Se curativa, la chirurgia estetica è senza Iva, la prova al contribuente

Se curativa, la chirurgia estetica è senza Iva, la prova al contribuente

In tema di Iva, le prestazioni mediche e paramediche di chirurgia estetica si distinguono dalle prestazioni a contenuto meramente cosmetico e sono esenti da imposta (ex articolo 10, n. 18, Dpr n. 633/1972), nei limiti in cui sono finalizzate a trattare o curare persone che, a seguito di una malattia, di un trauma o di un handicap fisico congenito, subiscono disagi psico-fisici e, dunque, sono rivolte alla tutela della salute, gravando sul contribuente (e non sull’ufficio) l’onere di provare la sussistenza dei suddetti requisiti soggettivi e oggettivi. Lo ha precisato la Cassazione nell’ordinanza n. 26906 del 13 settembre.

I fatti
Con avvisi d’accertamento relativi agli anni d’imposta 2013 e 2014, l’ufficio ha recuperato, tra l’altro, l’Iva sulle prestazioni estetiche (interventi chirurgici, lipoaspirazione, exeresi borse adiposo peripalpebrali, lipofilling, ritidectomia, eccetera) effettuate da un medico chirurgo plastico e ricostruttivo. Gli avvisi traevano origine dalla verifica della Guardia di finanza, nel corso della quale erano emerse ricevute fiscali esenti da Iva, riportanti la descrizione generica di “interventi chirurgici”, in relazione a ognuna delle quali il professionista aveva dettagliatamente qualificato il tipo di intervento effettuato, specificando se si trattava di trattamento sanitario (con scopo diagnostico e curativo) oppure estetico (con scopo cosmetico). L’ufficio, recependo integralmente i rilievi della Gdf, ha recuperato l’Iva con aliquota ordinaria sulle prestazioni effettuate con finalità prettamente estetiche, ritenendo che l’esenzione da imposta fosse applicabile alle attività mediche e, soprattutto, che fosse estensibile anche alle prestazioni di chirurgia o ai trattamenti estetici, ma solo quando gli stessi, sulla base di criteri di valutazione non puramente soggettivi ma sostenuti dal giudizio professionale di personale addetto qualificato, fossero finalizzati a diagnosticare, curare o guarire malattie o problemi di salute, anche di carattere psicologico, ovvero a tutelare, mantenere o ristabilire la salute delle persone.
 
Il chirurgo ha proposto ricorso e la Commissione tributaria provinciale lo ha accolto, ritenendo che gli interventi di chirurgia plastica, da lui effettuati, rientravano nella nozione di attività sanitaria poiché doveva riconoscersi solo al medico, nel caso concreto, di valutare la necessità dell’intervento per la salute fisica e psichica del paziente, “potendo (ed è del resto nozione di comune esperienza) anche un intervento in apparenza meramente estetico assumere invece una finalità terapeutica sotto il profilo psicologico quando concorre a rimuovere particolari complessi psicologici che possono affliggere il paziente”.
La sentenza è stata confermata dalla Commissione regionale che, rigettando l’appello dell’ufficio, ha affermato che:
a) il concetto di “salute”, come quello di “malattia” non va limitato al mero fatto fisico accertabile mediante strumenti diagnostici
b) anche l’estetica di un soggetto, nella società attuale, è una componente non di poco conto dello stato di benessere fisico, sociale e mentale che integra il concetto di “salute”
c) la presenza di un difetto evidente del volto o del corpo comporta, molto spesso, senso di vergogna, diminuzione di autostima, problemi relazionali, talvolta anche comportamentali, cioè uno stato di malessere psicologico e sociale.
In particolare, secondo i giudici di appello, il confine tra l’intervento di tipo medico, prettamente sanitario a tutela della salute, e l’intervento estetico, finalizzato solamente al miglioramento dell’aspetto del soggetto, per le più varie ragioni, si presenta di difficile esame e classificazione (ad esempio gli interventi di rinoplastica, consentono di rimodellare il naso anche a fini estetici, ma spesso sono abbinati alla correzione di imperfezioni respiratorie, o gli interventi di blefaroplastica, che consentono di rimuovere il grasso in eccesso dalle palpebre superiori e inferiori, molto spesso eliminano il problema visivo delle “palpebre a tendina”; la mastoplastica riduttiva, compiuta per migliorare l’aspetto della donna, può escludere la possibilità di tumori al seno e spesso si abbina alla correzione della postura, riducendo l’aggravio a carico della colonna vertebrale ed evitandone la deformazione). Al riguardo, la Ctr ha ritenuto che tali classificazioni, provenendo dallo stesso medico chirurgo accertato, possano far venire meno la causa oggettiva o le concause dell’intervento per interesse di parte e spirito di collaborazione del professionista. Di conseguenza, in tali ipotesi, a parere del Collegio, sarebbe a carico dell’ufficio l’onere della prova per fondare il diniego dell’esenzione, non esclusa la possibilità di ricorrere a una consulenza tecnica sulla natura degli interventi effettuati ai clienti-pazienti.

L’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione, lamentando violazione degli articoli 10, Dpr n. 633/1972, e 2697 cc, poiché il giudice d’appello aveva posto a suo carico l’onere di dimostrare che le prestazioni eseguite dal contribuente non rientrassero nella nozione di “prestazioni mediche” esenti. La Corte, con l’ordinanza in esame, ha ritenuto fondato il motivo e ha affermato che “in ambito nazionale l’individuazione delle prestazioni mediche e paramediche esenti è operata dall’art. 10, n. 18), del D.P.R. n. 633 del 1972, che fa riferimento alle ‘prestazioni sanitarie di diagnosi cura e riabilitazione rese alla persona’”.

Osservazioni
I giudici di legittimità sono stati chiamati sia a valutare se, ai fini dell’esenzione da Iva, nell’accezione di “prestazioni sanitarie” (ex articolo 10, Dpr n. 633/1972), possano essere comprese anche le prestazioni estetiche, sia a individuare, nell’ufficio ovvero nel contribuente, la parte processuale gravata dell’onere della prova dei presupposti dell’esenzione.
Sul piano normativo, l’articolo 10 del Dpr n. 633/1972 stabilisce che “Sono esenti dall’imposta: (…) 18) le prestazioni sanitarie di diagnosi, cura e riabilitazione rese alla persona nell’esercizio delle professioni e arti sanitarie soggette a vigilanza, ai sensi dell’art. 99 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, e successive modificazioni, ovvero individuate con decreto del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro delle finanze; (…)”.
L’esenzione, cioè, ha come presupposto soggettivo che la prestazione sia resa nell’esercizio delle professioni e arti sanitarie soggetti a vigilanza ai sensi del Testo unico delle leggi sanitarie (cfr Cassazione, nn. 5984 e 7422 del 2001, e 4987/2003) e, come presupposto oggettivo, che la prestazione abbia natura sanitaria ovvero riguardi la salute delle persone, avendo per oggetto attività di diagnosi o di cura o di riabilitazione della persona nei confronti della quale la prestazione è resa.

Nel caso in esame è in contestazione il requisito oggettivo e cioè, che si tratti di prestazioni il cui scopo principale è quello di tutelare, mantenere o ristabilire la salute delle persone, e, nella misura possibile, la guarigione di malattie e di problemi di salute, comprendendo in tale finalità anche i trattamenti o gli esami medici a carattere profilattico eseguiti nei confronti di persone che non soffrono di alcuna malattia. I requisiti nazionali sono conformi alla disciplina unionale e al relativo l’orientamento di giurisprudenza secondo il quale:

  • le prestazioni mediche non comprendono indistintamente la generalità delle attività effettuate nell’esercizio delle professioni mediche e paramediche, (Cg Ue, C-307/2001 e 212/2001)
  • le prestazioni di servizi consistenti in operazioni di chirurgia estetica e in trattamenti di carattere estetico, rientrano nelle nozioni di “cure mediche” o di “prestazioni mediche (alla persona)” ex articolo 132, paragrafo 1, lettere b) e c), direttiva 2006/112/Ce, qualora tali prestazioni abbiano lo scopo di diagnosticare, trattare e, per quanto possibile, curare o guarire malattie o problemi di salute o di tutelare, mantenere o ristabilire la salute delle persone  (C-86/2009 e C-700/2017)
  • le “prestazioni mediche”, devono imperativamente avere una finalità terapeutica,  dal  momento che  è tale finalità che determina se una prestazione  medica  o  paramedica  debba essere esentata dall’Iva (C-48/2019 e C – 581/2019)
  • le semplici convinzioni soggettive che sorgono nella mente della persona che si sottopone a un intervento di carattere estetico in merito ad esso non sono, di per sé, determinanti ai fini della valutazione della questione se tale intervento abbia scopo terapeutico (C-91/2012)
  • le circostanze che le prestazioni siano fornite o effettuate da un appartenente al corpo medico abilitato, oppure che lo scopo di tali prestazioni sia determinato da un professionista siffatto, sono idonee a influire sulla valutazione della questione se gli interventi effettuati rientrino nelle nozioni di “cure mediche” o di “prestazioni mediche (alla persona)”, ex articolo 132, paragrafo 1, lettera b) e c), direttiva Ue 2006/112, e per valutare se le stesse prestazioni di servizi siano esenti da Iva in considerazione anche delle altre disposizioni pertinenti della direttiva (C–91/2012)
  • le esenzioni devono essere interpretate restrittivamente, dato che costituiscono una deroga al principio generale secondo il quale l’Iva è riscossa per ogni prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso da un soggetto passivo (C-141/2000 e C-384/2000).

Anche la Cassazione ha avuto modo di chiarire che, “con riguardo a prestazioni (trattamenti di diatermocoagulazione) di natura puramente estetica, anche se rese da personale infermieristico soggetto a vigilanza ai sensi dell’art. 99 del testo unico delle leggi sanitarie, va escluso il diritto all’esenzione… una volta ritenuto che i trattamenti praticati non abbiano contenuto intrinseco di prestazione sanitaria medica o paramedica…” (cfr Cassazione, nn. 19007 e 21272 del 2005, e 15740/2013).
I giudici di legittimità, inoltre, uniformandosi all’orientamento unionale, hanno affermato che “essendosi al cospetto di un’agevolazione fiscale…, l’esenzione prevista dal del D.P.R. n. 633 del 1972 art. 10 n. 18 deve essere interpretata in senso restrittivo, conformemente alla giurisprudenza unionale (Corte di giustizia, 20 novembre 2003, C-212/01), costituendo una deroga al principio generale secondo cui l’IVA è riscossa per ogni prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso dal soggetto passivo, con la conseguenza che deve intendersi riferita solo alle ‘prestazioni mediche’, ossia agli interventi diretti alla diagnosi, cura e guarigione delle malattie o dei problemi di salute, ovvero alla prevenzione della loro insorgenza” (cfr Cassazione, n. 25440/2018) e non anche alle prestazioni a contenuto meramente cosmetico (cfr Cassazione, n. 27947/2021).

Infine, con riferimento all’onere della prova, la Cassazione ha ribadito che, in tema di agevolazioni tributarie, è il contribuente che, volendo far valere una forma di esenzione o di agevolazione qualsiasi, deve provare, quando sul punto vi è contestazione, i presupposti che legittimano la richiesta dell’esenzione o dell’agevolazione (cfr Cassazione, n. 23228/2017). È evidente, quindi, l’errore in cui è incorsa la Ctr che, nel caso in esame, ha posto in prima battuta a carico dell’amministrazione finanziaria l’onere di dimostrare che gli interventi posti in essere dal contribuente non rientravano tra quelli per i quali era prevista l’esenzione da Iva.
È, invece, il medico a dover provare la destinazione del trattamento medico estetico alla cura o alla guarigione di malattie o problemi di salute o alla tutela, al mantenimento o al ristabilimento della salute delle persone.



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale