11 Apr Ok all’obbligo di registrazione per usufruire della franchigia Iva
La Corte di giustizia Ue, con la sentenza dell’11 aprile 2024, causa C-122/2023, ha stabilito che è conforme alla direttiva Iva una normativa nazionale che subordina il beneficio della franchigia dall’Iva per le piccole imprese, alla condizione che il soggetto passivo – il cui volume d’affari annuo, o misurato nel corso di un periodo di due mesi, supera l’importo indicato per detto Stato membro in tale disposizione – presenti, entro il termine prescritto, una domanda di registrazione ai fini dell’Iva.
Una società che esercita attività di consulenza aziendale non era originariamente registrata ai fini dell’Iva. Nell’agosto 2018, detta compagine emetteva quattro fatture relative a compensi previsti da un contratto di circa sei anni precedente, per un certo importo complessivo, contabilizzate come introiti da vendite di servizi. Dopo pochi giorni, la società emetteva altre due fatture aventi lo stesso oggetto e contabilizzate allo stesso modo. Il mese successivo, presentava una dichiarazione di registrazione obbligatoria ai fini Iva e l’ufficio delle entrate emetteva nei suoi confronti un atto di registrazione obbligatoria, in forza del quale essa veniva registrata ai fini Iva.
L’Amministrazione finanziaria, in particolare, riteneva che l’emissione di una delle fatture dell’agosto 2018 avesse comportato il superamento della soglia del volume d’affari imponibile (circa 25.600 euro) a partire dalla quale la registrazione ai fini dell’Iva è obbligatoria, e che la cessione corrispondente a tale fattura fosse imponibile ai sensi della legge bulgara sull’Iva.
Quindi, l’ufficio emetteva un avviso di accertamento in rettifica, con il quale accertava un determinato debito Iva a carico della società, oltre interessi, generato dalle cessioni imponibili effettuate dalla stessa compagine, a partire dall’agosto 2018 e fino alla data della sua registrazione ai fini dell’imposta.
Detto avviso di accertamento in rettifica veniva confermato da una decisione del direktor.
La società presentava, quindi, ricorso contro tale avviso di accertamento presso il Tribunale amministrativo di Sofia, che lo annullava, ritenendo che esso fosse stato emesso in violazione del diritto sostanziale applicabile e, più specificamente, del diritto dell’Unione in materia di Iva.
Il direktor presentava ricorso in Cassazione contro la sentenza del Tribunale amministrativo di Sofia dinanzi alla Corte suprema amministrativa della Bulgaria.
Questioni pregiudiziali
Ciò premesso, il giudice ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte Ue le seguenti questioni pregiudiziali:
- se sia contraria ai principi del sistema comune Iva nell’Unione europea una normativa nazionale che, con riguardo all’esenzione di cui al titolo XII, capo 1, della direttiva Iva, tratti i soggetti passivi in modo diseguale a seconda della rapidità con cui raggiungano la soglia di fatturato per la registrazione obbligatoria ai fini dell’Iva
- se la direttiva Iva osti a una normativa nazionale in base alla quale l’esenzione di una prestazione ai sensi del titolo XII, capo 1, della direttiva 2006/112 sia subordinata al tempestivo adempimento da parte del fornitore dell’obbligo di richiedere la registrazione obbligatoria ai fini dell’Iva
- in base a quali criteri, derivanti dall’interpretazione della direttiva Iva, occorra valutare se la normativa nazionale medesima, che prevede l’insorgenza di un debito d’imposta in caso di presentazione tardiva della domanda di registrazione obbligatoria ai fini dell’Iva, sia di natura sanzionatoria.
Sentenza
La Corte premette che la direttiva Iva consente agli Stati membri di applicare i loro regimi speciali per le piccole imprese: conformemente a tale normativa, secondo la legge bulgara, i soggetti passivi sono tenuti a presentare una dichiarazione di registrazione ai fini dell’Iva entro un termine di sette giorni, che inizia a decorrere, per il gruppo dei soggetti passivi che raggiungono la soglia prevista di volume d’affari imponibile su un periodo di dodici mesi, a partire dalla fine del periodo d’imposta nel corso del quale tale volume d’affari è stato raggiunto, e, per il gruppo dei soggetti passivi che raggiungono tale soglia nel corso di un periodo di due mesi consecutivi, a partire dalla data in cui detto volume d’affari è raggiunto.
Il regime speciale per le piccole imprese, ai sensi della direttiva Iva, prevede semplificazioni amministrative dirette a rafforzare la creazione, l’attività e la competitività delle piccole imprese nonché a mantenere un rapporto ragionevole tra gli oneri amministrativi connessi alle verifiche fiscali e i ridotti redditi da attendersi.
A tal riguardo – rilevano i togati comunitari – la direttiva Iva conferisce agli Stati membri un margine di discrezionalità quanto alle modalità di applicazione di tale regime speciale.
Quindi, un obbligo, come quello previsto dalla normativa bulgara, secondo cui i soggetti passivi devono presentare una dichiarazione di registrazione ai fini dell’Iva qualora il loro volume d’affari annuo superi la soglia prevista all’articolo 287 della direttiva Iva per lo Stato membro interessato, rientra, in linea di principio, in tale margine di discrezionalità e consente di mantenere un rapporto ragionevole tra gli oneri amministrativi connessi alla verifica fiscale e i ridotti redditi da attendersi.
Per quanto riguarda il momento in cui sorge l’obbligo di presentare una dichiarazione di registrazione ai fini Iva, continua la Corte, la normativa nazionale introduce una differenza di trattamento tra due gruppi di soggetti passivi, vale a dire, da un lato, quelli che raggiungono la soglia in questione nel corso di un periodo di dodici mesi e, dall’altro, quelli che la raggiungono nel corso di un periodo di due mesi consecutivi. Nel caso in esame, è pacifico che tale differenza di trattamento tiene conto, in particolare, delle caratteristiche delle attività stagionali, nell’ambito delle quali la soglia di volume d’affari, che innesca l’obbligo di registrazione, viene raggiunta più rapidamente nel corso di un breve periodo di tempo.
Pertanto, detta differenza di trattamento, istituita dalla normativa nazionale tra questi due gruppi di soggetti passivi, rientra anch’essa, in linea di principio, nel margine di discrezionalità che la direttiva Iva conferisce agli Stati membri.
Nello scrutinare l’ultima questione pregiudiziale, la Corte ricorda che, secondo una giurisprudenza costante, sebbene, al fine di garantire l’esatta riscossione dell’imposta e di evitare l’evasione, gli Stati membri possano, in particolare, legittimamente prevedere, nelle rispettive normative nazionali, sanzioni appropriate, volte a punire penalmente l’inosservanza dell’obbligo di iscrizione al registro dei soggetti passivi Iva, siffatte sanzioni non devono, tuttavia, eccedere quanto è necessario per conseguire tali obiettivi. A questo riguardo, spetta al giudice nazionale verificare se l’importo della sanzione non ecceda quanto necessario per conseguire gli obiettivi consistenti nell’assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare l’evasione, considerate le circostanze del caso e, in particolare, l’importo della sanzione concretamente inflitta e l’eventuale sussistenza di un’evasione o di un’elusione della normativa applicabile, imputabili al soggetto passivo la cui mancata registrazione viene sanzionata. Gli stessi princìpi valgono per le maggiorazioni, che, qualora abbiano il carattere di sanzioni fiscali, non devono essere eccessive rispetto alla gravità dell’inadempimento dei propri obblighi da parte del soggetto passivo.
Nell’ipotesi al vaglio della Corte Ue, in caso di deposito tardivo di una domanda di registrazione, i soggetti passivi, il cui volume d’affari annuo supera la soglia a partire dalla quale il deposito di tale domanda diviene obbligatorio sono debitori del pagamento dell’Iva sulle cessioni imponibili effettuate a decorrere dalla scadenza del termine di sette giorni entro il quale l’avviso di registrazione avrebbe dovuto essere emesso e fino alla data della loro registrazione da parte dell’ufficio delle Entrate. Tale termine inizia a decorrere dalla fine del periodo d’imposta nel corso del quale tale volume d’affari è stato raggiunto.
A questo riguardo, secondo la Corte, la disposizione nazionale non può essere considerata costitutiva di una sanzione, in quanto il suo unico scopo è quello di recuperare l’Iva sulle operazioni effettuate durante il periodo in cui l’imposta sarebbe stata applicata se il soggetto passivo avesse adempiuto, entro il termine prescritto, al suo obbligo di registrazione.
Dall’altro lato, per quanto riguarda i soggetti passivi il cui volume d’affari misurato nel corso di un periodo di due mesi consecutivi supera la soglia in questione, la normativa bulgara prevede che, in caso di inosservanza dell’obbligo di presentare, entro il termine di sette giorni, una domanda di registrazione, tali soggetti passivi sono considerati debitori dell’Iva sulle cessioni imponibili effettuate a partire dalla data di superamento del volume d’affari e fino alla data in cui sono stati registrati dall’ufficio delle Entrate o fino alla data in cui non sussistono più motivi di registrazione. Per tali soggetti passivi, siffatto termine inizia a decorrere dalla data in cui detto volume d’affari è raggiunto.
In quest’ultimo caso, conclude la Corte di Lussemburgo, spetta al giudice nazionale, verificare se, per quanto riguarda i soggetti passivi, la normativa bulgara preveda una sanzione nell’accezione della giurisprudenza europea; in particolare, deve verificare se tale normativa, da un lato, sia conforme al principio di effettività della lotta alle violazioni delle norme armonizzate in materia di Iva e, dall’altro, soddisfi i requisiti di proporzionalità, conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia.
Conclusioni
- La direttiva Iva deve essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale, adottata da uno Stato membro in applicazione dell’articolo 287 di tale direttiva, che subordina il beneficio della franchigia dall’Iva, prevista da detta direttiva, per le piccole imprese, alla condizione che il soggetto passivo, il cui volume d’affari annuo, o misurato nel corso di un periodo di due mesi consecutivi, supera l’importo indicato per detto Stato membro in tale disposizione, presenti entro il termine prescritto una domanda di registrazione ai fini dell’Iva.
- La direttiva Iva deve essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che prevede che la violazione, da parte di un soggetto passivo, dell’obbligo di presentare entro il termine previsto, nei casi di cui al punto 1, una domanda di registrazione ai fini dell’Iva, comporti il sorgere di un debito d’imposta, a condizione che tale normativa – se e nella misura in cui non si limita a recuperare l’Iva sulle operazioni effettuate nel periodo in cui tale imposta sarebbe stata applicata se il soggetto passivo avesse tempestivamente adempiuto all’obbligo di registrazione ai fini dell’Iva – da una parte, sia conforme al principio di effettività della lotta contro le violazioni delle norme armonizzate in materia di Iva e, dall’altra, soddisfi i requisiti di proporzionalità, conformemente alla giurisprudenza della Corte.
Fonte:
Data della sentenza
11 aprile 2024
Numero della causa
Causa C-122/2023
Nome delle parti:
Direktor na Direktsia «Obzhalvane i danachno-osiguritelna praktika» Sofia pri Tsentralno upravlenie na Natsionalnata agentsia za prihodite;
contro
Legafact EOOD.
Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale