Se le operazioni sono inesistenti, l’Iva è sempre indeducibile

Se le operazioni sono inesistenti, l’Iva è sempre indeducibile

Se un soggetto passivo assolve l’Iva tramite reverse charge su fatture ricevute, ma relative a operazioni oggettivamente inesistenti, deve restituire l’imposta. Ciò in quanto, anche se effettuata con l’inversione contabile, la detrazione dell’Iva è illegittima. È quanto stabilito dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Modena, con la sentenza n. 84/02/2024 dello scorso 4 marzo.

I fatti
La direzione provinciale di Modena eseguiva un controllo su una società, esercente l’attività di costruzione di edifici residenziali e non residenziali (codice Ateco 41.20.00). La verifica prendeva in considerazione gli anni 2017-2018-2019.

Per il 2017, veniva acclarato l’utilizzo, da parte della società, di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti assoggettate a imposta tramite reverse charge. I costi evidenziati nelle fatture registrate nel 2017 erano pari a 125mila euro. Nello stesso anno, venivano inoltre iscritti costi per “fatture da ricevere” per 480mila euro. L’ufficio emetteva, quindi, un accertamento che recuperava i predetti costi e l’Iva per le fatture registrate nel 2017. La compagine definiva l’accertamento, pagando gli importi dovuti e le sanzioni ridotte a un terzo, secondo quanto previsto dall’articolo 15, comma 1 del Dlgs n. 218/1997.

Per il 2018 – oggetto della sentenza in commento – l’ufficio ha recuperato l’Iva applicata tramite reverse charge sulle fatture emesse e registrate nel 2018. Ciò in quanto tali fatture si riferivano a operazioni oggettivamente inesistenti. Si è quindi verificato uno “scollamento” tra le imposte dirette e l’Iva. I costi sono stati recuperati nel 2017, nel quale erano stati iscritti per 480mila euro come “fatture da ricevere”. L’Iva – pari a 105.600 euro (480mila x 22%) – è stata invece recuperata nel 2018.

Il ricorso e le controdeduzioni
La ricorrente, dopo un’ampia narrativa dell’attività esercitata, ha sostenuto la violazione dell’articolo 17 del decreto Iva (Dpr n. 633/1972), il vizio di motivazione dell’atto e il mancato assolvimento dell’onere della prova da parte dell’ufficio. Al fine di sostenere le sue affermazioni, la parte ha evidenziato la giurisprudenza della Corte di giustizia Ue, che però è risultata inconferente alla specifica fattispecie. Anche ulteriori asserzioni, tendenti ad addossare all’ufficio l’onere di provare la malafede del soggetto, non avevano maggiore fortuna. Questo perché la contestazione dell’ufficio relativa al 2017 – alla quale si collega il recupero Iva – concerneva operazioni oggettivamente inesistenti.

L’ufficio sottolineava, quindi, quanto stabilito dall’ordinanza della suprema Corte n. 24565/2023, secondo cui “l’Amministrazione finanziaria, che contesti al contribuente l’indebita detrazione relativamente ad operazioni oggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare che l’operazione non e’ mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva, ma non anche quello di dimostrare la mala fede del contribuente, atteso che, una volta accertata l’assenza dell’operazione, non e’ configurabile la buona fede di quest’ultimo […]. Il contribuente dovra’, pertanto, dare la prova contraria che l’operazione e’ stata effettivamente eseguita”.

Era, pertanto, chiaro quanto previsto dalla giurisprudenza di legittimità: nel caso di operazioni oggettivamente inesistenti, pur essendo l’onere della prova a carico dell’Amministrazione finanziaria, non va fornita la dimostrazione della mala fede del contribuente. Trattandosi di operazioni inesistenti oggettivamente – quindi mai veramente effettuate – non può esserci alcuna buona fede del soggetto passivo.

Veniva, poi, evidenziato che l’ufficio si era comunque attenuto a quanto stabilito dalla suprema Corte a sezioni unite, con la sentenza n. 22727/2022.

L’ufficio esponeva, inoltre, la giurisprudenza comunitaria, la quale stabilisce che “poiché il diritto dell’Unione non prevede norme relative alle modalità dell’assunzione delle prove in materia di evasione IVA, tali elementi oggettivi devono essere stabiliti dall’amministrazione finanziaria secondo le norme in materia di prova previste dal diritto nazionale”(causa C-610/19 – punto 57). Veniva anche posta in risalto la sentenza relativa alla causa C-281/20, la quale prevede che “non è necessario dimostrare la malafede del soggetto passivo per negargli il beneficio del diritto a detrazione” (punto 58).

La pronuncia
Con la sentenza n. 84/02/2024 dello scorso 4 marzo, la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Modena ha rigettato il ricorso di parte, condannando la società al pagamento delle spese di lite per 5mila euro oltre agli oneri accessori di legge.

Particolarmente rilevanti, nella pronuncia, sono le seguenti proposizioni: “non sono stati forniti dalla ricorrente elementi convincenti volti a dimostrare l’esistenza delle operazioni ritenute inesistenti, che hanno comportato un recupero di complessivi costi per euro 605.000,00 ai fini delle imposte dirette per l’anno 2017, il cui accertamento, come sopra ricordato, è stato oggetto di adesione e definizione, il che rileva, pur se sul piano presuntivo.[…] L’Ufficio ha correttamente recuperato l’Iva a credito annotata in regime di “reverse charge” ex art. 17 comma 6 lett. a ter Dpr. 633/1972, in quanto relativa ad operazioni inesistenti i cui costi erano stati addebitati nel 2017, come ‘fatture da ricevere’, la cui Iva è stata imputata nell’esercizio successivo, nel corso del quale le fatture sono pervenute e risultano dalla ricorrente registrate. Ritiene la Corte che la detrazione IVA di complessivi euro 105.600,00, non sia legittima, ancorché realizzata in regime di “reverse charge”.

È da notare che i giudici non solo hanno respinto il tentativo della parte di provare l’effettività delle operazioni contestate dall’ufficio, ma hanno anche dato rilievo alla definizione dell’accertamento fatta dalla parte per il 2017. Infine – aspetto fondamentale – è stata riconosciuta la bontà dell’operato dell’ufficio, che ha negato il diritto di detrazione per un’operazione assoggettata a imposta tramite reverse charge.



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale