Legittimo l’accertamento induttivo per l’agricoltore che omette i redditi

Legittimo l’accertamento induttivo per l’agricoltore che omette i redditi

L’imprenditore agricolo consegue, dall’esercizio dell’attività di allevamento
entro i limiti di cui all’articolo 32 comma 2 lettera b) del Tuir, reddito agrario determinato su base catastale, mentre oltre detti limiti, per la parte eccedente, reddito d’impresa determinato forfetariamente ex articolo 56 comma 5 del Tuir, fatta salva l’opzione per la determinazione dei redditi d’impresa con modalità ordinarie.

La Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 16902/2025, afferma che è legittimo l’accertamento induttivo, effettuato nei confronti dell’imprenditore agricolo individuale, in caso di omessa indicazione dei redditi d’impresa forfetari da allevamento (articolo 56 comma 5 del Tuir) nel quadro RD del modello REDDITI e irregolare tenuta delle scritture contabili. Infatti, non preclude l’accertamento induttivo la circostanza che all’imprenditore agricolo vanno imputati redditi d’impresa determinati su base catastale, considerato che tali redditi riguardano le sole attività agricole esercitate entro i limiti di cui all’articolo 32 comma 2 del Tuir, mentre, per la parte eccedente, anche l’imprenditore agricolo consegue redditi d’impresa.

Viene inoltre specificato che l’applicazione (salvo opzione contraria) del criterio forfetario di cui all’articolo 56 comma 5 del Tuir per l’attività di allevamento eccedente i limiti ex articolo 32 del Tuir vale per le sole ipotesi “fisiologiche”, ma non per quelle “patologiche” che legittimano l’accertamento induttivo ex articolo 39 comma 2 del Dpr n. 600/1973.

Questo, in breve, il contenuto dell’ordinanza n.16902 depositata lo scorso 24 giugno 2025.

Un contribuente ricorreva innanzi la Ctp di Agrigento, avverso un avviso di accertamento n. emesso dall’Agenzia delle Entrate.

L’atto impositivo veniva emesso sulla base di un Pvc dalla Guardia di Finanza, ove si rilevava l’omessa presentazione delle dichiarazioni di inizio attività e delle dichiarazioni annuali Irap e Iva e si accertava un maggior reddito imponibile, con conseguente omessa fatturazione di acquisti e vendite di animali e l’irregolare tenuta delle scritture contabili.

I giudici di primo grado accoglievano il ricorso annullando l’avviso.

L’Agenzia delle entrate proponeva appello, rigettato dalla Ctr della Sicilia, sulla base della seguente motivazione: “Risulta pacifico agli atti che l’attività svolta dal contribuente sia di allevamento di bovini e bufalini: ciò che è controverso e se tale attività vada tassata secondo le disposizioni sui redditi di allevamento ovvero quale reddito d’impresa.

Invero, si considera reddito agrario il reddito derivante dall’allevamento di animali su terreni agricoli, quando questi vengono nutriti con mangimi ottenuti per almeno un quarto dal terreno agricolo posseduto, tenuto conto delle quantità di mangimi ottenibili dai terreni […].
Nel caso in esame, il contribuente risultava utilizzare, per l’allevamento, terreni di proprietà – sua e della moglie – per una superficie di oltre 10,00 ettari; risulta, altresì, che la consistenza dell’allevamento era, in tutto, all’atto della verifica, di 28 capi bovini e 4 bufalini; che gli animali erano allevati al pascolo libero; che non veniva prodotto foraggio per allevamento, nutrendosi, gli animali[,] di quanto trovavano al pascolo e che solo per l’eccedenza venivano acquistati mangimi.

La documentazione contabile era, altresì, regolare.

Orbene, come controdedotto dal contribuente, la fattispecie rientra nella disciplina di cui all’art. 32, II c., lett. b) del DPR 917 del 1986 […].

La verifica del numero di animali allevati, con i coefficienti stabiliti dal decreto ministeriale, non porta ad attribuzione di una diversa categoria di attività produttiva […].”

Ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate con un motivo.

La Suprema corte, con l’ordinanza n.16902 del 24 giugno 2025, in accoglimento del gravame erariale, ha cassato con rinvio la pronuncia impugnata ad altra sezione della Cgt II grado della Sicilia.

L’Ufficio, con l’unico motivo di ricorso, ha contestato la circostanza in base alla quale il contribuente non produceva né in sede di verifica né in sede di contenzioso alcuna documentazione sulla vendita di latte e bovini, idonea a confutare quanto determinato dalla Guardia di Finanza e recepito dall’Ufficio.

Inoltre, il contribuente non ha compilato e allegato alla dichiarazione dei redditi il Quadro ‘RD’ dal quale si possa desumere l’eventuale eccedenza del limite di cui all’articolo 32, comma 2, lettera b) del Dpr n. 917/86, onde determinare la parte eccedente che concorre a formare il reddito d’impresa.

La Cassazione con due recenti pronunce (n. 16474 e n. 16475 del 2022) ha avuto modo di chiarire le modalità operative della disciplina del reddito agrario ai sensi dell’articolo 32 (già 29), comma 2, Tuir osservando che «l’attività di allevamento del bestiame non può essere ricondotta alla previsione dell’art. 29, comma secondo, lettera b) [del DPR n. 917 del 1986], e non può quindi essere considerata agricola, ma industriale o commerciale, se l’allevamento non è effettuato con mangimi ottenuti, almeno per un quarto di quelli necessari per l’alimentazione del bestiame, dai terreni dell’azienda» (Cassazione n. 3487/2014, n. 6751/2010 e n. 22582/2006).

Inoltre la Cassazione aveva già chiarito che è legittimo l’accertamento induttivo condotto, nella ricorrenza dei relativi presupposti, ai sensi dell’articolo 39, comma 2, Dpr n. 600/1973 nei confronti di chi esercita attività agricola, non essendo esso inibito dalle speciali previsioni sulla determinazione del reddito agricolo di cui all’articolo 32 (già 29), commi 1 e 2, Tuir, le quali non si configurano come l’unica regola alla cui stregua censire la redditualità generale di un tale contribuente, che invece ne fruisce nella più circoscritta area di determinazione dei soli redditi contenuti entro la soglia di operatività delle suddette speciali previsioni (Cassazione n. 34704/2019).

Nel caso di specie, i Supremi giudici hanno rilevato che la sentenza impugnata della Ctr non è conforme ai principi appena richiamati.

Essa, infatti, ha annullato “tout court” l’avviso di accertamento oggetto di giudizio, senza considerare che lo stesso trovava fondamento nell’omessa dichiarazione in sé dell’attività di allevamento di bovini e bufalini: omessa dichiarazione sicuramente legittimante – in difetto di fatture di acquisto e vendita – l’adozione della metodologia induttiva ai sensi del secondo comma dell’articolo 39 e/o dell’articolo 41 Dpr n. 600/1973, “sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a […] conoscenza [dell’Ufficio]” (cfr. ad es. Cass. n. 2581 del 2021); dati e notizie, a loro volta, con riferimento all’attività del contribuente, raccolti dai verificatori presso il servizio veterinario e l’associazione provinciale di categoria”.



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale