06 Feb Bonus beni strumentali inesistente, otto anni di tempo per la verifica
Legittimo il recupero dell’Ufficio per indebita fruizione del credito d’imposta beni strumentali nuovi, nei confronti della società che aveva utilizzato il macchinario per la stampa in rotativa anche per altri prodotti editoriali. La Cassazione, con la sentenza n. 34419/2023, ha ritenuto che nel caso in esame ricorressero i requisiti che consentono l’azione di accertamento per il periodo più lungo pari a 8 anni in quanto il bonus era estinto per la decadenza dall’agevolazione e quindi al momento del suo utilizzo era inesistente.
Con sentenza del 2014, la Ctr della Lombardia rigettava l’appello proposto da una società contro una pronuncia della Ctp di Milano che aveva a sua volta respinto il ricorso proposto dalla stessa avverso un avviso di accertamento relativo agli anni d’imposta 2006 e 2007, concernente il recupero di un’agevolazione riconosciuta per l’acquisto di beni strumentali posta indebitamente in compensazione.
L’atto era stato emesso in quanto la società – dopo avere acquistato due macchine per la stampa in rotativa, da utilizzarsi in via esclusiva per la produzione di prodotti editoriali in lingua italiana, così beneficiando del credito d’imposta (articolo 8 comma 2, lettera a), legge n. 62/2001) – aveva utilizzato dette rotative anche per altri prodotti editoriali, non in lingua italiana, così perdendo il diritto all’agevolazione.
La Ctr respingeva l’appello della società evidenziando che: a) il ministero dello Sviluppo economico aveva disconosciuto l’agevolazione; b) le rotative acquistate non erano state utilizzate per intero per la produzione editoriale in lingua italiana.
Avverso detta decisione la società è ricorsa in cassazione con otto motivi, riproponendo, in particolare, l’eccezione di decadenza della potestà accertativa dell’Amministrazione finanziaria riguardo alla ripresa per il 2006. L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.
Con ordinanza n. 35536/2022, depositata in data 2 dicembre 2022, la sezione tributaria ha rimesso la causa al 1° presidente per valutare l’opportunità dell’assegnazione della stessa alle sezioni unite civili, ravvisando un contrasto interpretativo interno alla medesima sezione tributaria sulla distinzione tra crediti d’imposta inesistenti e crediti d’imposta non spettanti: distinzione rilevante ai fini dell’individuazione del termine per l’esercizio della potestà accertativa da parte dell’Amministrazione finanziaria.
La questione posta all’attenzione delle sezioni unite investe la nozione di crediti d’imposta inesistenti, oggetto di considerazione dall’articolo 27, commi da 16 a 20, Dl n. 185/2008 e, poi, a seguito delle modifiche operate con il Dlgs. n. 158/2015, dall’articolo 13, comma 5, Dlgs. n. 471/1997, e se essa debba o meno essere distinta da quella di crediti d’imposta non spettanti, attualmente oggetto di considerazione dall’articolo 13, comma 4, Dlgs. n. 471/1997, refluendo, in particolare, sulla applicabilità del termine di decadenza lungo, di otto anni, introdotto dal comma 16 dell’articolo 27 Dl n. 185/2008, anziché di quello ordinario, previsto dell’articolo 43, terzo comma, Dpr n. 600/1973, per l’esercizio della potestà accertativa da parte dell’Amministrazione finanziaria in caso di indebita compensazione.
La medesima questione, inoltre, refluisce sul trattamento sanzionatorio poiché l’indebita compensazione con crediti inesistenti è soggetta alla più grave sanzione dal 100% al 200% dei crediti.
L’ordinanza di rimessione, nel delineare lo specifico oggetto della questione, rileva l’esistenza di un persistente contrasto interno alla sezione tributaria.
In particolare, secondo un primo più risalente e maggioritario orientamento tra le nozioni di “credito inesistente” e “credito non spettante” non vi sarebbe alcuna differenza.
Si è affermato, specificamente, che «l’art. 27, comma 16, DL 185/2008, conv. L. 2/2009, non intende elevare l’inesistenza” del credito a categoria distinta dalla “non spettanza” (distinzione a ben vedere priva di fondamento logico giuridico), ma intende solo garantire un margine di tempo adeguato per le verifiche talora complesse riguardanti l’investimento generatore del credito d’imposta, margine di tempo perciò indistintamente fissato in otto anni, senza che possa trovare applicazione il termine più breve stabilito dall’art. 43 DPR 600/73 per il comune avviso di accertamento» «dunque, ogniqualvolta il credito derivante dall’operato investimento non sussiste, per ciò solo deve ritenersi inesistente nel senso precisato dalla norma» (Cassazione n. 10112/2017 e n. 19237/2017; seguite poi da Cassazione n. 24093/2020, n. 354/2021 e n. 31859/2021).
In dissenso a questa interpretazione si sono poste le sentenze “gemelle” n. 34443/2021, n. 34444/2021 e n. 34445/2021. Queste ultime, dopo aver rilevato che la nozione di credito inesistente è stata positivamente dettata con «il “nuovo” art. 13, comma 5, terzo periodo, del DLgs. n. 471/97, come introdotto dall’art. 15 del DLgs. n. 158/2015», concludono nel senso di ritenere che il precedente orientamento «vada necessariamente superato anche per effetto della citata novella, non tanto e non già perché quest’ultima sia direttamente applicabile alla fattispecie, ratione temporis, bensì perché nella stessa definizione positiva di “credito inesistente” può rinvenirsi la conferma della dignità della distinzione delle due categorie in discorso, già sulla base dell’originario impianto normativo concernente la riscossione dei crediti d’imposta indebitamente utilizzati».
In estrema sintesi, la Cassazione ha formulato il seguente principio di diritto: «in tema di compensazione di crediti o eccedenze d’imposta da parte del contribuente, all’azione di accertamento dell’erario si applica il più lungo termine di otto anni, di cui all’art. 27, comma 16, DL n. 185 del 2008, quando il credito utilizzato è inesistente, condizione che si realizza – alla luce anche dell’art. 13, comma 5, terzo periodo, DLgs. n. 471 del 1997, come modificato dal DLgs. n. 158 del 2015 – allorché ricorrano congiuntamente i seguenti requisiti: a) il credito, in tutto o in parte, è il risultato di una artificiosa rappresentazione ovvero è carente dei presupposti costitutivi previsti dalla legge ovvero, pur sorto, è già estinto al momento del suo utilizzo; b) l’inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter DPR n. 600 del 1973 e all’art. 54-bis DPR n. 633 del 1972; ove sussista il primo requisito ma l’inesistenza sia riscontrabile in sede di controllo formale o automatizzato, la compensazione indebita riguarda crediti non spettanti e si applicano i termini ordinari per l’attività di accertamento».
Nel caso di specie, il credito d’imposta è regolato dall’articolo 8, comma 2, lettera a), legge n. 62/2001 che dispone «Gli investimenti per i quali è previsto il credito di imposta di cui al comma 1 hanno ad oggetto: a) beni strumentali nuovi, ad esclusione degli immobili, destinati esclusivamente alla produzione dei seguenti prodotti editoriali in lingua italiana: giornali, riviste e periodici, libri e simili, nonché prodotti editoriali multimediali».
Nella specie, è incontestato che l’impiego dei macchinari per la stampa di prodotti editoriali non in lingua italiana era avvenuto quantomeno nel 2004, sicché l’obbligo incombente sulla contribuente, come accertato dalla Ctr, non era stato adempiuto.
Il credito d’imposta, pertanto, era estinto per la decadenza dall’agevolazione e, quindi, nel 2006 (e nel 2007) al momento del suo utilizzo in compensazione era inesistente.
In conclusione, la Corte a sezioni unite ha rigettato il ricorso e compensato le spese di giudizio.
Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale