Corrispettivi non aggiornati, la violazione è sostanziale

Corrispettivi non aggiornati, la violazione è sostanziale

Il mancato aggiornamento del registro dei corrispettivi può determinare l’omesso versamento dell’Iva o il pagamento di un rimborso non dovuto, rappresenta, quindi, una violazione sostanziale a cui è applicabile la sanzione prevista dall’articolo 6 del decreto legislativo n. 471/1997. Questo è principio espresso dalla Corte di cassazione con l’ordinanza n. 7391 del 19 marzo 2024

Prima di esaminare nel merito la vicenda processuale, occorre precisare che il registro dei corrispettivi è un registro contabile previsto, a carico di determinate categorie di contribuenti, dall’articolo 24 del decreto Iva (Dpr n. 633/1972). In tale registro devono essere annotate le operazioni compiute in ciascun giorno, suddivise in base all’aliquota Iva.

Il caso oggetto della pronuncia in esame è scaturito da una verifica fiscale compiuta a carico di una società la quale, a seguito di specifica richiesta da parte di funzionari dell’Amministrazione finanziaria, ha esibito un registro dei corrispettivi la cui compilazione era stata sospesa già da diversi mesi.

Ne è conseguito un atto di contestazione, a seguito del quale l’Agenzia delle entrate ha irrogato la sanzione stabilita dall’articolo 6 sopra richiamato.

A seguito del ricorso presentato dalla società, sia la Ctp di Caserta (sentenza n. 342 del 26 gennaio 2021) che la Ctr della Campania (sentenza n. 2442 del 10 marzo 2022) hanno condiviso la tesi della parte, ritenendo che la violazione commessa fosse solo formale e che non fosse derivato alcun danno per l’Erario, anche in considerazione del fatto che, nonostante l’omessa registrazione dei corrispettivi, le relative imposte erano state regolarmente versate.

La Commissione tributaria regionale, più specificatamente, ha attribuito rilievo, ai fini della decisione, alla circostanza che la società oggetto del provvedimento non aveva compiuto “….atti inequivocamente diretti ad occultare tali documenti al fine di dissimulare una apparente coerenza tra i dati contabili non rispondenti alla realtà economica della impresa”.

I giudici della Corte di cassazione, investiti della questione, hanno rilevato che gli articoli 23 e 25 del decreto Iva stabiliscono tempi e modalità ben precisi ai fini della registrazione delle fatture e sanciscono un obbligo generalizzato di annotazione, senza che altre norme prevedano deroghe a tali adempimenti. Considerato che questi adempimenti hanno una scansione temporale collegata ai versamenti dell’imposta, i giudici hanno ritenuto che la violazione dell’obbligo della regolare registrazione dei corrispettivi rappresentasse una violazione sostanziale.

Ciò in quanto si tratta di una violazione che incide in via diretta sia sulla determinazione del volume d’affari che sul calcolo dell’imposta dovuta.

In particolare, i giudici della Corte suprema hanno richiamato l’articolo 23 del Dpr n. 633/1972, nella versione in vigore all’epoca dei fatti, nella parte in cui stabilisce che “…il contribuente deve annotare entro quindici giorni le fatture emesse, nell’ordine della loro numerazione e con riferimento alla data della loro emissione, in apposito registro.

Sulla base di tale disposizione si è evidenziato che le modalità di fatturazione e registrazione stabilite dal legislatore devono essere rispettate anche in considerazione del particolare meccanismo della detrazione previsto in favore del soggetto che cede un bene o che esegue una prestazione di servizi in ambito iva.

È stato, quindi, sancito il principio in base al quale “…tanto l’omessa annotazione di fattura negli appositi registri entro il termine previsto dall’art.23 DPR n. 633/1972, quanto la mancata conseguente contabilizzazione nella dichiarazione relativa all’esercizio di competenza, devono essere considerate delle “irregolarità sostanziali”, perché rilevanti ai fini della determinazione del “volume d’affari” previso dall’art. 20 DPR cit. e dell’imposta dovuta…”.

Secondo i giudici, l’omessa registrazione delle fatture nell’anno solare determina, di per sé, il rischio per l’Amministrazione finanziaria di non conseguire il pagamento dell’imposta dovuta sulla base della dichiarazione annuale o di effettuare un rimborso in mancanza dei presupposti di legge.

Sulla base di queste considerazioni è stato, quindi, accolto il ricorso dell’Agenzia delle entrate.



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale