30 Mar Il mercante d’arte mascherato compie reato: voluntary impossibile
Nell’ambito della procedura di voluntary discolosure, l’aver taciuto informazioni rilevanti ad attestare lo status di mercante di opere d’arte e non di mero collezionista privato e l’aver falsamente dichiarato che le opere d’arte oggetto di regolarizzazione fossero all’estero, costituiscono mendacio fattuale per la configurabilità del reato previsto per chi esibisce o trasmette atti o documenti falsi o fornisce notizie non rispondenti al vero (articolo 5-septies del Dl n. 167/1990). La condotta penale è sempre attribuibile al contribuente, anche se l’istanza è stata presentata per il tramite di un professionista delegato. Queste le interessanti indicazioni contenute nella sentenza n. 2559 emessa dalla sezione penale della Corte di cassazione il 22 gennaio 2024.
La sentenza
L’esame degli aspetti inerenti alla procedura di collaborazione volontaria è avvenuto nell’ambito del procedimento penale con cui, i giudici di merito e poi quelli di legittimità, hanno condannato a tre anni di reclusione un soggetto per il reato di cui all’articolo 5-septies del Dl n. 167/1990, per aver fornito atti falsi e notizie non veritiere nell’ambito della procedura di regolarizzazione per l’emersione di attività finanziarie e patrimoniali costituite o detenute all’estero (articolo 5-quater, stesso decreto).
Gli aspetti interessanti, che emergono dalla sentenza in esame, sono due: il primo riguarda il perimetro del mendacio fattuale, che ha determinato la responsabilità penale dell’imputato, e il secondo l’imputabilità del reato, quando la comunicazione di dati e notizie è compiuta per il tramite di un professionista che assiste il contribuente nell’ambito della procedura di collaborazione volontaria.
Per quanto riguarda il primo tema è opportuno precisare che il reato in argomento, previsto nel caso di esibizione o trasmissione di atti o documenti falsi, in tutto o in parte, o di dati e notizie non rispondenti al vero, è volto a garantire il corretto svolgimento della procedura di collaborazione volontaria, attraverso la consegna all’autorità finanziaria di tutti i dati e le notizie rilevanti ai fini della individuazione del regime fiscale applicabile e, quindi, della determinazione dell’esatto ammontare degli imponibili. Si tratta di una condotta riconducibile alla “falsità ideologica”, che sussiste quando sono rese informazioni o esposti fatti in maniera incompleta o parziale, nonché quando sono taciuti dati la cui omissione è rilevante ai fini dell’economia dell’atto, “essendo penalmente irrilevanti soltanto quelle omissioni del tutto irrilevanti rispetto alla finalità dell’atto”.
Nel caso concreto, il contribuente è stato ritenuto penalmente responsabile per avere falsamente rappresentato e totalmente taciuto importanti elementi indiziari, indispensabili per attestare lo svolgimento di un’attività professionale suscettibile di generare reddito imponibile, essendo perfettamente consapevole di essere un mercante d’arte e non, come asserito, un collezionista privato (cfr Cassazione, sentenza n. 1603/2024 – vedi articolo “La vendita sistematica di opere d’arte per il fisco produce reddito d’impresa”).
I giudici di cassazione hanno contestato la simulazione, in sede di voluntary disclosure, di essere animato, il contribuente, “da meri interessi culturali nelle compravendite di opere d’arte effettuate nel periodo considerato, dissimulando l’evidente intento di business e la professionale attività volta a generare profitti”. In questo senso sono emersi molteplici profili di mendacio fattuale, dall’esercizio abituale di un’attività di commercio di opere d’arte per un giro d’affari milionario e con plusvalenze considerevoli, fino alla riconducibilità di società-schermo estere operanti nel settore del commercio delle opere d’arte, formalmente intestate al figlio dell’istante.
Questi elementi, nell’insieme, hanno indotto a considerare come imprenditoriale, e dunque fonte di reddito imponibile e rilevante ai fini della procedura di emersione, l’attività di commercio di opere d’arte svolta all’estero dall’imputato.
Oltre all’omissione di fatti rilevanti, nel corso della controversia è emerso che il contribuente ha fornito notizie non rispondenti al vero, dichiarando falsamente che, prima della presentazione della domanda di collaborazione volontaria, molte delle opere indicate come detenute all’estero si trovavano invece in Italia.
L’omissione di circostanze fattuali necessarie ai fini della individuazione del regime fiscale applicabile e la falsa rappresentazione di notizie rilevanti ai fini della procedura di collaborazione volontaria di cui all’articolo 5-quater del Dl n. 167/1990 configurano, pertanto, il reato previsto dal successivo articolo 5-septies, che punisce chi esibisce o trasmette atti o documenti falsi, in tutto o in parte, ovvero fornisce dati e notizie non rispondenti al vero con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni.
Per l’imputabilità del reato, i giudici di legittimità hanno inoltre chiarito che la condotta penale è sempre attribuibile al contribuente, anche se la formazione o la trasmissione degli atti e documenti o, comunque, la comunicazione dei dati e notizie è stata compiuta per il tramite di un professionista delegato. Ciò è vero tanto più se si considera che, a norma dello stesso articolo 5-septies, l’istante ha rilasciato al professionista una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, attestante “che gli atti o documenti consegnati per l’espletamento dell’incarico non sono falsi e che i dati e notizie forniti sono rispondenti al vero”.
Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale