degli importi residui; incremento delle sanzioni (…)) e non più su quello originario che, oramai, è cessato e non è più suscettibile di reviviscenza”.
Inoltre, gli stessi giudici di legittimità ritengono che in tema di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, poiché avverso l’accertamento definito per adesione è preclusa ogni forma d’impugnazione, devono ritenersi improponibili anche le istanze di rimborso in quanto costituirebbero una surrettizia forma d’impugnazione dell’accertamento in questione il quale, invece, in conformità della “ratio” dell’istituto, deve ritenersi intangibile”.

Brevi considerazioni
L’accertamento con adesione consente al contribuente di giungere alla definizione della controversia nella fase precontenziosa, in contraddittorio con l’ufficio, ed è disciplinato dal Dlgs n. 218/1997.
La definizione mediante adesione dell’accertamento può comportare un ridimensionamento dell’entità della pretesa nell’ipotesi in cui l’ufficio accolga le doglianze del contribuente e determina una riduzione delle sanzioni a un terzo del minimo edittale.
Ai sensi dell’articolo 2, comma 3 del richiamato Dlgs “l’accertamento definito con adesione non è soggetto ad impugnazione, non è integrabile o modificabile da parte dell’ufficio”. In materia tributaria, la definizione dell’accertamento con adesione su istanza del contribuente determina, dunque, l’intangibilità della pretesa erariale oggetto del concordato intervenuto tra le parti, sicché risulta normativamente esclusa, per il contribuente, la possibilità di impugnare simile accordo e, a maggior ragione, l’atto impositivo oggetto della transazione, il quale conserva efficacia, ma solo a garanzia del Fisco, sino a quando non sia stata interamente eseguita l’obbligazione scaturente dal concordato. Affrontando una questione analoga al thema decidendum di questa controversia, una precedente pronuncia di legittimità (Cassazione n. 13129/2018) aveva affermato che “in tema di imposte sui redditi, poichè avverso l’accertamento definito per adesione è preclusa ogni forma d’impugnazione, devono ritenersi improponibili anche le istanze di rimborso in quanto esse costituirebbero una surrettizia forma d’impugnazione dell’accertamento in questione che, invece, in conformità alla “ratio” dell’istituto, deve ritenersi intangibile” (cfr anche  Cassazione, sentenze nn. 20732/2010, 18962/2005, 29587/2011 e 5744/2018, riguardanti l’Ici, le imposte dirette e l’Iva).
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Nel caso in esame, i giudici della suprema Corte hanno escluso la possibilità che il presupposto della definizione della pretesa tributaria, ovverosia la sussistenza di costi da reato indeducibili, potesse essere contestata da parte del contribuente una volta che lo stesso fosse stato protagonista partecipe del perfezionamento di una adesione definitiva con l’avvenuto versamento delle imposte dovute a seguito del concordato. In tal senso, cristallina e indiscutibile è l’affermazione dei giudici secondo cui “devono ritenersi improponibili anche le istanze di rimborso in quanto costituirebbero una surrettizia forma d’impugnazione dell’accertamento in questione il quale, invece, in conformità della “ratio” dell’istituto, deve ritenersi intangibile”.
In definitiva, l’intangibilità di quanto contenuto nell’atto di adesione all’accertamento esprime la perequata riscossione su quanto scaturente dalla comune individuazione dell’obbligo contributivo. Pertanto anche l’impugnazione del rifiuto espresso o silenzioso all’istanza di rimborso successiva alla definizione dell’accertamento con adesione non è consentita, in quanto strumento idoneo a creare una forma surrettizia d’impugnazione di un accertamento definitivo.



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale