Induttivo annullato in toto, la Ctr deve rifare i conti

Induttivo annullato in toto, la Ctr deve rifare i conti

Nel caso di accertamento induttivo puro, l’ufficio è tenuto a determinare – induttivamente – non solo i ricavi, ma anche i corrispondenti costi. Se ciò non avviene, è dovere del giudice di merito accertare il quantum dei costi sostenuti per la produzione del reddito. Lo statuisce la Cassazione con l’ordinanza n. 2344/2024, rinviando la questione ad altra sezione della Ctr che ha errato.

La vicenda controversa, portata al vaglio della suprema Corte, derivava da due ricorsi per cassazione proposti dall’ufficio – e fondati su tre motivi di impugnazione – avverso altrettante decisioni sfavorevoli della Ctr Calabria, con le quali venivano rigettati i gravami erariali aventi a oggetto, in origine, un avviso di accertamento emesso a seguito di omessa fatturazione di ricavi per la vendita di autovetture per un ammontare di 1.569.953 euro e la conseguente cartella di pagamento.

La Ctr aveva respinto le doglianze dell’Agenzia ritenendo, nel merito, che nell’accertamento in rettifica l’Amministrazione avrebbe dovuto tener conto delle voci di costi effettivamente sostenute e, nel caso concreto, delle spese affrontate dal rivenditore di automobili per l’acquisto delle autovetture da vendere.

I giudici di legittimità, con l’ordinanza n. 2344 dello scorso 24 gennaio 2024, dopo aver riunito le due controversie e in accoglimento del secondo motivo di doglianza (con assorbimento del terzo) hanno cassato con rinvio ad altra sezione della Ctr Calabria.

In relazione al motivo ritenuto meritevole di accoglimento – denunzia di violazione dell’articolo 36, comma 2, n. 4, cpc, in quanto la Ctr avrebbe emesso una pronunzia di annullamento integrale dell’avviso risultante priva di motivazione, pur riferendosi all’asserita necessità di riconoscere ulteriori costi e argomentando, in sostanza, solo sulla spettanza di una riduzione dell’accertato, in ragione dei costi, ma non giustificando in alcun modo il radicale annullamento dell’atto impositivo – la Corte ha evidenziato che i giudici di secondo grado, pur avendo correttamente affermato che l’Amministrazione doveva tenere conto delle voci di costo effettivamente sostenute per l’acquisto delle autovetture da vendere, nulla poi ha argomentato sulla statuizione assunta di integrale annullamento dell’avviso di accertamento impugnato, rigettando integralmente l’appello dell’ufficio.
E invero, i giudici di secondo grado avevano il compito di accertare i costi sostenuti per la produzione del reddito e di quantificarli anche in via presuntiva; accertamento di merito che, tuttavia, nel caso di specie, non era stato effettuato.

In definitiva, la suprema Corte ha espresso un principio di diritto già richiamato in precedenti pronunce di legittimità (cfr Cassazione nn. 16896/2014 e 15161/2020) in base al quale, in caso di accertamento analitico o analitico presuntivo, è il contribuente ad avere l’onere di provare l’esistenza di costi deducibili, afferenti ai maggiori ricavi o compensi, senza che l’ufficio possa, o debba, procedere al loro riconoscimento forfettario.

Invece, nel caso di accertamento induttivo puro, è lo stesso ufficio a essere onerato di determinare induttivamente non solo i ricavi, ma anche i corrispondenti costi.
Ove ciò non avvenga, va demandato al giudice di merito l’accertamento del quantum dei costi sostenuti per la produzione del reddito, in ragione del parametro individuato nel paragrafo 8 della sentenza della Corte costituzionale n. 10/2023, quantificandoli in via presuntiva, anche con riferimento alle “medie elaborate dall’Amministrazione finanziaria per il settore di riferimento, o, se del caso, anche a mezzo di Ctu.



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale