
01 Lug Accertamento bancario legittimo anche se non indica i numeri di conto
La Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 15021/2025, ha ribadito un principio consolidato in materia di accertamenti bancari: l’assenza dei numeri di conto corrente negli avvisi di accertamento non ne inficia la validità, se il contribuente ha comunque ricevuto informazioni sufficienti per esercitare il proprio diritto di difesa.
Il fatto
Nel 2013 l’Agenzia delle entrate di Foggia, all’esito di un controllo sulla posizione di una ditta individuale in relazione agli anni di imposta del 2008 e 2009, notificava al contribuente un invito con cui richiedeva di giustificare i movimenti finanziari in entrata e in uscita in relazione a sedici conti correnti relativi a cinque istituti bancari.
In seguito al contraddittorio con la parte, venivano notificati due avvisi di accertamento con i quali si contestavano maggiori ricavi non dichiarati per diversi milioni di euro, sulla base di movimentazioni bancarie non giustificate.
Successivamente Il contribuente impugnava gli atti dinanzi alla Commissione tributaria provinciale, che accoglieva i ricorsi, ritenendo carente la motivazione degli avvisi per mancata indicazione dei numeri di conto corrente. La decisione veniva confermata in appello. L’Agenzia impugnava la sentenza di appello ricorrendo in Cassazione.
La posizione della Cassazione
Secondo i giudici di legittimità, l’assenza dei numeri di conto corrente non è sufficiente a rendere nullo l’accertamento, se il contribuente ha comunque ricevuto informazioni adeguate per comprendere la pretesa fiscale e difendersi.
Nel caso esaminato, l’Agenzia aveva fornito oltre mille pagine di documentazione, con indicazione degli istituti bancari, delle partite Iva e degli importi contestati. Inoltre, durante il contraddittorio, il contribuente aveva avuto modo di fornire giustificazioni e richiedere ulteriori documenti alle banche.
La Corte, richiamando una consolidata giurisprudenza (Cassazione n. 25321/2024) ha chiarito che non si può confondere il piano della motivazione dell’atto con quello della prova della pretesa tributaria: il primo serve a spiegare perché si procede all’accertamento, il secondo riguarda la fondatezza della pretesa nel merito.
Pertanto, per la Cassazione nel caso in esame non sussiste alcun vizio di motivazione dell’avviso di accertamento così come prospettato dai giudici di appello.
Con riferimento, poi, al piano probatorio la Corte di cassazione ha ribadito che l’Amministrazione finanziaria adempie al proprio onere probatorio producendo gli estratti conto, mentre spetta al contribuente dimostrare, in modo analitico, che le movimentazioni non sono riferibili a delle operazioni imponibili (Cassazione, n. 2928/2024; Cassazione, n. 26014/2024)
Infatti, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, si determina un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili, mentre l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto attraverso i dati e gli elementi risultanti dai predetti conti correnti.
In definitiva l’ordinanza in commento si presta a una riflessione più ampia: la legittimità di un accertamento non si misura solo sulla forma, ma sulla sostanza delle informazioni fornite.
Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale