12 Apr Le norme sono cambiate, ma l’onere della prova è immutato
Le novità inserite dalla legge n. 130/2022 all’articolo 7 del Dlgs n. 546/1992 non hanno avuto alcun impatto sull’onere della prova in materia tributaria. È quanto stabilito dalla Corte di cassazione nell’ordinanza n. 2746 del 30 gennaio 2024, con la quale ha confermato in pieno i principi stabiliti nelle sue precedenti pronunce.
Le novità dell’articolo 7
L’articolo 6 della legge n. 130/2022 aveva, a suo tempo, inserito il comma 5-bis all’articolo 7 del Dlgs n. 546/1992. Tale comma stabilisce che “l’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni. Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati”.
Allo stesso tempo, l’articolo 4 della stessa legge n. 130/2022 aveva sostituito il comma 4 del medesimo articolo 7, inserendo la possibilità di prova testimoniale nel contenzioso tributario.
Per quello che riguarda il comma 5-bis, successivamente alla sua introduzione, numerosi commentatori sulla stampa specializzata avevano ritenuto che la nuova norma stabilisse oneri di prova più gravosi in capo all’Amministrazione. Cavalcando la medesima onda, molteplici professionisti avevano incominciato a richiamare il comma 5-bis nei ricorsi di parte, al fine di indebolire le contestazioni dell’ufficio.
La suprema Corte di cassazione ha però, prontamente, chiarito l’impatto applicativo della novità normativa. Con l’ordinanza n. 31878/2022 è stato infatti statuito che “la nuova formulazione legislativa […] non stabilisce un onere probatorio diverso o più gravoso rispetto ai principi già vigenti in materia, ma è coerente con le ulteriori modifiche legislative in tema di prova, che assegnano all’istruttoria dibattimentale un ruolo centrale”. Tale principio è stato immediatamente confermato dall’ordinanza 31880, della stessa data. I giudici di legittimità hanno, quindi, fissato un importante criterio, secondo cui non risultano introdotti oneri di prova più pesanti a carico dell’Amministrazione finanziaria.
Quanto detto, in ogni caso vale “in ordine alle violazioni contestate al contribuente, per le quali […] non vi siano presunzioni legali che comportino l’inversione dell’onere probatorio”. Ciò significa che, in ogni caso, restano ferme le previsioni normative, le quali – stabilendo specifiche presunzioni – impongono determinati oneri o obblighi di prova a carico di una specifica parte del rapporto tributario.
I fatti di causa
L’ordinanza n. 2746/2024 si riferisce a un giudizio di legittimità instaurato dall’Agenzia delle entrate, a seguito di una sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto. La pronuncia riguardava l’applicazione dell’accertamento sintetico (il redditometro – articolo 38, commi 4, 5 e 6, Dpr n. 600/1973. Con l’ordinanza in commento, i supremi giudici si sono pronunciati a favore dell’Amministrazione, fornendo sia specifici criteri interpretativi relativi al redditometro, sia principi più generali sull’onere della prova,
Per quello che riguarda il redditometro, è stato stabilito che “la prova contraria […] che […] il contribuente deve fornire, per superare la ricostruzione presuntiva e sintetica del reddito operata dall’Amministrazione, non può limitarsi alla dimostrazione della mera disponibilità di ulteriori redditi”. Ciò in quanto tali redditi devono essere stati posseduti per il tempo sufficiente al loro utilizzo per l’effettuazione delle spese prese a base dell’accertamento sintetico.
Per quanto concerne l’onere della prova, la pronuncia ha statuito che il comma 5-bis, in ogni caso “salvaguarda le presunzioni legali, quale quella in materia di accertamento sintetico”. Viene quindi stabilito, come principio generale che “in materia di giudizio tributario, il nuovo comma 5-bis dell’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, introdotto dall’ art. 6 della l. n. 130 del 2022, secondo cui il giudice deve valutare la prova ‘comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, non si pone in contrasto con la persistente applicabilità delle presunzioni legali che, nella normativa tributaria sostanziale, impongano al contribuente l’onere della prova contraria”. Quindi, a partire da una casistica che si basa su presunzioni – l’accertamento sintetico – i giudici di legittimità affermano un principio molto chiaro, secondo cui il comma 5-bis non influenza in alcun modo la normativa che utilizza presunzioni, le quali impongono al contribuente l’onere della prova contraria.
L’ordinanza in esame, pur avendo, a prima vista, un ambito applicativo più ristretto delle citate pronunce nn. 31878 e 31800 del 2022, risulta di sicuro impatto. Ciò in quanto, le pronunce richiamate hanno confermato le presunzioni legali en passant. Di contro, nell’ordinanza in commento, viene espressamente stabilito che il comma 5-bis “non si pone in contrasto con la persistente applicabilità delle presunzioni legali che, nella normativa tributaria sostanziale, impongano al contribuente l’onere della prova contraria”.
È, quindi, assolutamente chiaro che l’applicazione dell’articolo 7, comma 5-bis del Dlgs n. 546/1992 non potrà mai dare luogo a una abrogazione implicita di norme o a una interpretazione delle stesse in senso peggiorativo per gli oneri probatori posti a carico dell’Amministrazione.
È evidente, peraltro, che nel momento in cui viene stabilito che sono confermate le presunzioni legali che pongono a carico del contribuente l’onere della prova, ne risulta conseguentemente validato anche il “patrimonio interpretativo” della suprema Corte in ognuna delle specifiche casistiche.
Si può, quindi, fondatamente sostenere che anche le presunzioni di pura origine giurisprudenziale possono ritenersi confermate, pur con l’introduzione del comma 5-bis all’articolo 7 del Dlgs n. 546/1992. Particolarmente rilevante, ad esempio, risulta essere la presunzione di distribuzione degli utili extra-contabili nel caso di società di capitali a ristretta base azionaria, oggetto anche di revisione come previsto dall’articolo 17, comma 1, lettera h), n. 4 della legge delega n. 111/2023.
Stesse considerazioni possono farsi per quanto riguarda le interpretazioni della suprema Corte sulle operazioni inesistenti, sia soggettivamente che oggettivamente, per le quali vi è una ricchissima e consolidata giurisprudenza.
Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale