15 Mag Compensi verso società fittizia, valido l’avviso di accertamento
Legittimo l’avviso dell’ufficio che a seguito di indagini, anche finanziarie, svolte nei confronti di un medico specializzato in ortopedia, contestava a quest’ultimo di aver eluso il fisco facendo transitare gran parte dei propri compensi professionali su una società di cui erano unici soci il contribuente stesso, la moglie e il figlio (Cassazione n. 1369/2024).
La vicenda controversa portata al vaglio dei supremi giudici prende le mosse dall’attività istruttoria dell’Ufficio il quale, a seguito di indagini, anche finanziarie, svolte nei confronti di una persona fisica esercente l’attività di medico professionale specializzato in ortopedia e traumatologia, contestava a quest’ultimo di aver eluso il fisco facendo transitare gran parte dei propri compensi professionali su una società di cui erano unici soci il contribuente stesso, la moglie e il figlio.
Di conseguenza detta società veniva ritenuta fittiziamente interposta ai sensi dell’articolo 37 Dpr n. 600/1973.
L’ufficio accertava, altresì, che, in relazione a un rapporto di conto corrente intestato al contribuente e sua moglie, risultavano prelevamenti e versamenti non giustificati.
Avverso l’avviso di accertamento emesso a suo carico proponeva ricorso il contribuente il quale eccepiva che dalla creazione dell’ambulatorio medico in forma societaria non era derivato alcun vantaggio fiscale e che l’accertamento era in violazione del divieto di doppia imposizione di cui all’articolo 65 Dpr n. 600/1973.
I giudici di primo grado accoglievano il ricorso di parte limitatamente all’aspetto sanzionatorio.
Avverso tale pronuncia proponevano appello sia il contribuente sia l’ufficio ad esito dei quali la Ctr del Lazio confermava la legittimità dell’atto impositivo per quanto discendente dall’interposizione fittizia della società ritenendo che l’ufficio avesse offerto prova adeguata del fatto che la società stessa fosse solo uno schermo giuridico.
Avverso detta sentenza il contribuente ha proposto ricorso per Cassazione affidato a tre motivi di impugnazione – 1. violazione e/o falsa applicazione dell’art. 37, terzo comma, d.P.R. n.600/1973.. Censura della sentenza impugnata per aver ravvisato la fattispecie dell’interposizione fittizia senza dare evidenza alcuna alle argomentazioni ed alla documentazione prodotta. – 2. violazione e/o falsa dell’art. 37-bis d.P.R. n.600/1973. Censura della sentenza impugnata per essersi disinteressata del tutto dell’elemento fondante l’abuso del diritto ovvero la sussistenza di un vantaggio fiscale – 3. vizio di motivazione della sentenza e violazione dell’art. 111 Cost., e dell’art. 132, n. 4 c.p.c. Censura della sentenza impugnata per aver fornito in merito alla sussistenza della fattispecie dell’interposizione fittizia motivazione inidonea a spiegare e giustificare l’iter logico-giuridico sotteso al decisum. -.
I giudici di legittimità, con ordinanza n. 1369 depositata lo scorso 15 gennaio 2024, hanno integralmente rigettato il ricorso sulla base delle seguenti motivazioni.
Partendo dalla valutazione di insussistenza del prospettato vizio di error in procedendo (terzo motivo di impugnazione) – in base al quale la mancanza della motivazione, rilevante ai sensi dell’articolo. 132, n. 4, cpc, (e nel caso di specie dell’articolo 36, comma 2, n. 4, Dlgs n. 546/1992) si configura quando questa manchi del tutto (nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere, risultante dallo svolgimento del processo, segue l’enunciazione della decisione, senza alcuna argomentazione) ovvero nel caso in cui essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (Cassazione sezioni unite n. 8053/2014; successivamente, tra le tante, Cassazione n. 6626/2022, Cassazione n. 22598/2018) – la Cassazione ha evidenziato che la Ctr ha affermato che la ricostruzione operata dall’ufficio era rinforzata da riscontri oggettivi e da circostanze gravi, precise e concordanti; di seguito, ha ricostruito la giurisprudenza di legittimità sul tema dell’interposizione e, nella parte dedicata alle ragioni giuridiche, ha dato puntualmente conto degli elementi che dovevano indurre a ritenere integrata la fattispecie di cui all’articolo 37-bis Dpr n. 600/1973 esplicitando le ragioni per le quali non poteva darsi rilievo alla consulenza di parte prodotta dal contribuente.
Passando alla disamina congiunta dei primi due motivi di impugnazione i giudici della Cassazione hanno richiamato, in linea generale, il disposto di cui al più volte citato articolo 37-bis in base al quale «In sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona». La norma ha avuto la funzione di riallineare l’attività svolta da un altro soggetto sull’effettivo percettore del reddito e prevede che l’Ufficio possa utilizzare elementi indiziari, dotati di carattere presuntivo, al fine di accertare il fatto costitutivo dell’imposizione tributaria rappresentato dal possesso effettivo di un reddito per interposta persona.
In altri termini, lo scopo della norma è quello di evitare che il contribuente (effettivo possessore) si sottragga al prelievo occultando all’Amministrazione finanziaria la propria identità di contribuente, ricorrendo a interposizioni tali da attribuire a terzi il possesso del reddito.
In altri termini, il possesso del reddito «per interposta persona» costituisce il fatto ignoto oggetto della prova logica a carico dell’Ufficio, quale elemento che lega il reddito prodotto dal soggetto interposto al titolare effettivo.
“La rilevanza dell’effettivo possesso del reddito rispetto alla sua titolarità formale sancisce la prevalenza della sostanza (possesso del reddito) sulla forma (titolarità del reddito) e della realtà sull’apparenza, dovendosi individuare non la natura fittizia o ingannevole della titolarità del reddito, bensì l’effettività dell’esercizio del possesso del reddito a prescindere dalla sua formale titolarità” (Cassazione n. 23231/2022).
Ciò che rileva ai fini tributari è, pertanto, che l’interponente disponga delle risorse del soggetto interposto uti dominus; infatti, è nella prova della relazione dell’interponente con la fonte di reddito del soggetto interposto che si risolve la prova del «possesso» del reddito.
Costituisce, inoltre, principio consolidato quello per cui la disciplina prevista dall’articolo 37 citato non presuppone necessariamente un comportamento fraudolento da parte del contribuente, essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico, che consenta di eludere l’applicazione del regime fiscale costituente il presupposto d’imposta (Cassazione n. 11055/2021).
Nel caso di specie, pertanto, la Ctr Lazio si è attenuta a detti principi ed ha accertato che la società non aveva compiti specifici da esercitare diversi dalle prestazioni del professionista negli interventi e nelle visite mediche; non aveva il ruolo di società di servizi poiché era la clinica presso la quale venivano eseguiti gli interventi a mettere a disposizione la struttura, i mezzi ed il personale.
La Ctr, inoltre, ha ulteriormente irrobustito il quadro indiziario volto a configurare la società come mero schermo, disattendendo le conclusioni della consulenza di parte e ricostruendo puntualmente il vantaggio fiscale conseguito dal contribuente attraverso lo schermo societario ed evidenziando che il contribuente aveva in tal modo eluso la progressività della tassazione evitando l’aliquota massima del 43 per cento.
Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale