Errata categoria reddituale, l’accertamento è comunque valido

Errata categoria reddituale, l’accertamento è comunque valido

La Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, con la sentenza n. 648 del 20 febbraio 2024, ha stabilito che l’errata individuazione o valutazione del reddito effettuata dall’Ufficio non determina la nullità dell’avviso di accertamento se all’esito della verifica sono emersi proventi occultatili occultati e non dichiarati al fisco. L’ufficio, in sintesi, aveva erroneamente qualificato l’attività di deejay di un contribuente come attività di impresa mentre in realtà si trattava di lavoro autonomo.

Nel merito, i giudici di appello hanno chiarito che l’errata o imprecisa indicazione della categoria reddituale nell’avviso di accertamento non costituisce circostanza di per sé sufficiente a determinare la nullità dell’avviso in quanto, per la legittimità dello stesso, è rilevante esclusivamente il fatto che il contribuente abbia prodotto reddito sottratto a tassazione e che tale fatto sia stato posto a fondamento dell’atto impositivo da parte dell’Ufficio, pur classificando erroneamente l’attività svolta per produrlo.

Il caso di specie e il ricorso in primo grado 
La Guardia di finanza effettuava una verifica fiscale presso l’abitazione di un contribuente che svolgeva in proprio, senza organizzazione esterna, l’attività di deejay ed intrattenitore musicale. 
All’esito della verifica emergevano proventi reddituali occultati e non dichiarati al fisco e sulla base delle risultanze della stessa, l’agenzia delle entrate provvedeva a notificare al contribuente apposito avviso di accertamento con il quale veniva recuperato a tassazione quanto non dichiarato. 

Avverso tale atto impositivo dell’amministrazione finanziaria, il contribuente deejay proponeva ricorso dinanzi alla competente commissione tributaria di primo grado lamentando, principalmente, l’erronea qualificazione operata dall’ufficio del proprio reddito come reddito di impresa anziché reddito da lavoro autonomo. Lamentava, inoltre, l’errata determinazione induttiva del reddito e dell’Iva, l’inammissibilità e infondatezza delle dichiarazioni testimoniali, l’inesistenza di presunzioni gravi, precise e concordanti per l’accertamento dei maggiori ricavi. Chiedeva, dunque, che l’avviso di accertamento venisse annullato. 

Il giudice tributario di primo grado accoglieva il ricorso del contribuente ed annullava l’atto impositivo del fisco sulla base proprio dell’errata qualificazione del reddito prodotto dal ricorrente come reddito di impresa anziché come reddito di lavoro autonomo. 

L’Agenzia delle entrate proponeva, dunque, appello contro la sentenza di prime cure criticando la fondatezza della decisione laddove aveva ritenuto essenziale l’errata individuazione del reddito non focalizzandosi, invece, su quello che era il punto cardine della contestazione ovvero il conseguimento da parte del contribuente di redditi non contabilizzati né dichiarati. 

La decisione dei giudici tributari di secondo grado 
Chiamata a pronunciarsi definitivamente nel merito, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia ha accolto le tesi dell’amministrazione finanziaria, giudicando corretto l’avviso di accertamento dell’Ufficio e annullando la sentenza di primo grado. 

In merito, i giudici tributari baresi hanno, infatti, affermato come, pur essendovi sia stata una incontrovertibile erronea classificazione del reddito del contribuente quale reddito d’impresa, a tale erronea classificazione non può ricollegarsi la conseguenza dell’annullamento dell’avviso di accertamento. 

Dall’attività esercitata dal contribuente che è quella di intrattenitore, animatore, deejay, cantante, musicista, non si rinvengono, hanno chiarito i giudici di secondo grado, elementi certi per poterla qualificare come attività imprenditoriale ai sensi degli articoli 2082 e 2195 del codice civile a mente dei quali è imprenditore colui che esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi. 

E la circostanza che talora il contribuente si presti a noleggiare attrezzature o ad accompagnarsi ad altri cantanti e musicisti non ne cambia la natura in quanto decisiva in tal senso è la mancanza dell’assetto organizzativo tipico dell’imprenditore, quale l’impiego di beni strumentali, di forza lavoro e di fonti esterne di finanziamento. 

Dunque, l’attività del contribuente deejay sottoposto a controllo è da qualificarsi correttamente come attività di lavoro autonomo anziché come attività d’impresa. Ma, ed è qui il punto nodale della decisione della Corte tributaria di appello, l’accertato errore dell’Ufficio nell’attribuire al reddito del contribuente la classificazione di reddito d’impresa non comporta affatto l’annullamento dell’avviso di accertamento. 

Infatti, come da condivisibile giurisprudenza di legittimità, hanno affermato i magistrati pugliesi, deve essere “escluso che la diversa qualificazione della fonte di produzione della ricchezza incida sugli elementi costitutivi della pretesa fiscale, e, più in particolare, sugli elementi fattuali rilevanti ai fini dell’individuazione del presupposto impositivo, per cui l’errata o imprecisa indicazione della categoria reddituale nell’avviso di accertamento non costituisce circostanza di per sé sufficiente a determinare la nullità dell’avviso.”. 

L’avviso di accertamento è, dunque, pienamente valido in quanto il contribuente ha prodotto reddito sottratto a tassazione e tale circostanza è stata riscontrata dall’Ufficio che l’ha posta a fondamento dell’atto di recupero, pur classificando erroneamente l’attività svolta per produrlo. 

Quanto, infine, alle modalità con cui l’Ufficio ha proceduto a rideterminare il reddito del deejay, la Corte di secondo grado ha ritenuto corretta la scelta di ricorrere al metodo induttivo ai sensi dell’articolo 39, comma 2 lettera d) del Dpr n. 600/1973. 

L’operazione di rideterminazione si è infatti correttamente basata su numerosi elementi desumibili dagli atti o provenienti dallo stesso contribuente – come ad esempio prezzi dei biglietti per gli intrattenimenti riportati su siti internet, gallerie fotografiche, annotazioni dell’agenda del contribuente, informazioni rese da taluni clienti, fatture emesse, ammissioni dello stesso contribuente –  che, magari non singolarmente, ma presi nell’insieme, per numero, puntualità di indicazioni e concordanza devono ritenersi sicuramente idonei a comprovare situazioni produttive di reddito. 

Dunque, per tutte le motivazioni ora viste, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, definitivamente pronunciandosi nel merito della controversia, ha dato ragione al fisco e ha annullato la decisione di prime cure favorevole al contribuente deejay.



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale