L’integrativa post cartella non può essere ammessa

L’integrativa post cartella non può essere ammessa

Non è possibile la presentazione di una dichiarazione integrativa dopo la ricezione della cartella con la quale viene richiesto il pagamento delle imposte dovute in base alla dichiarazione originaria. E’ quanto stabilito dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Modena con la sentenza 41/02/2024 depositata il 5 febbraio 2024.

I fatti di causa
In data 24 aprile 2023 veniva notificata via Pec a una società una cartella di pagamento con la quale venivano chieste le imposte dichiarate, ma non pagate, per le dichiarazioni relative all’anno d’imposta 2018. Gli importi richiesti con la predetta cartella erano pari a euro 10.625,83 per Irap e Ires.
La società trasmetteva dichiarazioni integrative in data 22 giugno 2023, evidenziando redditi inferiori rispetto alle dichiarazioni originarie. Il 23 giugno presentava ricorso avverso la cartella di pagamento, ricadente nella procedura di mediazione di cui all’articolo 17-bis del Dlgs n. 546/1992 (abrogata di recente dal Dlgs n. 220/2023).
La procedura di mediazione non andava a buon fine, per cui la parte si costituiva in giudizio. Anche la Direzione provinciale di Modena si costituiva in giudizio, contestando le doglianze della società.
Il ricorso della società risultava però ampiamente scarno e totalmente reticente e non forniva alcuna giustificazione del proprio operato. Essa infatti si limitava ad eccepire quanto segue:
1) la cartella esattoriale impugnata n° 070 2023 XXXXXXXXXXXXX notificata via PEC in data 24.04.2023 ed emessa da Agenzia Entrate Riscossione ex Equitalia S.p.A. di Modena è relativa alle dichiarazioni IRAP e UNICO anno di imposta 2018 inviate in data 26.11.2019 che presentano errori formali e sostanziali nel riporto dei dati contabili;
2) in data 26.06.2023 sono state predisposte dichiarazioni integrative IRAP e UNICO anno di imposta 2018 […] che evidenziano un utile civilistico di euro 9.406 come risulta dal bilancio CEE depositato in Cciaa in data 17.03.2020
Nelle proprie controdeduzioni l’Ufficio esponeva gli orientamenti della Suprema corte sulla specifica fattispecie. Veniva quindi sottolineato che “ammettere l’emissione di una dichiarazione integrativa successiva ad un atto fiscale recuperatorio di una pretesa – qui azionata mediante la notifica di una cartella – avrebbe evidente capacità elusiva” (ordinanza n. 556/2018) e che “rimane a carico del contribuente che impugni la cartella, l’onere di dimostrare processualmente gli elementi riduttivi della maggiore pretesa azionata” (ordinanza n.556/2018).
L’Ufficio evidenziava anche la recente ordinanza n. 37467/2022 che ribadiva il principio secondo cui: “nel giudizio d’impugnazione della cartella di pagamento emessa del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, ex articolo 36-bis, spetta al contribuente che ‘ritratta’ la propria dichiarazione fornire la prova, ai sensi dell’articolo 2697 c.c. del fatto impeditivo dell’obbligazione tributaria”.
Veniva poi messo l’accento sulla reticenza della parte, in quanto non aveva fornito alcuna spiegazione del proprio operato, evidenziando – in aggiunta – che il ricorso rasentava l’inammissibilità per mancanza di motivi ai sensi dell’articolo 18 del Dlgs n. 546/1992.
L’Ufficio sottolineava inoltre che la società non aveva fornito chiarimenti del perché:

  • erano state presentate originariamente delle dichiarazioni errate
  • non erano state versate le imposte dovute in base alla dichiarazione originaria
  • le dichiarazioni integrative erano state trasmesse solo dopo la notifica della cartella
  • il bilancio del 2018 era stato presentato in Camera di commercio solo il 17 marzo 2020.

L’Ufficio svolgeva poi ulteriori considerazioni, nate dal confronto tra dichiarazioni originarie e dichiarazioni integrative. Veniva quindi rilevato che:
– le dichiarazioni Ires, sia originaria che integrativa, esponevano degli importi al solo rigo RF4 (utile). Nessuna variazione in aumento veniva indicata;- le dichiarazioni Irap – originaria ed integrativa – riportavano dati molto diversi tra loro, senza che alcuna delucidazione venisse fornita dal contribuente.

La decisione dei giudici
La Corte di giustizia tributaria di primo grado di Modena, con la sentenza 41/02/2024 depositata il 5 febbraio 2024, ha rigettato il ricorso del contribuente, condannandolo al pagamento delle spese di lite.
I giudici hanno argomentato in maniera ampia, sottolineando la reticenza e la superficialità dell’operato della ricorrente. Nel contempo, è stato riconosciuto che l’Ufficio ha agito in maniera conforme sia alle norme che ai principi giurisprudenziali.
In particolare, è stato stabilito che “La successione delle date relative ai fatti salienti della questione dimostrano che ricorrente ha fatto ammenda integrativa formale solo dopo aver ricevuto la richiesta di pagamento […] La Corte altresì concorda con Ufficio intorno alla denunciata laconicità del ricorso […] Alla Corte non pare affatto sufficiente, sul piano probatorio, che Ricorrente delimiti la giustificazione della necessità della ‘integrativa’ nella sopravvenuta necessità di correzione, sul piano civilistico, di uno – o più – errori commessi nella erezione della ‘bozza’ di bilancio”. In definitiva, conclude la Corte “non resta che applicare […] i detti arresti nomofilattici”.



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale