
05 Giu Sopravvenienza attiva “da sentenza”, è fiscale dal deposito della pronuncia
La Corte di cassazione con l’ordinanza n. 11917 del 6 maggio 2025 ha enunciato il seguente principio di diritto: “In tema di imposte sui redditi, le sopravvenienze attive che derivano dal riconoscimento di un credito- o dal disconoscimento di un debito preesistente- in sede giudiziale, devono essere dichiarate nell’anno di imposta in cui la sentenza che afferma il credito o disconosce il debito è stata depositata, che costituisce il momento nel quale la posta attiva diviene certa nella sua esistenza e obiettivamente determinabile, ai sensi dell’art. 109 del D.P.R. n. 917/1986 e sempreché l’efficacia esecutiva della sentenza di condanna non sia stata nel frattempo sospesa”.
I fatti di causa
L’Agenzia delle entrate notificava a una società un avviso di accertamento con il quale, in riferimento a una condotta di dichiarazione infedele relativa all’anno di imposta 2009, recuperava a tassazione il non dichiarato, irrogando, inoltre, una sanzione amministrativa di 258 euro.
Il maggior reddito accertato veniva imputato per trasparenza (imputazione diretta in capo al socio del reddito della società e della relativa tassazione in proporzione alla propria quota di possesso ndr) ai soci delle società compartecipi nonché alla società madre.
Dal processo verbale di constatazione del 2010 emergeva che, in relazione all’anno 2007, la società non aveva dichiarato le sopravvenienze attive rappresentate dalla restituzione in suo favore di somme previamente versate a un istituto di credito, ma poi risultate riconducibili a debiti gravati da interessi a tasso anatocistico.
I soci e la società hanno impugnato l’atto impositivo innanzi alla Ctp di Lecce che ha accolto il ricorso.
Successivamente, i giudici regionali, aditi dall’Amministrazione finanziaria, hanno condannato la stessa ritenendo che la società avesse correttamente imputato la componente positiva di reddito all’anno 2010 poiché solo in quell’anno si era formato il giudicato sulla sentenza che statuiva la spettanza del credito restitutorio (principio di competenza di cui all’articolo 15 del Dpr n. 600/1973 e conseguente utilizzazione del bene da parte della società).
Avverso la pronuncia illustrata del giudice tributario di secondo grado, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per Cassazione.
La decisione della Cassazione
La Suprema corte, pronunciandosi sulla questione portata al proprio vaglio, ha preliminarmente ricostruito la cornice fattuale della pretesa impositiva in argomento.
L’omessa dichiarazione a monte della rettifica, precisano i giudici capitolini, concerne il venir meno di una precedente posta passiva della società coincidente con un debito per interesse che gravava su di essa in forza di un contratto di conto corrente bancario.
Per tale debito, la società aveva intentato un giudizio contro l’istituto di credito teso ad ottenere, dapprima, l’accertamento negativo a causa della natura anatocistica della clausola sul tasso di interessi applicata al debito e, conseguentemente, la condanna della banca alla restituzione delle somme indebitamente percepite.
Durante il susseguirsi dei vari gradi di giudizio, la società aveva regolarmente dichiarato le somme incassate il 31 ottobre 2006 (in forza della sentenza di accoglimento del Tribunale di Lecce del settembre 2006) e aveva definito con adesione la ripresa a tassazione delle somme incassate e non dichiarate nel 2007 (data in cui la banca aveva effettuato ulteriori pagamenti in forza del dispositivo della sentenza di primo grado).
Se la sopravvenienza attiva consiste nel venir meno di un costo già contabilmente rappresentato – sostiene ora la Suprema corte – ai fini fiscali, rileva il momento in cui si è acquisita la giuridica certezza dell’inesistenza della posta passiva, vale a dire quello in cui si è verificato il fatto di gestione che ha prodotto il venir meno della stessa (Cassazione n. 20608/2023).
Nel caso di specie, la sopravvenienza attiva si identifica con il disconoscimento giudiziale di un debito preesistente e, dunque, assume rilievo il momento del deposito del provvedimento in quanto la venuta ad esistenza del credito si determina per effetto del formarsi del titolo giudiziale che contiene anche la sua liquidazione.
Giova ulteriormente sottolineare che il requisito della certezza sull’esistenza delle componenti di reddito ex articolo 109 comma 1 Tuir è ancorato a criteri essenzialmente economici, tra cui non è da annoverarsi la circostanza del passaggio in giudicato della sentenza.
Da ciò deriva che, in ipotesi caratterizzate dalla venuta ad esistenza della posta attiva in conseguenza di una sentenza, è sufficiente che sia intervenuta la decisione, occorrendo, però, che non sia stata sospesa l’efficacia esecutiva della stessa così da consentirne, quantomeno in via potenziale, l’effettivo conseguimento della posta nel reddito del contribuente.
I giudici di piazza Cavour, dunque, stabiliscono che le sopravvenienze attive che derivano dal riconoscimento di un credito o dal disconoscimento di un debito preesistente, in sede giudiziale, devono essere dichiarate nell’anno di imposta in cui è stata depositata la sentenza.
Per questi motivi, la Cassazione accoglie il ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso delle società contribuenti.
Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale