Con Irpef il rimborso al medico per l’ambulatorio fuori residenza

Con Irpef il rimborso al medico per l’ambulatorio fuori residenza

Il “rimborso spese di accesso” alla sede di lavoro situata in un Comune diverso da quello di residenza, percepito dal medico ambulatoriale convenzionato, determinato con il criterio forfettario dell’indennità chilometrica, deve ritenersi soggetto a imposizione poiché ricompreso tra “le somme a qualunque titolo percepite” in relazione al rapporto di lavoro dipendente. Lo ha affermato la Cassazione nelle sentenze n. 2124, n. 2126 e n. 2184 del 22 gennaio 2024.

I fatti
Alcuni medici specialisti ambulatoriali, convenzionati con il Ssn presso Asl di diverse regioni italiane, hanno chiesto ai competenti uffici dell’Agenzia delle entrate il rimborso delle ritenute ai fini Irpef operate dai sostituti d’imposta. Si trattava delle trattenute sulle somme percepite per le annualità comprese tra il 2011 e il 2015, a titolo di rimborso spese di viaggio per l’attività professionale svolta presso ambulatori esterni ai propri comuni di residenza. A parere dei medici, tali emolumenti non avevano natura retributiva ma risarcitoria e non integravano, pertanto, reddito imponibile.

L’Agenzia delle entrate negava i rimborsi poiché, tra l’altro, tali somme non avevano natura risarcitoria, non rientravano tra le esenzioni in materia di reddito di lavoro dipendente elencate nel comma 2, lettera d), dell’articolo 51 Tuir (secondo cui non sono imponibili le sole “prestazioni di servizio di trasporto collettivo alla generalità o a categorie di dipendenti; anche se affidate a terzi ivi compresi gli esercenti servizi pubblici”: nel caso specifico si trattava, invece, del rimborso delle spese sostenute dal contribuente per l’uso del proprio mezzo di trasporto, impiegato per raggiungere la sede di lavoro) e neppure tra quelle previste nel successivo comma 5, che disciplina la diversa ipotesi delle indennità corrisposte al dipendente per trasferte o missioni svolte nell’interesse del datore di lavoro.
Ai dinieghi seguivano i ricorsi dei professionisti, con esito favorevole nei gradi di merito. Le Commissioni tributarie, infatti, hanno ritenuto che gli esborsi fossero correlati a specifici parametri (il chilometraggio effettivamente percorso e il costo del carburante rilevato volta per volta), ne era stata provata la quantificazione e, inoltre, avevano natura risarcitoria trattandosi di somme corrisposte per incarichi, che comportavano spese superiori a quelle rientranti nella normalità della prestazione lavorativa.

In particolare, i giudici di appello hanno riconosciuto che, pur non esistendo alcun obbligo del medico convenzionato di stabilire la residenza nel Comune di esercizio dell’attività, ben potendo scegliere di svolgere le proprie prestazioni in un Comune diverso, tuttavia, il medico, fissando la sua residenza in un determinato luogo, per raggiungere la sede di lavoro, deve anticipare le spese di viaggio, da ristorare sulla base dei principi affermati dalla Cassazione (ordinanza n. 6793/2015 e sentenza n. 9107/2002).

L’Agenzia ha proposto distinti ricorsi per Cassazione, lamentando che i giudici di appello, sulla base di una interpretazione non corretta delle specifiche disposizioni in materia (articolo 51 Tuir e articolo 35 Dpr n. 271/2000, attuativo dell’articolo 48, Accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici specialisti ambulatoriali interni, stipulato il 9 marzo 2000), avrebbero dovuto affermare che le somme corrisposte ai medici specialisti ambulatoriali a titolo di rimborso spese di viaggio avevano natura retributiva e non risarcitoria e, quindi, erano assoggettabili a ritenuta Irpef, con conseguente insussistenza del diritto dei contribuenti a ottenere il rimborso delle ritenute.

La Corte ha accolto i ricorsi e ha affermato il seguente principio di diritto: “il ‘rimborso spese di accesso’ previsto dall’art. 35 del D.P.R. n. 271 del 2000, … alla sede di lavoro che si trovi in un Comune diverso da quello di residenza del medico ambulatoriale convenzionato, … è ontologicamente diverso dalle ‘indennità percepite per le trasferte’ di cui all’ art. 51 comma 5 Tuir, le quali consistono in spostamenti temporanei del luogo di esecuzione della prestazione lavorativa in comune diverso da quello ove essa è ordinariamente effettuata, spostamenti intervenuti su richiesta e nell’interesse del datore di lavoro; di conseguenza, il principio di onnicomprensività previsto dall’art. 51 comma 1 Tuir comporta che tale voce … debba essere ricompresa tra ‘le somme a qualunque titolo percepite’ in relazione al rapporto di lavoro dipendente, pertanto soggette ad imposizione fiscale.» (Cassazione, sentenze n. 2124, n. 2126 e n. 2184 del 22 gennaio 2024).

Osservazioni
I giudici di piazza Cavour hanno precisato che alcuni precedenti di legittimità, richiamati dai contribuenti e dalle pronunce di merito (Cassazione, n. 6816 e n. 15731 del 2023; n. 30624/2021, n. 8489/2020 e n. 6793/2015), risultavano tutti calibrati sulla previsione dell’articolo 51 comma 5 Tuir, che riguarda i “trasfertisti occasionali” e prevede la non imponibilità, in tutto o in parte, delle “indennità percepite per le trasferte o le missioni fuori del territorio comunale.

Altri, invece, riguardavano le deroghe al principio di onnicomprensività della retribuzione per alcune indennità erogate a dipendenti che svolgono, occasionalmente o abitualmente, attività lavorativa in luoghi diversi rispetto a quello individuato nel contratto di lavoro. Con riferimento ai “trasfertisti abituali”, tenuti per contratto all’espletamento delle attività lavorative in luoghi sempre variabili e diversi, infatti, la Cassazione ha richiamato la nozione di  trasferta (caratterizzata: 1) dal trasferimento del lavoratore in un luogo diverso da quello abituale per svolgere l’attività lavorativa; 2) dalla “temporaneità” del mutamento del luogo di lavoro; 3) dalla necessità che la prestazione lavorativa sia effettuata in esecuzione di un ordine di servizio del datore di lavoro e dalla irrilevanza del consenso del lavoratore) e la circostanza che sono considerati “trasferisti abituali” i lavoratori subordinati destinati a svolgere sistematicamente e professionalmente la propria attività quasi interamente al di fuori dalla sede aziendale (Cassazione, sezioni unite,  sentenza n. 27093/2017).
Nel caso in esame, invece, le somme erano relative alle indennità corrisposte ai medici per svolgere attività di ambulatorio al di fuori del proprio Comune di residenza e si distinguevano, quindi, dalle fattispecie di trasferte comandate al di fuori del Comune della sede di lavoro (in tal senso, cfr risoluzione n. 106/E/2015).
Né gli emolumenti forfettari aggiuntivi attribuiti ai professionisti e calcolati sul compenso orario per lo svolgimento di attività esterna potevano essere ricondotti alle somme corrisposte e in relazione alle “prestazioni di servizi di trasporto collettivo” per raggiungere la sede di lavoro dal luogo di residenza ex articolo 51, comma 2, lettera d), Tuir, trattandosi di esborsi per gli spostamenti “individuali” dei medici, peraltro con i propri mezzi di trasporto.

In conclusione, quindi, le somme corrisposte ai medici a titolo di “rimborso spese di accesso” agli ambulatori fuori Comune di residenza devono essere assoggettate a imposizione poiché percepite in relazione al rapporto di lavoro dipendente e non conducibili alla deroga prevista per le spese di trasferta.



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale