“Voluntary disclosure”? No al rimborso dell’“euroritenuta”

“Voluntary disclosure”? No al rimborso dell’“euroritenuta”

La Commissione tributaria regionale del Piemonte, con la sentenza n. 804 del 25 luglio 2022, ha chiarito che la voluntary disclosure è una procedura che termina con un atto assimilabile ad un accertamento con adesione, il cui contenuto, dunque, non è integrabile nè modificabile. Di conseguenza, chi vi aderisce e versa le imposte sui redditi esteri denunciati e non dichiarati, perde il diritto ad ottenere il rimborso dell’euroritenuta, nel caso specifico subita in Svizzera.

Una contribuente presentava all’ufficio piemontese dell’Agenzia delle entrate competente istanza di rimborso con riferimento alle “euroritenute”, relative a redditi di capitale (interessi), per un quadriennio, provenienti da conti correnti e deposito titoli detenuti in Svizzera, regolarizzati successivamente mediante adesione alla procedura di “collaborazione volontaria”, ai sensi e per gli effetti del Dl n. 167/1990.
La contribuente, in particolare, richiedeva il riconoscimento e lo scomputo delle euroritenute subite sui redditi oggetto di definizione, non riconosciute nell’ambito di tale procedura in quanto i relativi redditi non erano stati dichiarati.
A seguito del silenzio-rifiuto opposto dall’ufficio, veniva presentato ricorso avanti alla Ctp di Torino, con il quale la contribuente lamentava la violazione del divieto di doppia imposizione, previsto anche da una serie di accordi internazionali.
Nel costituirsi in giudizio, l’Agenzia rilevava, invece, che, avendo la contribuente definito gli accertamenti mediante adesione integrale al contenuto degli inviti al contraddittorio, gli atti erano ormai definitivi. Inoltre, contestava la fondatezza della richiesta in quanto il fatto che i redditi definiti non fossero stati indicati in dichiarazione escludeva il riconoscimento del credito di imposta.
La Ctp di Torino, investita della decisione, accoglieva il ricorso e l’ufficio proponeva gravame avanti alla Ctr del Piemonte.

Decisione
Nell’accogliere il gravame erariale, la Commissione regionale osserva che la giurisprudenza dello stesso Collegio piemontese ha già stabilito i principi applicabili alle richieste di rimborso in discorso (cfr Ctr Piemonte n. 884/2019 e n. 209/2020). In particolare, la citata pronuncia del 2019 ha chiarito che – sull’obbligo generalizzato di autodichiarare i redditi percepiti (e conseguente autoliquidazione delle imposte) e sull’eliminazione tendenziale delle doppie imposizioni sul medesimo cespite reddituale, il tutto, ovviamente, nel rispetto anche delle norme pattizie tra gli Stati e del principio di capacità contributiva (ex articolo 53 Costituzione) – è evidente che “unicamente in presenza del concorso del reddito prodotto all’estero alla formazione del reddito complessivo in Italia, come «addendo» degli altri redditi prodotti e dichiarati In Italia, si può beneficiare del credito d’imposta.
Quindi, in assenza di dichiarazione ab origine della presenza di un reddito prodotto all’estero, continua la Ctr, non si può invocare lo scomputo dell’euroritenuta subita – nel caso di specie in Svizzera – per nessuna delle annualità in considerazione. Difatti, lo scomputo è possibile solo nella circostanza in cui all’origine il reddito estero sia stato indicato e regolarmente dichiarato nella dichiarazione annuale dei redditi.
Di contro, chiedere e pretendere il riconoscimento di un credito d’imposta o dello scomputo di ritenute allorché, nei medesimi anni oggetto della domanda di rimborso, il contribuente abbia agito contra legem, non dichiarando il possesso di quei redditi, posseduti all’estero, è ingiustificato sotto l’aspetto giuridico-formale.

Inoltre – continua la sentenza, scrutinando il disposto della richiamata sentenza n. 209/2020 – l’articolo 165 del Tuir prevede che le imposte pagate all’estero possono essere richieste a rimborso allo Stato italiano a condizione che siano state pagate a titolo definitivo e che siano state comunicate nella dichiarazione dei redditi nel quadro RW (comma 8). E ancora, i redditi percepiti sui capitali detenuti all’estero debbono essere tassati dall’Italia, tant’è che è stata emanata una apposita norma per far emergere questa fattispecie, la legge 186/2014 con la cosiddetta «voluntary disclosure», di cui il contribuente ha usufruito pagando all’Italia quanto dovuto al proprio paese di residenza sicuramente risparmiando in termini sia di imposta sia di sanzioni. La condizione per poter richiedere il rimborso di quanto pagato in Svizzera, secondo le regole dello Stato di appartenenza, così come stabilito dalla direttiva europea è che dovevano per lo meno essere comunicati nella dichiarazione dei redditi ai fini conoscitivi, come stabilito dal comma 8 dell’art. 165 Tuir. Quindi, il contribuente usufruendo volontariamente della «voluntary dosclosure» con la liquidazione forfettaria ha aderito alla proposta dell’ufficio versando l’importo determinato beneficiando degli effetti premiali, attribuendo al provvedimento dell’Agenzia la natura di accertamento con adesione assumendone le sembianze ed il contenuto giuridico. L’accertamento con adesione non è soggetto ad impugnazione, non è integrabile o modificabile”.

In definitiva – conclude la Ctr, recependo i propri precedenti – la preclusione al rimborso delle imposte pagate in Svizzera deriva dal razionale corollario del riconosciuto accordo intervenuto sull’esattezza dell’accertamento che è un atto unilaterale a formazione indotta dal contribuente cui si aggiunge l’adesione del contribuente stesso attraverso il versamento del dovuto (cfr anche Cassazione, n. 5138/2016 e n. 10089/2009).



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale