
16 Giu Sopravvenienze attive: si dichiarano nell’anno di deposito della sentenza
Nel campo delle imposte sui redditi, le sopravvenienze attive che derivano dal riconoscimento di un credito o dal disconoscimento di un debito preesistente in sede giudiziale devono essere dichiarate nell’anno d’imposta in cui la sentenza è stata depositata. Il deposito, infatti, costituisce il momento in cui la posta attiva assume la “certezza nell’esistenza e obiettiva determinabilità” richiesta dal Tuir. Lo ha ribadito recentemente la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 13361 del 20 maggio 2025, che ha chiarito come il deposito della sentenza sia il fattore determinante, a condizione che l’efficacia esecutiva della sentenza di condanna non sia stata sospesa.
Il caso controverso
La controversia ha avuto origine dalla notifica, da parte dell’Agenzia, di un avviso di accertamento relativo al recupero del reddito di partecipazione di un socio, persona fisica, in una società in accomandita semplice, ai sensi dell’articolo 5 del Tuir.
Il reddito della società-madre, in particolare, era stato rettificato dall’Agenzia in seguito al rilievo dell’omessa dichiarazione di sopravvenienze attive per gli anni d’imposta 2007 e 2009, costituite da somme che essa aveva in un primo tempo corrisposto a un istituto di credito in forza di un rapporto di conto corrente, e delle quali era stata successivamente ordinata in giudizio la restituzione in quanto concernenti debiti per interessi a tasso anatocistico. Nel caso in esame, dunque, l’omessa dichiarazione riguardava il venir meno di una precedente posta passiva, rappresentata dal debito per interessi che dovevano essere corrisposti dalla società-madre in forza di un contratto di conto corrente bancario. La stessa società aveva agito in giudizio per ottenere l’accertamento negativo di tale debito, deducendo la natura anatocistica della clausola sul saggio di interesse, e chiedendo la conseguente condanna della banca alla restituzione delle somme indebitamente percepite. All’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale di Lecce aveva accolto la domanda con sentenza dell’11 ottobre 2006, in seguito alla quale la banca debitrice aveva appellato la sentenza, ottenendone la parziale sospensione con riduzione dell’efficacia esecutiva. Il giudizio di appello si era poi concluso con la sentenza della Corte territoriale di Lecce depositata il 25 giugno 2009, evidentemente esecutiva, che aveva integralmente confermato la decisione di primo grado e che nel 2010 era poi divenuta definitiva per mancata impugnazione.
Nell’ambito, invece, del giudizio tributario incardinato verso l’atto impositivo, la pretesa del contribuente ha trovato accoglimento da parte dei giudici dell’allora Ctp di Lecce e il successivo appello erariale è stato respinto.
L’Agenzia, quindi, ha proposto ricorso per cassazione, eccependo, tra l’altro, la violazione degli articoli 109, Tuir, e 2697 del codice civile, per non avere i giudici di secondo grado imputato il componente positivo al reddito per l’anno 2009, ritenendolo di pertinenza dell’anno d’imposta successivo. La sentenza d’appello del giudizio tributario, infatti, aveva rilevato che la restituzione delle somme in favore della società era stata disposta dalla Corte d’appello di Lecce con decisione divenuta definitiva nel 2010; a tale annualità, pertanto, a parere dei giudici, doveva farsi riferimento per individuare il momento di “utilizzazione del bene”, che determinerebbe il periodo d’imposta nel quale imputare a reddito le sopravvenienze.
Secondo l’Agenzia, invece, occorreva fare riferimento all’anno precedente, nel quale la sentenza era stata depositata, perché in tale momento l’importo oggetto di sopravvenienza era divenuto certo nella sua esistenza e nel suo esatto ammontare.
La decisione della Corte di Cassazione
Con la decisione in esame i giudici della suprema Corte, dopo aver ricordato che una sopravvenienza attiva dev’essere assoggettata a imposizione con riferimento all’esercizio in cui la posta attiva acquista certezza e che laddove la sopravvenienza consista nel venir meno di un costo già contabilmente rappresentato, rileva il momento in cui si è acquisita la giuridica certezza dell’inesistenza della posta passiva, vale a dire quello in cui “si è verificato il fatto di gestione che ha prodotto il venir meno» della stessa , hanno formulato il principio di diritto secondo cui «In tema di imposte sui redditi, le sopravvenienze attive che derivano dal riconoscimento di un credito – o dal disconoscimento di un debito preesistente – in sede giudiziale devono essere dichiarate nell’anno di imposta in cui la sentenza che afferma il credito o disconosce il debito è stata depositata, che costituisce il momento nel quale la posta attiva diviene certa nella sua esistenza e obiettivamente determinabile, ai sensi dell’art. 109 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e sempreché l’efficacia esecutiva della sentenza di condanna non sia stata nel frattempo sospesa”.
Brevi osservazioni
Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, una sopravvenienza attiva dev’essere assoggettata a imposizione con riferimento all’esercizio in cui la posta attiva acquista certezza (cfr Cassazione numeri 3901/2023, 24580/2022 e 1508/2020).
In linea con tale impostazione è stato poi chiarito che, laddove la sopravvenienza consista nel venir meno di un costo già contabilmente rappresentato, rileva il momento in cui è stata acquisita la giuridica certezza dell’inesistenza della posta passiva, vale a dire quello in cui “si è verificato il fatto di gestione che ha prodotto il venir meno” della stessa (cfr Cassazione n. 20608/2023).
Su tali basi, allora, nelle ipotesi in cui la sopravvenienza attiva discenda dal riconoscimento giudiziale di un credito (o dal disconoscimento di un debito preesistente, come nel caso di specie) occorre aver riguardo al momento del deposito del provvedimento. È infatti con il deposito del provvedimento giudiziale che la posta attiva, o il venir meno della posta passiva, assume una connotazione che corrisponde al canone di “certezza nell’esistenza ed obiettiva determinabilità” stabilito dall’articolo 109, comma 1, del Tuir ai fini dell’imputabilità a reddito di una componente positiva. In altri termini, la venuta a esistenza del credito si determina per effetto del formarsi del titolo giudiziale, che contiene anche la sua liquidazione.
Occorre inoltre considerare che il requisito della certezza sull’esistenza delle componenti di reddito, di cui al citato articolo 109, comma 1, del Tuir, dev’essere verificato sulla base di criteri essenzialmente economici; in particolare, la relazione illustrativa a detta ultima norma (già articolo 75 Tuir) affermava che “la ragionevole certezza circa i ricavi e i costi si verifica nel momento in cui le tecniche aziendali ritengono definitivamente formata la componente di reddito, affidando al meccanismo delle sopravvenienze attive e passive le successive, pur sempre possibili, correzioni di importo”.
In coerenza con tale impostazione, i giudici di legittimità hanno affermato che “non pare allora che debba attribuirsi efficacia incisiva alla circostanza del passaggio in giudicato della sentenza (né, in senso contrario, al fatto che l’eventuale prosieguo del contenzioso possa condurre a un diverso risultato), poiché un’eventuale modifica della decisione nei successivi gradi di giudizio realizzerebbe una sopravvenienza passiva, idonea anch’essa a concorrere alla formazione del reddito ai sensi dell’articolo 101 del TUIR”.
Da ultimo occorre considerare che possono verificarsi contesti all’interno dei quali la venuta a esistenza della sopravvenienza attiva, ancorché certa e determinata nel suo ammontare, non coincide con il suo conseguimento da parte del contribuente; e ciò in quanto la circostanza che la determina è, per sua stessa natura, soggetta all’incidenza di un fenomeno ostativo a che essa possa effettivamente concorrere a formare il reddito nell’esercizio di impresa.
In questi casi, i giudici di legittimità hanno chiarito che una sopravvenienza costituita da un rimborso di imposta non può ritenersi conseguita nel momento in cui il diritto al rimborso viene riconosciuto, ma soltanto al termine del procedimento diretto all’emissione del provvedimento di rimborso; in questo procedimento, infatti, occorre accertare l’inesistenza di debiti d’imposta del contribuente, in presenza dei quali l’ammontare del rimborso già riconosciuto potrebbe ridursi, quando non anche annullarsi (cfr Cassazione n. 13948/2008).
In conclusione, in ipotesi caratterizzate dalla venuta a esistenza della posta attiva quale conseguenza di una sentenza, è sufficiente che sia intervenuta la decisione, occorrendo tuttavia, al contempo, che l’efficacia esecutiva della stessa non sia stata sospesa, sì da consentire, quantomeno in via potenziale, l’effettivo conseguimento della posta nel reddito del contribuente.
Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale