Se il contribuente non dimostra l’assenza di novità, integrativo ok

Se il contribuente non dimostra l’assenza di novità, integrativo ok

La Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria, con la sentenza n. 3792 del 6 dicembre 2022, ha chiarito che l’Agenzia delle entrate può legittimamente emettere un avviso di accertamento integrativo, qualora basato sulla sopravvenuta conoscenza di indici di ricchezza imponibile, che erano ignoti all’ufficio all’epoca dell’avviso originario. Per inibire la successiva attività erariale è, però, il contribuente che deve provare che l’Agenzia fosse già a conoscenza dei nuovi elementi.

Al centro della controversia vi era un avviso di accertamento, emesso nel 2017 da un ufficio dell’Agenzia delle entrate di Cosenza, per Ires, Irap e Iva, a carico di una società, relativo all’annualità 2011. Nell’atto, si rilevava che, nel 2008, la contribuente aveva dichiarato al fisco una certa plusvalenza, esercitando l’opzione di rateizzare in cinque anni il pagamento del tributo, senza, però, poi portare a tassazione la rata del 2011.

Dopo un primo grado sfavorevole alla contribuente, la stessa proponeva appello alla Corte di giustizia tributaria della Calabria.
Nel proprio ricorso, la compagine, dopo aver premesso che, per la stessa annualità e per le stesse imposte, aveva già ricevuto nel 2015 un precedente avviso accertamento, argomentava in relazione alla presunta violazione dell’articolo 41, del Dpr n. 600/1973, secondo cui “fino alla scadenza del termine stabilito nei commi precedenti, l’accertamento può essere integrato o modificato in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi da parte dell’Agenzia delle entrate. Nell’avviso devono essere specificamente indicati, a pena di nullità, i nuovi elementi e gli atti o fatti attraverso i quali sono venuti a conoscenza dell’ufficio delle imposte”.

Ebbene, secondo la società, la facoltà di integrare o modificare un precedente accertamento sarebbe stata subordinata alla sussistenza di dati connotati da novità, i quali dovevano essere non soltanto non conosciuti, ma anche non conoscibili dall’amministrazione al momento del precedente accertamento, essendole inibito di valutare differentemente, in un secondo momento, dati e documenti già a disposizione, come ritenuto nel caso in questione.

La decisione
Il Collegio calabrese d’appello – nel rigettare l’appello della società – premette che, secondo la giurisprudenza di legittimità, l’Agenzia delle entrate può validamente emettere un avviso di accertamento integrativo, se fondato sulla sopravvenuta conoscenza di indici di ricchezza imponibile, che le erano ignoti all’epoca dell’avviso originario.
Nel caso concreto, mancava la prova che l’ufficio, al momento dell’emissione del primo avviso, fosse a conoscenza dei nuovi elementi, prova che doveva essere fornita dal contribuente.
Al contrario, per la mancata conoscenza, militava, secondo la Corte, il fatto che l’oggetto dei due avvisi fosse radicalmente diverso.

In particolare, con il precedente avviso di accertamento del 2015, era stato ripreso a tassazione il reddito di locazione percepito e non dichiarato dalla società nel 2011 mentre, con l’avviso oggetto del processo in esame, era stato ripreso a tassazione il rateo di competenza 2011 della plusvalenza dichiarata nel 2008.

Conclusioni
Ricordiamo che, con l’accertamento integrativo, all’amministrazione finanziaria è consentito integrare il proprio precedente atto impositivo, nell’ambito di un processo a formazione progressiva, fondato sul reperimento di nuovi elementi.
In tali ipotesi, non si determina una sostituzione dell’atto originario, come avviene nel caso dell’autotutela sostitutiva, ma un’integrazione dello stesso, attesa la sopravvenienza di nuovi indici di ricchezza che, in sede di emissione del precedente avviso, non erano conosciuti o conoscibili al fisco.

Quanto a quest’ultimo aspetto, la Corte di cassazione ha avuto modo di specificare che “… l’amministrazione può emettere un avviso di accertamento integrativo sulla base della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, non della semplice rivalutazione o del maggiore approfondimento di dati probatori già interamente noti all’ufficio al momento dell’emissione dell’avviso originario” (cfr Cassazione, pronuncia n..29723/2020).
Si deve, quindi, trattare di elementi propriamente nuovi: la circostanza che questi non lo siano, in assenza di evidenze di senso contrario, dovrà necessariamente essere eccepita dal contribuente.



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale