In caso di scissione parziale, il debito fiscale ante è solidale

In caso di scissione parziale, il debito fiscale ante è solidale

Nelle scissioni parziali, si estende, solidalmente e illimitatamente a tutte le società partecipanti all’operazione, la responsabilità per i debiti fiscali riguardanti gli anni di imposta a essa antecedenti. Tale conclusione, secondo la sentenza n. 33436/2022 della Corte di cassazione, dell’11 novembre 2022, è giustificata dalla divergenza della disciplina tributaria rispetto a quella riguardante le obbligazioni civili, soggetta invece ai limiti di cui agli articoli 2506-bis, comma 2, e 2506-quater, comma 3, del codice civile.

La pronuncia richiamata ha, così, riconosciuto il giusto valore alla normativa tributaria che – in riferimento alle operazioni di scissione parziale – attribuisce una precipua tutela agli interessi erariali, prevedendo (appunto) una responsabilità, solidale e illimitata, di tutte le società partecipanti indipendentemente dalle quote di patrimonio assegnato.

L’oggetto del processo e il giudizio di merito impugnato
La Corte di cassazione veniva chiamata allo scrutinio del caso per impulso dell’Agente della riscossione, parzialmente soccombente nei due giudizi territoriali di merito, in relazione alla contestazione di una cartella notificata alla società beneficiaria, assegnataria (nell’ambito di un’operazione di scissione parziale) di una quota del patrimonio netto di altra società di capitali. La cartella di pagamento emessa riguardava l’iscrizione a ruolo, seguente il riconoscimento giudiziale della legittimità di avvisi di accertamento, notificati alla società scissa in ordine alle imposte Ires, Irpeg, Irap e Iva, relative agli anni di imposta 2002, 2003 e 2004.

I responsi di merito affermavano, sostanzialmente, la legittimità della notificazione della cartella alla coobligata, aggiungendo però la rilevanza – in capo alla società beneficiaria – dell’articolo 2506-quater cc, una volta rilevata l’assenza del debito in questione dal progetto di scissione.
Più specificamente, il competente giudice tributario d’appello, concentrandosi sulla predetta norma civilistica, finiva con il ritenere che la società beneficiaria – pur solidalmente responsabile del debito non soddisfatto della scissa e non fruente del beneficium excussionis – dovesse rispondere soltanto nei limiti del patrimonio netto assegnato, e non già dell’importo del debito a esso eccedente.

Il responso della suprema Corte
La Corte di legittimità, in seguito all’impugnazione interposta, si è mostrata di diverso avviso, richiamando un indirizzo oramai consolidato (cfr Cassazione nn. 15477/2022, 4833/2022, 3233/2021, 35591/2018 e 13059/2015).
Il giudice di ultima istanza ha affermato che “quando sia realizzata un’operazione di scissione parziale, la responsabilità per i debiti fiscali riguardanti gli anni di imposta ad essa antecedenti, prevista dall’ art. 173, comma 13, d.P.R. n. 917 del 1986, e confermata, quanto alle somme dovute per violazioni tributarie, dall’ art. 15, comma 2, d.lgs. n. 472 del 1997, diverge da quella riguardante le obbligazioni civili, soggetta invece ai limiti di cui agli artt. 2506-bis, comma 2, e 2506-quater, comma 3, c.c., in quanto, fermi gli obblighi erariali in capo alla scissa e alla designata, si estende non solo solidalmente ma anche illimitatamente a tutte le società partecipanti all’operazione, indipendentemente dalle quote di patrimonio assegnato con detta operazione, senza che tale differente trattamento sia costituzionalmente illegittimo, siccome rispondente all’esigenza di un’agevole riscossione dei tributi nel rispetto del principio costituzionale di pareggio del bilancio e a criteri di adeguatezza e di proporzionalità, come affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 90 del 2018”.

La sentenza in esame ha precisato che la diversità di trattamento fra obbligazioni civilistiche e obbligazioni tributarie, nell’ipotesi di scissione, è da ricondursi alla specialità dei crediti tributari e all’esigenza di conseguire l’equilibrio di bilancio, rispettando i parametri europei del debito pubblico. Di conseguenza, detta specialità giustifica, in caso di scissione societaria, una disciplina differenziata, secondo un canone di adeguatezza e proporzionalità, affinché l’amministrazione finanziaria non. subisca pregiudizio dall’operazione di scissione (cfr Corte Costituzionale n. 90/2018).

Ma le precisazioni della Corte non si sono fermate qui.
Il Collegio di piazza Cavour ha, infatti, rappresentato che considerazioni analoghe valgono in tema di Iva; al riguardo, la pronuncia n. 33436/2022 ha argomentato espressamente che “a dispetto della previsione di cui al comma 12 dell’art. 16 della legge n. 537/93, che si occupa solo della «scissione totale», non deve distinguersi tra società beneficiarie a seconda che la scissione sia totale o parziale, ottenendosi, altrimenti, il risultato di riconoscere una tutela meno ampia al fisco proprio per un tributo armonizzato, com’è l’IVA, che drena risorse dell’Unione, mentre la disciplina tributaria, «in luogo di mantenere integre le garanzie del fisco, creditore della scissa, le accresce rispetto a quelle dei creditori della scissa apprestate dal codice civile e le accresce sia in relazione alle imposte dirette, sia all’iva, sia alla disciplina sanzionatoria» (Cass. n. 15477 del 2022 e altra giurisprudenza ivi citata)”.



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale