Se lo spot raggiunge i destinatari, l’imposta sulla pubblicità è dovuta

Se lo spot raggiunge i destinatari, l’imposta sulla pubblicità è dovuta

Il presupposto impositivo dell’imposta comunale sulla pubblicità va individuato nell’astratta possibilità del messaggio, visivo o acustico che sia, di raggiungere un numero indeterminato di destinatari, divenuti tali per il solo fatto di trovarsi in un luogo aperto al pubblico. È quanto ha stabilito, accogliendo le tesi dell’Amministrazione finanziaria e confermando la decisione dei giudici di primo grado, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, con la sentenza n. 33 dell’8 gennaio 2024. Inoltre, ha precisato che deve essere considerato luogo pubblico anche quello comunque accessibile, sia pure nel rispetto di determinate condizioni che possano regolarne l’ingresso.
In particolare, i magistrati pugliesi hanno ritenuto che gli impianti pubblicitari esposti al di fuori dell’esercizio commerciale e chiaramente visibili da tutti quei consumatori, che quotidianamente affollano un centro commerciale, realizzano pienamente il presupposto impositivo  di cui all’articolo 5 del Dlgs n. 507/1993, che considera rilevanti e assoggettabili a imposizione i messaggi diffusi nell’esercizio di un’attività economica allo scopo di promuovere la domanda di beni o servizi, ovvero finalizzati a migliorare l’immagine del soggetto pubblicizzato.

Il caso e il ricorso in primo grado
Un negozio di merceria, costituito sottoforma di società a responsabilità limitata, esponeva, all’interno di un centro commerciale, dei cartelloni contenenti la denominazione della ditta e i prodotti dalla stessa venduti, ovvero merceria varia, pizzi e merletti.
Il Comune, nella cui circoscrizione territoriale ricadeva il centro commerciale, emetteva, nei confronti della società contribuente, apposito avviso di accertamento per il mancato pagamento dell’imposta sulla pubblicità, ritenendo i cartelloni esposti dei veri e propri cartelloni pubblicitari. Al contrario, il negozio riteneva che gli stessi cartelloni non avessero alcuna natura pubblicitaria propriamente detta, essendo solo delle mere segnaletiche svolgenti una funzione di ausilio viario e di ausilio direzionale/orientativo per i clienti del centro commerciale.
La contribuente impugnava, quindi, l’avviso di accertamento dinanzi la competente Corte di giustizia tributaria di primo grado, lamentando la non debenza dell’imposta in quanto l’articolo 5, del Dlgs n. 507/1993, prevede l’imposizione fiscale per i messaggi diffusi in luogo pubblico, mentre i cartelloni in questione erano esposti all’interno di un centro commerciale e non esplicavano, a proprio giudizio, una funzione pubblicitaria ma esclusivamente una funzione di mera segnaletica.

Interessati della questione, i giudici tributari di primo grado rigettavano il ricorso della contribuente, ritenendo legittima la richiesta impositiva dell’amministrazione comunale.
Avverso tale decisione, la società proponeva appello dinanzi la competente Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, chiedendo nuovamente l’annullamento della pretesa impositiva del Comune. L’Amministrazione si difendeva e chiedeva la conferma della decisione di primo grado, sostenendo che la cartellonistica approntata dal negozio era esposta al difuori dell’esercizio commerciale ed era quindi chiaramente visibile a tutti i consumatori che quotidianamente frequentano il centro commerciale, realizzando così l’indubbio scopo pubblicitario di promuovere la domanda di beni e servizi offerti dal negozio stesso.

L’imposta comunale sulla pubblicità e il canone unico
Il decreto legislativo n. 507/1993 ha disciplinato l’imposta comunale sulla pubblicità, lasciando ampia discrezionalità di regolamentazione in capo ai Comuni.
Il presupposto dell’imposta, ai sensi dell’articolo 5 del decreto, è la diffusione di messaggi pubblicitari in luoghi pubblici, aperti al pubblico o esposti al pubblico, nell’esercizio di un’attività economica, attraverso forme di comunicazione acustiche o visive al fine di promuovere la domanda di beni o servizi di natura commerciale e/o di migliorare l’immagine del soggetto economico.
L’imposta, in particolare, investe le forme pubblicitarie non realizzate a mezzo di stampa quotidiana o periodica, che intendono orientare l’interesse del pubblico verso un oggetto o un soggetto ed è determinata in funzione della minima figura geometrica piana in cui è circoscritto il messaggio pubblicitario, non rilevando il numero dei caratteri del medesimo ed essendo esenti dall’imposta i messaggi ubicati su superfici inferiori a 300 centimetri quadrati. 
Il successivo articolo 17 del decreto in argomento prevede una serie di ipotesi esenti dal tributo. Tra le altre, l’imposta sulla pubblicità non è dovuta:

  • per le insegne di esercizio di attività commerciali e di produzione di beni o servizi, che svolgono un ruolo identificativo della sede in cui si svolge l’attività di riferimento
  • per la pubblicità interna ai locali adibiti a vendita di beni o prestazione di servizi, avente a oggetto l’attività stessa in essi esercitata
  • per gli avvisi in ordine a locazione o vendita dell’immobile
  • per la pubblicità in ordine ai giornali e alle pubblicazioni periodiche, esposta sulle facciate esterne delle edicole o nelle vetrine o sulle porte di ingresso dei negozi in cui si realizza la vendita
  • per la pubblicità effettuata in via esclusiva dallo Stato e dagli Enti pubblici territoriali
  • per le insegne, le targhe e simili, identificative delle sedi di comitati, associazioni, fondazioni e ogni altro ente privo di scopo di lucro
  • per la pubblicità proiettata nelle sale cinematografiche, in quanto percepibile solo da possessori dei titoli di ingresso.

Infine, deve essere ricordato che, a decorrere dal 2021, ai sensi del comma 816 dell’articolo 1, del Bilancio 2020 (legge n. 160/2019), l’imposta comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni, congiuntamente ad altri tributi locali, sono stati inglobati e sostituiti dal cosiddetto “canone unico”, ovvero canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria. Il tributo, istituito dai Comuni, accorpa in un unico prelievo le entrate locali relative all’occupazione degli spazi e delle aree pubbliche (Tosap), alla affissione e alla diffusione di messaggi pubblicitari e all’installazione di mezzi pubblicitari e all’occupazione delle strade di pertinenza comunale.

La decisione dei giudici tributari di appello
Chiamata a pronunciarsi definitivamente nel merito, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia ha respinto l’appello della società contribuente.
I magistrati baresi hanno, infatti, ritenuto non sostenibile la tesi della parte ricorrente circa la valenza meramente segnaletica della cartellonistica esposta nel centro commerciale. I cartelloni stessi, hanno precisato i giudici, riportavano, invero, oltre all’insegna contenente la denominazione della ditta, le produzioni, merceologicamente specificate e offerte in vendita all’interno del negozio, come articoli vari di merceria, lavorazioni in pizzo, tessuti ricamati eccetera, facendo sì che il messaggio pubblicitario fosse evidentemente prevalente rispetto a una pur presente funzione segnaletica e di indicazione dell’ubicazione del punto vendita stesso.

Dunque, la cartellonistica esposta dall’esercente presentava, hanno proseguito i giudici tributari, l’indiscussa capacità di richiamare l’attenzione del pubblico, e il presupposto di imposta si ha proprio allorquando i mezzi pubblicitari siano esposti o effettuati in luoghi pubblici o aperti a pubblico o che siano da tali luoghi percepibili e “l’imponibilità va ricercata nell’astratta possibilità del messaggio, in rapporto all’ubicazione del mezzo, di avere un numero indeterminato di destinatari, che diventino tali sol perché vengono a trovarsi in quel luogo determinato”.
Quello del negozio altro non era, quindi, che un chiaro messaggio pubblicitario diffuso nell’esercizio di un’attività economica, allo scopo di promuovere la domanda di beni o servizi.
Per quanto detto, pronunciandosi definitivamente nel merito, la Corte d’appello tributaria della Puglia, allineandosi alle tesi dell’Amministrazione, ha confermato in pieno la decisione dei giudici di primo grado sfavorevole alla contribuente, addossando a quest’ultima anche le spese processuali del giudizio.



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale