Accertamento all’impresa familiare, maggior reddito solo al titolare

Accertamento all’impresa familiare, maggior reddito solo al titolare

Il reddito dell’impresa familiare va accertato solo nei confronti del titolare, unico obbligato a tenere le scritture contabili, mentre il reddito dei collaboratori, essendo da lavoro, va ragguagliato a quanto l’imprenditore stesso ha dichiarato di aver loro assegnato. Di conseguenza, la posizione degli altri familiari assume rilevanza solo nei rapporti interni. È quanto chiarito dalla Corte di giustizia tributaria di II grado della Sicilia, con la sentenza n. 8959 depositata il 6 novembre scorso.

Al centro della controversia vi era un avviso di accertamento, con il quale l’Agenzia delle entrate accertava a carico di un contribuente maggiori ricavi derivanti dall’attività di rivendita di tabacchi.
Nel ricorrere avanti alla Corte di giustizia di primo grado competente, il contribuente eccepiva che il maggior reddito fosse stato accertato dall’Amministrazione finanziaria senza tenere conto delle quote di partecipazione dei familiari, circostanza che avrebbe comportato una quantificazione inferiore degli importi richiesti.

Le predette doglianze venivano rigettate dal primo giudice sul presupposto che la previsione dell’imputazione all’imprenditore del 51% dei redditi dell’impresa familiare si applica solo ai redditi dichiarati ma non a quelli accertati dall’Amministrazione finanziaria.
Il contribuente, nel proporre gravame, adiva la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, riproponendo le medesime doglianze avanzate in prime cure.

La pronuncia del Collegio siciliano
Nel rigettare l’appello di parte contribuente, la Cgt siciliana premette che l’impresa familiare, disciplinata dall’articolo 230-bis codice civile, ha natura individuale e non collettiva.
L’articolo 5, comma 4 Tuir dispone che i redditi delle imprese familiari di cui all’articolo 230-bis del codice civile, limitatamente al 49% dell’ammontare risultante dalla dichiarazione dei redditi dell’imprenditore, sono imputati a ciascun familiare che abbia prestato in modo continuativo e prevalente la sua attività di lavoro nell’impresa proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili.
Consegue da ciò – spiega la Corte – che il reddito dell’impresa familiare va accertato solo nei confronti del titolare, che è anche l’unico obbligato a tenere le scritture contabili ai sensi dell’articolo 13 Dpr n. 600/1973, e la posizione degli altri familiari, che hanno prestato il loro apporto sul piano lavorativo, assume rilevanza esclusivamente nei rapporti interni.
Le considerazioni che precedono hanno ricevuto l’avallo della Corte di cassazione, che ha precisato che, in caso di verifica fiscale nei confronti di un’impresa familiare, il maggior reddito imprenditoriale accertato è riferibile soltanto al titolare dell’impresa. I maggiori redditi accertati, quindi, non possono essere imputati ai familiari collaboratori dell’imprenditore, sebbene risultino titolari del diritto di partecipazione agli utili (Cassazione n. 34222/2019 e n. 8582/2023).

Osservazioni conclusive
L’articolo 230-bis del codice civile, dal punto di vista storico, rappresenta una significativa innovazione, introdotta nel nostro ordinamento dalla riforma del diritto di famiglia del 1975, al fine di conferire rilevanza al lavoro prestato dai familiari dell’imprenditore nell’ambito dell’impresa familiare, così da superare la tradizionale presunzione di gratuità di tale tipologia di lavoro, che giustificava sovente situazioni di sfruttamento dell’attività lavorativa, in specie femminile.

Detta norma, tuttavia, non descrive cosa configuri l’impresa familiare ma si limita a disporre che “salvo che sia configurabile un diverso rapporto, il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, in proporzione alla quantità e alla qualità del lavoro prestato”.

Nell’ambito dell’impresa familiare, in sostanza, collaborano i familiari dell’imprenditore, identificati al successivo comma 3 della norma richiamata (ossia il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado), ma la disciplina può estendersi anche al convivente di fatto dell’imprenditore (cfr risoluzione n. 134/2017): detti soggetti, come spiega l’articolo 230-bis citato, prestano in modo continuativo la propria attività lavorativa, a fronte del riconoscimento del diritto al mantenimento, alla partecipazione agli utili e ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’impresa.

Ciò posto, dal punto di vista fiscale, la pronuncia della Cgt siciliana in commento si inserisce nel solco già tracciato dalla giurisprudenza di legittimità, da ultimo, con la già citata sentenza n. 8582/2023 (ma anche dalle sentenze della Cassazione n. 34222/2019 e n. 9198/2022), che ha chiarito che “in materia di impresa familiare, il reddito percepito dal titolare costituisce un reddito d’impresa, mentre le quote spettanti ai collaboratori – che non sono contitolari dell’impresa familiare – costituiscono redditi di puro lavoro, non assimilabili a quello di impresa, e devono essere assoggettati all’imposizione nei limiti dei redditi dichiarati dall’imprenditore”.

Detto orientamento, oramai del tutto prevalente, ha superato una precedente giurisprudenza, soprattutto di merito, che imputava non solo al titolare, ma anche ai collaboratori, il maggior reddito accertato all’impresa familiare. Si veda, ad esempio, Ctp Trento, sentenza n. 13/2013, che ha stabilito che “il maggior reddito contestato all’impresa familiare va ripartito tra i partecipanti laddove l’Amministrazione non contesti l’esistenza dell’impresa familiare o l’entità delle percentuali di ripartizione, non potendosi effettuare una scissione tra imputazione del reddito dichiarato ed imputazione del maggior reddito accertato”.

Tuttavia, l’orientamento espresso con la sentenza in commento appare in linea con la risalente prassi della stessa Amministrazione finanziaria, secondo cui – in sintesi – atteso che l’imputazione per trasparenza va effettuata sul reddito dell’impresa familiare risultante dalla dichiarazione dell’imprenditore e non sul maggior reddito accertato, gli eventuali maggior valori devono essere attribuiti esclusivamente al titolare dell’impresa e non agli altri familiari collaboratori (cfr circolare del Mef n. 6/1984).



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale