15 Feb Avviso legittimo, se la cessione a “prezzo valore” è chiesta tardi
In tema di cessione di immobili, il criterio del “prezzo valore” trova applicazione anche in relazione ai trasferimenti operati per provvedimento giudiziale, ma avendo natura agevolativa è di stretta interpretazione e, quindi, può applicarsi solo chiedendo il beneficio “a tempo debito”, in ogni caso prima di aver ricevuto l’avviso d’accertamento.
La vicenda controversa trae spunto dall’impugnazione, da parte di un contribuente, di un avviso di liquidazione emesso dall’Agenzia delle entrate, con il quale gli veniva intimato il pagamento dell’imposte di registro, ipotecaria e catastale, oltre che delle sanzioni e degli interessi, in relazione alla sentenza di divisione giudiziale degli immobili di cui i germani erano comproprietari. Sentenza, precisiamo, non registrata dalle parti.
La Ctp di Messina accoglieva parzialmente il ricorso, ritenendo che l’imposta dovesse essere calcolata sul valore catastale dei cespiti. La Ctr Sicilia respingeva l’appello proposto dall’Agenzia.
L’ufficio ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un’unica censura alla quale ha replicato il contribuente con proprio autonomo controricorso.
La doglianza erariale era fondata sulla violazione e falsa applicazione della legge n. 266/2005 (cfr articolo 1, comma 497, e articolo 43 del Dpr n. 131/1986).
I giudici di legittimità, con sentenza n. 31100 dell’8 novembre 2023, hanno accolto il ricorso dell’ufficio, cassato la decisione impugnata e, decidendo nel merito, hanno rigettato l’originario ricorso del contribuente, con condanna al pagamento delle spese di giudizio.
In linea generale, la suprema Corte ha richiamato l’articolo 1, comma 497, della citata legge n. 266/2005 che stabilisce: “…per le sole cessioni nei confronti di persone fisiche che non agiscano nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo e relative pertinenze, all’atto della cessione e su richiesta della parte acquirente resa al notaio, la base imponibile ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali è costituita dal valore dell’immobile determinato ai sensi dell’articolo 52, commi 4 e 5, del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, indipendentemente dal corrispettivo pattuito indicato nell’atto. Le parti hanno comunque l’obbligo di indicare nell’atto il corrispettivo pattuito. Gli onorari notarili sono ridotti del 30 per cento”.
Detta disposizione, quindi, ha introdotto un’opzione agevolativa, che consente alle parti dell’atto (in presenza di determinati requisiti soggettivi e oggettivi) di derogare al criterio generale di tassazione sulla base del valore di mercato degli immobili, a favore di un parametro matematico (valore catastale moltiplicato per i coefficienti normativi) ove ritenuto in concreto più conveniente.
La Corte costituzionale, con sentenza n. 6 del 15 gennaio 2014, ha dichiarato illegittimo l’articolo 1, comma 497, nella parte in cui ammetteva all’opzione soltanto gli acquirenti in regime di libero mercato, non anche quelli in sede di espropriazione forzata o a seguito di pubblico incanto.
Alla luce dei principi enunciati dalla Consulta, la Corte di cassazione, con ordinanza n. 5751 del 9 marzo 2018, ha riconosciuto che l’opzione per la determinazione della base imponibile secondo la disciplina del “prezzo valore”, deve essere ritenuta applicabile anche nell’ipotesi in cui il trasferimento dell’immobile sia avvenuto ai sensi dell’articolo 2932 cc, in tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto.
Questa posizione di legittimità si è andata consolidando (cfr ordinanza n. 8610/2021, che proprio sulla base del precedente, ha riconosciuto la possibilità di avvalimento del prezzo-valore anche in tema di divisione giudiziale). Si è statuito che, in tema di imposta di registro, l’opzione per l’applicazione della disciplina del “prezzo valore” di cui all’articolo 1, comma 497, della legge n. 266/2005, in ipotesi in cui il trasferimento immobiliare avvenga all’esito di un giudizio divisionale, deve essere esercitata prima che l’Amministrazione finanziaria abbia notificato atti del procedimento di accertamento sul valore dei beni trasferiti (cfr Cassazione, pronuncia n. 2581/2023).
I supremi giudici hanno già precisato, che (cfr Cassazione n. 6290/2022) la natura agevolativa del criterio del “prezzo-valore”, espressamente sottolineata anche dalla Corte costituzionale, impone che l’esercizio dell’opzione di avvalersi di detto criterio avvenga “in condizioni di univocità e certezza … in nessun caso il requisito formale della esplicitazione in atto del regime agevolativo potendo essere esautorato a favore di un criterio interpretativo che valorizzi il comportamento delle parti ovvero la loro intenzionalità comunque ricostruibile”.
A tale precisazione va aggiunta quella – specificamente di rilievo nel caso in esame – per cui, in rapporto alla segnalata correlazione tra esercizio dell’opzione e preclusione del potere accertativo del maggior valore da parte dell’ufficio, l’esercizio dell’opzione deve avvenire a tempo debito.
La Corte, nella citata ordinanza n. 5751/2018, ha evidenziato che, nel caso ivi esaminato, l’opzione era stata correttamente esercitata mediante dichiarazione notarile integrativa del contenuto della sentenza (ex articolo 2932 cc) al momento del versamento del residuo prezzo, prima dell’emissione dell’avviso.
Appare incontroverso invece che, nel caso concreto, la parte privata aveva chiesto l’applicazione del criterio del prezzo valore solo dopo aver ricevuto l’avviso di rettifica e precisamente con l’istanza presentata all’Amministrazione perché questa annullasse, in via di autotutela, l’avviso di liquidazione.
In conclusione, il criterio del “prezzo valore”, così come sancito dalla Corte costituzionale nel 2014, deve trovare applicazione anche ai trasferimenti operati per provvedimento giudiziale, ma avendo natura agevolativa è di stretta interpretazione e, quindi, può applicarsi solo in presenza di tutte le condizioni di legge, tra cui anche quella della richiesta dell’agevolazione, da presentare “a tempo debito” (anche se, in tal caso, non può essere ovviamente richiesta al notaio).
Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale