Revocatoria fallimentare accettata, imposta di registro proporzionale

Revocatoria fallimentare accettata, imposta di registro proporzionale

La sentenza, con la quale un tribunale accoglie la richiesta di revocatoria fallimentare, sconta l’imposta di registro con l’aliquota del 3% (articolo 8, lettera b) della tariffa allegata al Dpr 131/1986 – il Tur). Questo principio è stato affermato dalla Corte di cassazione, con la sentenza n. 8777 del 3 aprile 2024.

Prima di esaminare nel merito la vicenda processuale, bisogna premettere, che l’azione revocatoria fallimentare è disciplinata dagli articoli 64 e seguenti della legge fallimentare (Rd 267/1942). Si tratta di uno strumento previsto dal legislatore, al fine di ricostituire il patrimonio di un soggetto fallito in modo da tutelare le ragioni dei suoi creditori.

In caso di accoglimento di tale azione, la cui legittimazione spetta al curatore fallimentare, determinati atti od operazioni compiute dal fallito prima della dichiarazione di fallimento, sussistendo specifiche condizioni, vengono privati di efficacia nei confronti della procedura fallimentare.

Il giudizio che si instaura, in seguito alla proposizione dell’azione revocatoria, si conclude con una sentenza che, in caso di accoglimento della domanda, ha natura costitutiva. Viene, infatti, modificata la situazione giuridica preesistente, in quanto determinati atti od operazioni perdono la loro efficacia, nei confronti del fallimento.

Tale sentenza è soggetta a registrazione in termine fisso ai sensi degli articoli 37 del Tur e 8 della tariffa richiamata.

Nel caso in esame, per la registrazione della sentenza con la quale il tribunale di Bologna ha accolto la richiesta di revocatoria fallimentare, l’ufficio ha emesso un avviso di liquidazione ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro con l’aliquota del 3%, prevista dalla lettera b) dell’articolo 8 della tariffa citata.

Questa norma contempla gli atti giudiziari “…recanti condanna al pagamento di somme o valori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura”.

La società destinataria dell’avviso di liquidazione ha presentato ricorso in Commissione tributaria, ritenendo che la sentenza doveva essere tassata in base alla lettera e) della disposizione sopra richiamata, ai sensi della quale l’imposta di registro si applica in misura fissa per gli atti giudiziari “…che dichiarano la nullità o pronunciano l’annullamento di un atto, ancorché portanti condanna alla restituzione di denaro o beni, o la risoluzione di un contratto”.

Secondo la società, in pratica, la sentenza di revocatoria produce, soprattutto, l’effetto di ripristinare la situazione precedente, senza determinare alcun trasferimento di ricchezza e, pertanto, doveva scontare l’imposta soltanto in misura fissa.

Sia la Ctp di Bologna, che la Ctr dell’Emilia Romagna (decisione n. 1132/2017) hanno ritenuto infondate le osservazioni della parte.
In particolare i giudici di appello hanno sottolineato che la sentenza di revocatoria fallimentare:

– dichiara l’inefficacia di un atto nei confronti della procedura fallimentare, determinando di fatto un “…trasferimento di ricchezza in favore del fallimento”;

– produce effetti nettamente diversi dalla sentenza di nullità o annullamento di un atto e, pertanto, non sarebbe applicabile lo stesso trattamento (imposta fissa) riservato a queste tipologie di sentenze.

Sulla stessa linea si sono espressi i giudici della Corte di cassazione, che hanno richiamato il loro consolidato orientamento in base al quale “…la sentenza di accoglimento dell’azione revocatoria fallimentare, producendo l’effetto giuridico del recupero alla procedura esecutiva di beni che ne erano in precedenza assenti e realizzando un trasferimento di ricchezza in favore del fallimento, è soggetta ad aliquota proporzionale”.

In motivazione si è, altresì, affermato che la norma, la quale dispone l’applicazione dell’imposta fissa per i provvedimenti di nullità, annullamento o risoluzione di un atto è di stretta interpretazione e, quindi, non può essere applicata a fattispecie diverse da quelle espressamente contemplate dalla norma stessa.

La Corte di legittimità ha, quindi, affermato che la sentenza di pronuncia fallimentare di un atto “…possiede contenuti ed effetti diversi dalle sentenze di nullità o annullamento di un atto o di risoluzione di un contratto, dal momento che, a differenza di queste, essa non opera alcuna caducazione dell’atto impugnato, che rimane in vita sia pure privo di efficacia nei confronti del fallimento e della procedura esecutiva”.

Tenuto, quindi, conto che la sentenza di revocatoria fallimentare non comporta un mero ripristino della situazione anteriore, ma implica anche un trasferimento di ricchezza in favore del fallimento che vede incrementata la sua massa di beni, si è ritenuta corretta l’applicazione dell’imposta di registro con l’aliquota del 3 per cento.

È stato, di conseguenza, respinto il ricorso presentato dalla società.

Nello stesso senso la Corte di cassazione si era pronunciata, ad esempio, con le sentenze nn. 21160/2005, 4537/2009, 20594/2011, 27960/2011 e 17584/2012, con le quali era già stato espresso il principio, in base al quale la sentenza di accoglimento dell’azione revocatoria produce l’effetto giuridico del recupero alla procedura esecutiva di beni che ne erano in precedenza assenti, realizzando un trasferimento di ricchezza a favore del fallimento. 



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale