Rivalutazione mercati regolamentati: nessun rimborso agli eredi

Rivalutazione mercati regolamentati: nessun rimborso agli eredi

Gli eredi del contribuente che ha effettuato la rivalutazione di quote di partecipazione in una società, laddove abbiano effettuato una seconda rivalutazione e pagato la relativa imposta sostitutiva ai sensi dell’articolo 5 della legge n. 448/2001, non diventano titolari del diritto al rimborso di quanto versato dal de cuius con la prima rivalutazione. Tale diritto sorge solo a seguito di una seconda rivalutazione operata dallo stesso contribuente che si trovi ancora nel possesso del bene. Gli eredi di quest’ultimo divengono quindi titolari delle quote affrancate dal de cuius e, per effetto della seconda rivalutazione, contraggono una nuova obbligazione tributaria, che determina un nuovo presupposto impositivo, con conseguente esclusione del diritto al rimborso. È quanto affermato dalla Corte di cassazione con l’ordinanza n. 31263 dello scorso 9 novembre.

Il fatto e la vicenda processuale
La controversia riguarda un’istanza di rimborso presentata da due soggetti in qualità di eredi, avente per oggetto l’imposta sostitutiva versata dalla contribuente de cuius come prima rata dell’imposta sostitutiva determinata sulla base della rivalutazione delle proprie quote di partecipazione in una società in nome collettivo. L’ufficio rigettava l’istanza, ritenendo che il diritto al rimborso spettasse solo alla defunta non costituendo la successiva rivalutazione, effettuata dagli eredi, presupposto per il diritto alla restituzione dell’imposta versata dalla contribuente deceduta.
Gli eredi proponevano ricorso avverso il diniego opposto dall’Amministrazione. La Commissione tributaria provinciale di Rimini lo rigettava. Tale decisione veniva capovolta in sede di gravame dalla Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, che condannava l’ufficio al rimborso delle somme richieste dagli eredi, oltre agli interessi.

Su impulso dell’Amministrazione finanziaria, la vertenza finiva all’esame della Corte suprema di cassazione.
L’Agenzia delle entrate censurava la decisione di secondo grado con un unico motivo, denunciando la violazione o falsa applicazione degli articoli 4 e 5 della legge n. 448/2001, nonché dell’articolo 7, del Dl n. 70/2011, in relazione all’articolo 360, comma I, n. 3), del codice di procedura penale. Deduceva, in particolare, l’ufficio, che i giudici di secondo grado avrebbero fondato la propria decisione sul carattere universale della successione mortis causa e, quindi, sul trasferimento del diritto al rimborso in capo agli eredi e che ciò sarebbe stato in contrasto con la normativa e la giurisprudenza in materia secondo cui, una volta esercitata l’opzione fiscale in oggetto da parte del de cuius, eventuali vicende successive non avrebbero potuto spiegare effetto contrario o rendere reversibili gli effetti fiscali già prodotti.

Merita ora mettere a fuoco la norma che regola la materia in trattazione.
L’articolo 5 della legge n. 448/2001 contiene la disciplina della rivalutazione delle partecipazioni non negoziate nei mercati regolamentati. Il meccanismo previsto dalla legge consiste nell’opzione, da parte del contribuente, per la rideterminazione del valore delle partecipazioni, cui consegue il versamento dell’imposta sostitutiva, che è pertanto frutto di una libera scelta del contribuente. Orbene, in caso di futura cessione del bene, l’opzione esercitata per la rivalutazione e il conseguente pagamento dell’imposta sostitutiva sul bene rivalutato consente al contribuente che scelto tale soluzione un risparmio sull’imposta ordinaria altrimenti dovuta sulla plusvalenza non affrancata.
Trattandosi di dichiarazione di volontà irretrattabile, l’opzione non può ritenersi soggetta alla disciplina dell’errore propria delle dichiarazioni di scienza, potendo la stessa essere corretta solo in caso di errore riconoscibile ed essenziale ai sensi dell’articolo 1428 del codice civile.

Negli anni successivi sono intervenute numerose novelle legislative, che hanno riaperto i termini per la rivalutazione delle suddette partecipazioni, aprendo la strada anche a nuove rivalutazioni, prevedendo a favore dei contribuenti la possibilità di chiedere, successivamente al versamento dell’intero importo o della prima rata della nuova imposta sostitutiva, la compensazione o il rimborso della precedente imposta versata in sede di prima rivalutazione, nei limiti di quanto dovuto sulla base dell’ultima procedura, secondo il disposto dell’articolo 7, comma II, lettere ee) e ff), Dl n. 70/2011.
Ora, venendo al caso concreto all’esame della Corte suprema, quest’ultima ha ritenuto che, in virtù del carattere personale dell’opzione fiscale in questione, il diritto al rimborso potrebbe spettare soltanto al soggetto che abbia già versato l’imposta sostitutiva in occasione della prima rivalutazione, laddove, in occasione di una seconda rivalutazione, non si sia avvalso della possibilità di detrarla dal tributo dovuto in relazione ai titoli rimasti in suo possesso.
Nella vicenda specifica, invece, trattandosi di eredi del soggetto che ha optato per la prima rivalutazione e, quindi, divenuti proprietari delle quote affrancate dal de cuius per successione, gli stessi, con la successiva operazione, hanno contratto una nuova obbligazione tributaria che ha dato luogo a un nuovo presupposto impositivo, che non dà adito ad alcun rimborso di quanto già versato.

I precedenti in materia di rivalutazioni di partecipazioni societarie
L’ordinanza n. 31263/2023 della Corte di cassazione si inserisce nel solco di un indirizzo giurisprudenziale improntato essenzialmente al carattere di irrevocabilità delle conseguenze fiscali dell’opzione volta alla rivalutazione di un bene.
La Cassazione in materia ha statuito che “l’imposta sostitutiva versata a seguito di rivalutazione […] è un’imposta volontaria, in quanto è frutto di una libera scelta del contribuente, il quale opta per la rideterminazione del valore del bene […] con conseguente versamento dell’imposta, nella prospettiva, in caso di futura cessione, di un risparmio su quella ordinaria altrimenti dovuta; in cambio l’Amministrazione finanziaria riceve un immediato introito fiscale” (Cassazione civile, sezione V, n. 10298/2019). Tale decisione sposava, inoltre, un risalente indirizzo secondo cui “l’evento della morte non ha privato di causa giuridica il pagamento dell’imposta a suo tempo effettuato, che solo un evento successivo ed imprevedibile ha reso inutiliter data […]”. Ne conseguiva che nessun diritto al rimborso potevano vantare gli eredi del de cuius che aveva effettuato l’opzione.

D’altro canto, anche nella materia analoga delle plusvalenze relative a terreni edificabili con destinazione agricola, il Collegio di legittimità ha affermato che “la libera scelta del contribuente di rideterminare il valore del bene attraverso una perizia giurata di stima e versare l’imposta sostitutiva ex art. 7 D. Lgs. n. 448/2001, non può essere revocata neppure in conseguenza di un evento successivo ed imprevedibile, quale il suo decesso, intervenuto prima della cessione del bene, che non priva di causa giuridica l’adempimento dell’obbligazione tributaria ormai effettuato, sicché gli eredi non possono ottenere il rimborso” (Cassazione civile, sezione V, n. 13406/2016).

La Cassazione ha escluso, altresì, il diritto a richiedere il rimborso a favore del cessionario di partecipazioni azionarie, che abbia proceduto a una seconda rivalutazione, statuendo che “la stessa impostazione lessicale del testo, art. 7, c. 2, lett. ee) e ff) della legge 106/11, rende palese che il legislatore intendesse far riferimento ad un unico soggetto legittimato, alternativamente, a procedere alla detrazione, dell’importo già pagato, dall’imposta dovuta per la nuova rivalutazione, ovvero a chiedere il rimborso dell’imposta già versata” (Cassazione civile, sezione V, ordinanza n. 9431/2019).
In sostanza, il cessionario è equiparato all’erede e, dunque, in quanto soggetto diverso da colui che ha esercitato la prima opzione, non contrae il diritto al rimborso.

Considerazioni conclusive
Nel caso concreto in commento, in sostanza, il Collegio supremo, esaltando il carattere personale dell’opzione fiscale esercitata con la rivalutazione, che assume i connotati di una dichiarazione di volontà irretrattabile, ha ritenuto non spettante il rimborso richiesto dagli eredi, ritenuto che il diritto allo stesso spetti al solo soggetto ancora in possesso del bene che abbia già versato l’imposta sostitutiva in occasione della prima rivalutazione.
In buona sostanza, affinché si avveri il presupposto per la condictio indebiti, sono necessari un requisito soggettivo e uno oggettivo. Il primo requisito è costituito dal fatto che solo il soggetto che abbia versato l’imposta relativa alla prima rivalutazione può chiedere il rimborso. Il requisito oggettivo è soddisfatto dalla circostanza che si sia creato un differenziale tra l’imposta dovuta in sede di seconda rivalutazione e quella pagata con la prima e che tale differenza non sia già stata detratta dal tributo dovuto per la seconda rivalutazione.



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale