Il dubbio interpretativo non c’è, sbagliato non applicare le sanzioni

Il dubbio interpretativo non c’è, sbagliato non applicare le sanzioni

L’istituto della disapplicazione delle sanzioni “per obiettive condizioni di incertezza”, di cui al combinato disposto degli articoli 8, Dlgs n. 546/1992, 6, Dlgs n. 472/1997, e 10, comma 3, legge n. 212/2000, si riferisce esclusivamente a situazioni di dubbi interpretativi sulla portata e sull’ambito di applicazione di disposizioni normative, che appaiano obiettivamente equivoche, tali da ammettere interpretazioni divergenti o anche di non consentire l’individuazione certa di un determinato significato. È quanto affermato dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, con la sentenza n. 1790 del 16 marzo 2024.

La vicenda processuale
Con distinti ricorsi, esperiti in tempi diversi, un Istituto bancario impugnava una comunicazione di irregolarità unitamente al provvedimento di rigetto di autotutela e, successivamente, la cartella di pagamento emessa a fronte della mancata regolarizzazione.

Nel merito, la richiesta di pagamento scaturiva dall’indebito utilizzo in compensazione di un credito Ires rivelatosi, poi, non spettante e rispetto al quale l’Istituto, avvedutosi di aver compensato un credito maggiore di quello realmente disponibile, provvedeva a versare la differenza, maggiorando tale importo dei soli interessi (ovvero senza corrispondere alcuna sanzione).

Secondo la ricostruzione della ricorrente, la compensazione si era rivelata indebita non per propria colpa ma a fronte del mutamento, sopravvenuto e imprevedibile, del regime di ritenuta alla fonte effettivamente applicabile ai dividendi distribuiti all’Istituto da società residenti in Francia.

In particolare, solo da una certa data in poi, la ricorrente aveva maturato il diritto a ricevere i dividendi di fonte francese godendo dell’esenzione integrale, prima di allora non sarebbe stato possibile formulare previsioni ragionevoli sull’ammontare delle ritenute che sarebbero risultate definitivamente a suo carico, non essendo in condizione di poter formulare ragionevoli previsioni sull’ammontare delle ritenute che sarebbero state rimborsate dal Fisco francese, essendo stata manifestata dal depositario italiano apertura circa la possibilità di fruire dell’esenzione anche in via straordinaria e retroattiva; soltanto nel 2016 è stato possibile, secondo la Banca, procedere a ricalcolare esattamente il credito per le imposte pagate all’estero”.

Secondo l’Agenzia delle entrate la situazione rappresentata non escludeva, invece, il pagamento della sanzione amministrativa, che veniva richiesta proprio attraverso la notifica della comunicazione di irregolarità.

In altri termini, nel contenzioso in esame non si fa questione dell’avvenuta indebita compensazione di eccedenze Ires non spettanti, quanto della conseguente sanzione, la cui applicazione era contestata dalla ricorrente la quale sosteneva che la compensazione operata per eccesso fosse frutto di un errore di fatto non imputabile a sua colpa e, pertanto, insuscettibile di determinare responsabilità amministrativa ai sensi dell’articolo 6 del Dlgs n. 472/1997, potendosi chiaramente evincere la buona fede dell’Istituto dalla pronta effettuazione del versamento dell’importo realmente dovuto con gli interessi per il ravvedimento operoso.

In primo grado i giudici, premessa l’inammissibilità dell’impugnazione riguardo la comunicazione di irregolarità e il diniego di autotutela (il primo per tardività, la seconda poiché atto non autonomamente impugnabile), accoglievano il ricorso e, pertanto, annullavano la cartella di pagamento ritenendo, in particolare, che il combinato disposto degli articoli 5 e 6 del Dlgs n. 472/1997, 8 del Dlgs n. 546/1992 e 10 della legge n. 212/2000, escluda la possibilità di sanzionare, in via amministrativa, quelle violazioni relativamente alle quali non sia possibile ravvisare una condotta dolosa o negligente da parte del contribuente, e ciò, con particolare riferimento all’ipotesi in cui la violazione sia conseguente a un incolpevole errore sul fatto.

L’Agenzia proponeva appello, ritenendo, al contrario, che la disapplicazione delle sanzioni presupponga che l’errore in cui il contribuente incorre nell’adempimento degli obblighi tributari sia determinato da un quadro normativo di riferimento ambiguo, confuso, in continua evoluzione e oggetto di contrasti interpretativi da parte della giurisprudenza.

Circostanza, quest’ultima, che veniva esclusa nel caso in esame, atteso che la rettifica in diminuzione dell’ammontare del credito per le imposte versate all’estero (risultato all’esito non spettante), non poteva attribuirsi a difficoltà nell’individuazione o interpretazione delle disposizioni normative, né alla mancanza di una prassi amministrativa o all’adozione di prassi amministrative contrastanti o alla mancanza di precedenti giurisprudenziali e all’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente.

Anche l’appellato depositava le proprie difese in giudizio eccependo l’inammissibilità del ricorso per mancanza di specifici motivi di impugnazione, la formazione del giudicato per mancata censura sulla parte della pronuncia che aveva riconosciuto l’errore scusabile e, in subordine e nel merito, la conferma della legittimità e fondatezza della pronuncia di primo grado in punto di errore scusabile sul fatto (articolo 6, Dlgs n. 472/1997).

La pronuncia della Corte
I giudici di secondo grado, rigettata l’eccezione d’inammissibilità per mancanza di specificità dell’appello, hanno ritenuto fondate le argomentazioni esposte dall’ufficio e, dunque, non invocabile, nel caso specifico, l’errore incolpevole sul fatto, ovvero errore determinato da incertezza normativa.

Ad avviso dei giudici romani l’articolo 6 del Dlgs n. 472/1997 è una norma unica, che contempla, al primo comma, l’ipotesi generale di violazione commessa per errore di fatto non colposo e, al secondo comma, specifica che l’errore commesso deve collegarsi alla sussistenza di obiettive incertezze normative.

Nel caso specifico, l’utilizzo in compensazione di un credito non ancora disponibile deve ricondursi a un comportamento volontario della ricorrente, nonostante una previsione ancora incerta, per sua stessa ammissione, sulle ritenute rimborsabili da parte del Fisco francese.

L’indebita compensazione operata, ritengono i giudici, non è l’effetto di difficoltà di interpretazione sulla portata di alcuna norma ma della volontà della ricorrente di aderire, per sua stessa ammissione, alla proposta di “esplorare la possibilità di apportare al modello operativo di deposito le variazioni necessarie a superare la preclusione consistente nell’assenza di conti segregati presso un intermediario francese e fruire quindi del regime di esenzione” e, dunque, una circostanza di fatto, determinata da scelte operative e discrezionali, che non può essere assimilata alle obiettive condizioni di incertezza normativa, che il nostro ordinamento prevede in termini generali a maggior garanzia del contribuente.



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale