Società a ristretta base partecipativa, ok alla presunzione degli utili ai soci

Società a ristretta base partecipativa, ok alla presunzione degli utili ai soci

Legittimi gli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle entrate, a seguito di indagini bancarie, nei confronti di una Srl, società a ristretta base, e dei tre soci con i quali, riscontrati maggiori utili extra-contabili, recuperava, per gli anni di imposta 2006 e 2007, maggiore Ires, Iva e Irap nei confronti della società e maggiore Irpef nei confronti delle persone fisiche. Avverso detti atti impositivi i contribuenti proponevano separati ricorsi.

I giudici di primo grado, previa riunione delle singole impugnative, dopo aver preso atto che parte delle riprese a tassazione erano state annullate dall’ufficio in autotutela, riteneva legittimi gli accertamenti, ad esclusione dei prelevamenti sui conti correnti, imputati a maggior reddito, per i quali riteneva non vi fosse prova che si trattasse di movimenti in evasione di imposta.

Sia i contribuenti sia l’Ufficio proponevano separati appelli.

La Corte di secondo grado così statuiva in dispositivo: «In parziale riforma dell’appellata sentenza determina in euro 4.925,00 le somme da imputare, quali maggiori redditi alla società. Conferma nel resto. Le spese compensate».

Avverso detta ultima pronuncia ricorreva l’Agenzia delle entrate e resisteva con un primo controricorso la Srl unitamente a un socio e con separato controricorso altro socio.

Con il primo motivo di ricorso, l’Ufficio denunciava la nullità della sentenza per violazione dell’articolo 36 Dlgs n. 546/1992 stante la motivazione apparente o inesistente ritenendo che la motivazione della sentenza impugnata non consentisse di comprendere la ratio decidendi sottesa al rigetto dell’appello erariale.

Con il secondo motivo denunciava la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 32 Dpr n. 600/1973 nella parte in cui quei giudici hanno ritenuto che le presunzioni poste dall’Ufficio a fondamento dell’atto impositivo non fossero sorrette da validi elementi indiziari e che l’avviso di accertamento, in mancanza di prove concrete, non potesse reggersi solo su presunzioni.

Con il terzo motivo l’Ufficio lamentava la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2697 cc censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto che la presunzione di distribuzione degli utili ai soci in modo paritario fosse inconsistente in quanto non teneva conto della disparità delle somme movimentate sui singoli conti e della mancanza di prova dell’unità di intenti.

Infine, con il quarto motivo denunciava, la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 47 del Tuir ritenendo che la sentenza impugnata fosse viziata nella parte in cui ha ritenuto che la tassazione dei dividendi andasse calcolata al netto delle imposte a carico della società e che non potesse tenersi conto in maniera assoluta e totale dei prelevamenti e dei versamenti.

La Corte di cassazione con la sentenza n. 2494 depositata lo scorso 26 gennaio 2024 ha accolto il ricorso dell’Agenzia con rinvio ad altra sezione della Ctr Veneto ritenendo del tutto fondate le doglianze esposte.

La sentenza della Ctr impugnata, dopo aver ritenuto «chiara e circostanziata» la pronuncia di primo grado – che aveva confermato la legittimità dell’accertamento, se pure limitatamente ai versamenti, e legittima l’imputazione del reddito pro quota ai soci – articolava una serie di considerazioni in fatto ed in diritto, per poi giungere a rideterminare i maggiori redditi della società, confermando per il resto la sentenza impugnata.

Restava, tuttavia, a detta della Cassazione del tutto incomprensibile il percorso logico seguito per giungere dalle premesse al decisum.

Nelle premesse la Ctr rilevava che:

  • le operazioni transitate sui conti dei soci provenivano da regolari fatture societarie
  • l’accertamento si era fondato su presunzioni non sorrette da validi indizi e che, non essendovi prove concrete, l’accertamento non poteva fondarsi solo su presunzioni
  • quanto alla divisione degli utili tra i soci non si era tenuto conto delle disparità delle somme movimentate sui soci né vi era prova della unità di intenti
  • l’Ufficio non poteva tener conto «in maniera assoluta e totale» dei versamenti e dei prelevamenti
  • in ogni caso, la tassazione dei dividendi doveva essere al netto delle imposte corrisposte dalla società.

Le Sezioni unite della Corte hanno precisato che la riformulazione dell’articolo 360, primo comma, n. 5, codice di procedura civile, – disposta dall’articolo 54 della legge n. 83/2012 – deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 delle preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Pertanto, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile»; è esclusa, invece, qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione. (Cassazione Sezioni unite n. n. 8053/2014  e n. 8054/2014).

Nel caso di specie, la Ctr, come evidenziato nel secondo motivo di ricorso, aveva escluso che l’accertamento potesse fondarsi su presunzioni ed ha escluso, confermando la sentenza di primo grado, che potesse darsi rilievo ai prelevamenti.

Tuttavia, per costante giurisprudenza di questa Corte, in virtù della presunzione stabilita dall’articolo 32 Dpr n. 600/1973, – che, data la fonte legale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’articolo 2729 cc per le presunzioni semplici – sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari del contribuente vanno considerati come elementi positivi di reddito se questo non dimostra di averne tenuto conto nella determinazione della base imponibile oppure che sono estranei alla produzione del reddito (tra le più recenti, Cassazione n. 13236/2022, n. 25812/2021, n. 5788/2021).

Non rileva del resto, la dichiarazione di incostituzionalità del citato articolo 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, Dpr n. 600/1973 ad opera della sentenza della Corte costituzionale n. 228/2014; questa, infatti, ha ritenuto solo con riferimento ai lavoratori autonomi irragionevole e contraria al principio di capacità contributiva la presunzione che i prelievi ingiustificati dai conti correnti bancari siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo sia a sua volta produttivo di reddito (Cassazione n. 2240/2021).

Quanto alle modalità tramite le quali assolvere all’onere probatorio, si è precisato che è onere del contribuente indicare e dimostrare la provenienza e la destinazione dei singoli pagamenti con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti attivi e passivi, quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti (Cassazione n. 26111/2015).

La Ctr, come rilevato con il terzo motivo di ricorso, ha ritenuto che l’Ufficio non avesse provato la distribuzione paritaria degli utili extra-contabili tra i soci.

Per giurisprudenza costante di questa Corte, in caso di società a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti (Cassazione n. 5076/2011, n. 9519/2009, n. 24534/2017, n. 27778/2017, n. 32959/2018, n. 1947/2019, n. 16913/2020, n. 10679/2022).

Infine, la Ctr, come rilevato con il quarto motivo, ha ritenuto che la distribuzione degli utili ai soci dovesse avvenire al netto delle imposte corrisposte dalla società.

La Corte ha affermato che, quando viene contestata, in caso di società a ristretta base partecipativa, la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, non è applicabile il disposto di cui all’articolo 47 citato, che attiene alla tassazione degli utili distribuiti ai soci, con delibere formali dell’assemblea e, pertanto, non è estensibile ai redditi extracontabili, non menzionati nella contabilità societaria.

Si è precisato sul punto che lo stesso articolo, laddove dispone che, «salvi i casi di cui all’art. 3, comma 3, lett. a), gli utili distribuiti in qualsiasi forma e sotto qualsiasi denominazione dalle società […], anche in occasione della liquidazione, concorrono alla formazione del reddito imponibile complessivo limitatamente al 40 per cento del loro ammontare» riguarda la modifica attuata con il Dlgs n. 344/2003, sicché il sistema impositivo degli utili da partecipazione è stato caratterizzato dall’abrogazione del metodo del credito d’imposta sui dividendi e del sistema di imputazione e dall’adozione di un sistema di parziale esclusione della tassazione degli utili, al fine di mitigare gli effetti della doppia imposizione economica, in quanto gli utili distribuiti sono stati già tassati in capo alla società che li ha prodotti.

Al contrario, nel caso in esame, trattandosi di utili «in nero», mai pervenuti nella contabilità societaria, non vi è alcun obbligo di mitigare una doppia imposizione che non v’è mai stata, non avendo la società mai dichiarato i medesimi (Cassazione n. 5567/2023, n. 26317/2020, n. 34282/2029).



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale