17 Mag Diritto al rimborso Iva, la sostanza prevale sulla forma
La Corte Ue, con la sentenza odierna, causa C-746/2022, ha chiarito che l’articolo 23 direttiva 2008/09, che stabilisce le norme per il rimborso Iva ai soggetti passivi non stabiliti nello Stato membro di rimborso, ma in un altro Stato membro, osta a una normativa nazionale che vieta a un soggetto passivo che abbia presentato istanza di rimborso dell’Iva di fornire, nella fase del ricorso dinanzi a un’autorità di II grado, informazioni aggiuntive richieste in I grado e non fornite entro un mese.
Una società slovacca, che svolge la sua attività nel settore dell’energia, eseguendo lavori di ingegneria connessi a centrali elettriche, ha effettuato nel 2020 lavori di montaggio ed installazione presso una centrale elettrica ungherese, acquistando diversi beni ed utilizzando diverse prestazione di servizi in Ungheria. L’anno successivo detta società, in quanto soggetto passivo stabilito in un altro Stato membro, ha presentato presso la direzione tributaria e doganale per i grandi contribuenti dell’amministrazione nazionale tributaria e doganale ungherese una richiesta di rimborso dell’Iva assolta a monte sui beni e servizi acquistati in Ungheria nell’anno precedente. Pertanto, detta direzione inviava alla società una richiesta di informazioni, al fine di chiarire i fatti ed accertare la fondatezza del diritto al rimborso dell’Iva richiesto da quest’ultima ma, non avendo ricevuto risposta, archiviava la richiesta di rimborso, non potendo accertare con la necessaria accuratezza i fatti alla base della richiesta in parola.
La società presentava, quindi, un ricorso amministrativo contro tale decisione presso l’autorità tributaria di secondo grado, che confermava la decisione di primo grado, ritenendo, in particolare, di non poter prendere in considerazione i documenti allegati al ricorso, poiché la normativa nazionale vieta la produzione di nuovi elementi di prova a sostegno di un ricorso nel caso in cui l’autore di quest’ultimo fosse a conoscenza di tali elementi prima dell’adozione della decisione di primo grado.
La vertenza perveniva, quindi, a seguito di ricorso della compagine, alla Corte di Budapest-Capitale.
Questioni pregiudiziali
Ciò premesso, la Corte di Budapest-Capitale ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
- Se l’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2008/9/CE del Consiglio, recante modalità di applicazione relative al rimborso dell’Iva, ai soggetti passivi non stabiliti nello Stato membro di rimborso, ma in un altro Stato membro, debba essere interpretato nel senso che è conforme ai requisiti in materia di ricorsi di detta direttiva una normativa nazionale che, ai fini dell’esame delle richieste di rimborso dell’Iva, non consente, nella fase del ricorso, di far valere fatti nuovi e di invocare o produrre nuovi mezzi di prova che il richiedente conosceva prima dell’adozione della decisione di primo grado ma che non ha presentato, nonostante fosse stato invitato a farlo dall’autorità tributaria, o non ha fatto valere, dando così luogo ad una restrizione sostanziale che eccede i requisiti formali relativi ai termini stabiliti dalla direttiva 2008/9
- Se una risposta affermativa alla prima questione comporti che il termine di un mese previsto dall’articolo 20, paragrafo 2, della direttiva 2008/9 debba essere considerato perentorio. Se ciò sia conforme al principio del diritto ad un ricorso effettivo e ad un giudice imparziale sancito dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, nonché agli articoli 167, 169, 170 e 171, paragrafo 1, della direttiva Iva e ai principi fondamentali di neutralità fiscale, effettività e proporzionalità sviluppati dalla Corte di giustizia Ue
- Se il disposto dell’articolo 23, paragrafo 1, della direttiva 2008/9, relativo al rifiuto totale o parziale di una richiesta di rimborso, debba essere interpretato nel senso che ad esso è conforme una normativa nazionale in base alla quale l’autorità tributaria è tenuta ad archiviare il procedimento qualora il soggetto passivo richiedente non risponda ad una richiesta dell’autorità tributaria né rispetti l’obbligo di regolarizzazione e, in difetto di ciò, la richiesta non possa essere esaminata, ma il procedimento prosegue d’ufficio.
Sentenza
La Corte premette che la direttiva 2008/09 ha lo scopo di stabilire norme dettagliate per il rimborso dell’Iva ai soggetti passivi non stabiliti nello Stato membro di rimborso che soddisfano le condizioni di cui all’articolo 3 della direttiva in parola.
Ebbene, il diritto al rimborso, al pari del diritto a detrazione, costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’Iva istituito dalla normativa dell’Unione e non può, in linea di principio, essere soggetto a limitazioni. Tale diritto va esercitato immediatamente per tutte le imposte che hanno gravato le operazioni effettuate a monte. Il sistema delle detrazioni e, quindi, dei rimborsi, è inteso ad esonerare interamente l’imprenditore dall’onere dell’Iva dovuta o assolta nell’ambito di tutte le sue attività economiche. Il sistema comune dell’Iva garantisce, di conseguenza, la neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di dette attività, purché queste siano, in linea di principio, soggette esse stesse all’Iva.
Tale principio fondamentale di neutralità dell’Iva – specificano i togati comunitari – esige che la detrazione o il rimborso dell’Iva assolta a monte sia concesso se i requisiti sostanziali sono soddisfatti, anche se taluni requisiti formali sono stati omessi dai soggetti passivi. Tuttavia, la soluzione può essere diversa se la violazione di tali requisiti formali abbia l’effetto di impedire che sia fornita la prova certa del rispetto dei requisiti sostanziali.
Ciò posto, per quanto attiene alle modalità di esercizio del diritto al rimborso dell’Iva, l’articolo 20 della direttiva 2008/09 offre allo Stato membro di rimborso, laddove questo ritenga di non disporre di tutte le informazioni che gli consentano di decidere in merito alla richiesta di rimborso, in toto o in parte, di chiedere informazioni aggiuntive, in particolare al richiedente o alle autorità competenti dello Stato membro di stabilimento, le quali devono essere fornite entro il termine (non di decadenza) di un mese a decorrere dalla data di ricezione della richiesta di informazioni da parte del destinatario.
Infine, conformemente all’articolo 23, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2008/09, il richiedente può presentare ricorso presso le autorità competenti dello Stato membro di rimborso contro una decisione di rifiuto di una richiesta di rimborso nella forma ed entro i termini prescritti per i ricorsi riguardanti le richieste di rimborso presentate dalle persone stabilite in tale Stato membro. Detta disposizione deve essere letta alla luce del considerando 3 della direttiva in parola, da cui emerge che quest’ultima mira, in particolare, a rafforzare il diritto di ricorso da parte delle imprese.
Conformemente all’articolo 23, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2008/09, inoltre, un ricorso quale il ricorso amministrativo in questione rientra, per quanto riguarda la forma e i termini cui è soggetto siffatto ricorso, nelle competenze dell’ordinamento giuridico interno dello Stato membro di rimborso. Pertanto, l’introduzione di misure nazionali che rifiutino di prendere in considerazione le prove fornite dopo l’adozione della decisione di rigetto di una domanda di rimborso dell’Iva rientra nelle competenze dell’ordinamento giuridico interno di ogni Stato membro, in virtù del principio di autonomia procedurale degli Stati membri, a condizione, tuttavia, che esse non siano meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) e che non rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività).
Il caso di specie
Gli eurogiudici – esposte le premesse normative e giurisprudenziali di riferimento – osservano che una normativa nazionale come quella ungherese ha l’effetto di impedire sistematicamente il rimborso dell’Iva a soggetti passivi i quali, benché abbiano risposto tardivamente a una richiesta di informazioni aggiuntive, soddisfano l’insieme delle condizioni sostanziali per ottenere tale rimborso. Inoltre, la Corte di giustizia ha già avuto occasione di dichiarare, dopo aver constatato che il termine di un mese previsto dall’articolo 20, paragrafo 2, della direttiva 2008/9 ai fini dell’inoltro delle informazioni aggiuntive non costituisce un termine di decadenza, che, nel caso in cui una domanda di rimborso venga respinta in toto o in parte, il soggetto passivo che non ha comunicato le informazioni aggiuntive in tale termine dispone del diritto di proporre ricorso contro detta decisione di rigetto conformemente all’articolo 23, paragrafo 2, primo comma, della medesima direttiva e di regolarizzare, nell’ambito di un siffatto ricorso, la propria richiesta di rimborso per mezzo della produzione di informazioni aggiuntive idonee a comprovare la sussistenza del proprio diritto al rimborso dell’Iva.
Inoltre, la Corte rileva che l’articolo 26, secondo comma, della direttiva 2008/09, che si riferisce espressamente all’ipotesi in cui un soggetto passivo non fornisca le informazioni aggiuntive che gli sono state richieste entro il termine prescritto, avvalora altresì l’interpretazione secondo cui lo Stato membro di rimborso non può rifiutare sistematicamente di prendere in considerazione le risposte tardive alle richieste di informazioni aggiuntive.
Passando all’esame della terza questione pregiudiziale, i togati comunitari – in sintesi – evidenziano che una decisione di archiviazione quale quella in questione non equivale affatto ad una mancata decisione entro il termine prescritto, poiché una siffatta decisione di archiviazione pone fine al procedimento avviato dalla richiesta di rimborso presentata dal soggetto passivo senza concedere il rimborso sollecitato da quest’ultimo e deve quindi essere considerata una decisione di rifiuto di tale richiesta, ai sensi dell’articolo 23 della direttiva 2008/9.
Ne consegue che, quando una richiesta di rimborso dell’Iva presentata da un soggetto passivo stabilito in uno Stato membro diverso dallo Stato membro di rimborso sia oggetto di una siffatta decisione di archiviazione, da un lato, i motivi dell’archiviazione devono essere notificati al richiedente unitamente a tale decisione, conformemente all’articolo 23, paragrafo 1, della direttiva 2008/9 e, dall’altro, deve essere possibile presentare ricorsi presso le autorità competenti dello Stato membro di rimborso contro la decisione in parola, conformemente all’articolo 23, paragrafo 2, primo comma, della medesima direttiva.
In conclusione, nell’ambito di tali ricorsi, il soggetto passivo deve disporre, in ogni caso, del diritto di produrre le informazioni aggiuntive che non aveva fornito entro il termine di un mese previsto all’articolo 20, paragrafo 2, della direttiva 2008/9.
Conclusioni
1) L’articolo 23, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2008/9/CE del Consiglio, del 12 febbraio 2008, che stabilisce norme dettagliate per il rimborso dell’Iva, previsto dalla direttiva Iva, ai soggetti passivi non stabiliti nello Stato membro di rimborso, ma in un altro Stato membro, letto alla luce dei principi di neutralità dell’imposta sul valore aggiunto (Iva) e di effettività, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che vieta ad un soggetto passivo il quale abbia presentato una domanda di rimborso dell’Iva di fornire, nella fase del ricorso dinanzi a un’autorità tributaria di secondo grado, informazioni aggiuntive richieste dall’autorità tributaria di primo grado e che tale soggetto passivo non ha fornito a quest’ultima autorità entro il termine di un mese previsto all’articolo 20, paragrafo 2, della medesima direttiva, atteso che il termine in parola non costituisce un termine di decadenza;
2) L’articolo 23 della direttiva 2008/9 deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale in virtù della quale un’autorità tributaria deve procedere all’archiviazione del procedimento di rimborso dell’Iva qualora il soggetto passivo non abbia fornito, entro il termine prescritto, informazioni aggiuntive richieste da detta autorità in forza dell’articolo 20 della medesima direttiva e, in mancanza delle informazioni in parola, la domanda di rimborso dell’Iva non possa essere esaminata, a condizione che la decisione di archiviazione del procedimento sia considerata una decisione di rifiuto di tale domanda di rimborso, ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 1, della menzionata direttiva, e che possa essere oggetto di un ricorso che soddisfi i requisiti previsti dall’articolo 23, paragrafo 2, primo comma, della direttiva stessa.
Fonte:
Data della sentenza
16 maggio 2024
Numero della causa:
Causa C-746/2022
Nome delle parti:
Slovenské Energetické Strojárne A. S.;
contro
Nemzeti Adó- és Vámhivatal Fellebbviteli Igazgatósága.
Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale