L’accertamento è legittimo, anche se prima c’è stata un’adesione

L’accertamento è legittimo, anche se prima c’è stata un’adesione

La definizione in adesione non esclude l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice dell’Agenzia. In particolare quando successivamente all’accordo emergono nuovi elementi prima sconosciuti, come, nel caso, le verifiche fatte in un secondo momento dalla Guardia di finanza sui conti bancari della società accertata.

La controversia portata all’attenzione dei supremi giudici prende le mosse dal ricorso proposto, per l’appunto, in Cassazione dall’Agenzia delle entrate avverso una sentenza della Ctr Toscana, la quale aveva, a sua volta, non condiviso l’appello dell’ufficio contro una pronuncia di primo grado che aveva accolto gli originari ricorsi di una srl riguardanti due avvisi di accertamento emessi per gli anni 2005 e 2006.

In sintesi, i giudici di secondo grado osservavano che:

  • essendo state le annualità in contestazione previamente definite con accertamenti con adesione, non sussistevano i presupposti per emettere gli atti impositivi impugnati
  • che, a ogni modo, le movimentazioni bancarie poste a base degli atti impositivi non erano riconducibili alla società contribuente.

L’ufficio, come detto, ha impugnato la seconda pronuncia, affidando il ricorso per cassazione su tre motivi, in conseguenza dei quali la società ha resistito con controricorso.

La Cassazione con ordinanza n. 10817 del 24 aprile 2023 ha accolto i primi due motivi di impugnazione e, assorbito il terzo, ha rinviato la controversia ad altra sezione della Ctr Toscana in diversa composizione.
Disattese le preliminari eccezioni di inammissibilità e di improcedibilità del ricorso sollevate dalla controricorrente, in tema di notifica del ricorso per cassazione, in applicazione del generale principio di raggiungimento dello scopo ai sensi dell’articolo 156, comma 3, cpc (cfr sentenza Cassazione n. 18402/2018), i giudici di legittimità hanno accolto il primo motivo di ricorso dell’ufficio, con il quale lamentava la violazione/falsa applicazione degli articoli 2 del Dlgs n. 218/997, 43 del Dpr n. 600/1973 e 57 del Dpr n. 633/1972, poiché la Ctr Toscana ha affermato che gli avvisi di accertamento impugnati non potevano essere emessi non sussistendone i presupposti giuridici in considerazione della previa definizione delle annualità contestate mediante accertamento con adesione.

Nel testo applicabile ratione temporis l’articolo 2, comma 4, del Dlgs n. 218/1997, prevede che: “la definizione non esclude l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice entro/termini previsti dall’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29.9.1973, n. 600, relativo all’accertamento delle imposte sui redditi, e dall’articolo 57 del decreto del Presidente della Repubblica 26.10.1972, n. 633, riguardante l’imposta sul valore aggiunto: a) se sopravviene la conoscenza di nuovi elementi, in base ai quali è possibile accertare un maggior reddito, superiore al cinquanta per cento del reddito definito e comunque non inferiore a centocinquanta milioni di lire; b) se la definizione riguarda accertamenti parziali; c) se la definizione riguarda i redditi derivanti da partecipazione nelle società o nelle associazioni indicate nell’articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22.12.1986, n. 917, ovvero in aziende coniugali non gestite in forma societaria; d) se l’azione accertatrice è esercitata nei confronti delle società o associazioni o dell’azienda coniugale di cui alla lettera c), alle quali partecipa il contribuente nei cui riguardi è intervenuta la definizione”.

Nel caso in esame risulta il fatto che, dopo la prima fase della verifica generale avviata nei confronti della società, si perfezionava un accertamento con adesione; ma successivamente, in esito a ulteriori verifiche fatte dalla Guardia di finanza presso istituti bancari, l’Agenzia delle entrate ha emesso gli avvisi di accertamento oggetto del presente giudizio.

Anche il secondo motivo di impugnazione dell’Erario (violazione/falsa applicazione degli articoli 32, del Dpr n. 600/1973 e 2697, cc), poiché la Ctr ha affermato l’irrilevanza probatoria delle movimentazioni bancarie poste a base degli atti impositivi impugnati, è stato ritenuto fondato dalla Cassazione.
Sul punto, la Corte ribadisce il consolidato orientamento di legittimità per cui “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’art. 32, del DPR n. 600 del 1973 prevede una presunzione legale in base alla quale sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi ed a fronte della quale il contribuente, in mancanza di espresso divieto normativo e per il principio di libertà dei mezzi di prova, può fornire la prova contraria anche attraverso presunzioni semplici, da sottoporre comunque ad attenta verifica da parte del giudice, il quale è tenuto ad individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purché grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative” (cfr ordinanza Cassazione n. 11102/2017).

Nel caso di specie, la sentenza di seconde cure ha omesso, secondo la Cassazione, ogni verifica, in concreto, sia della riferibilità dei versamenti alla società sia delle giustificazioni date dalla medesima, limitandosi alla generica affermazione che “in presenza di incertezza sulla riferibilità alla società degli elementi probatori stante il difetto in atti di delibera circa il vantato conferimento di finanziamento dei soci la Commissione Tributaria Regionale ritiene corretto il percorso logico della sentenza di primo grado”.

In conclusione e alla luce delle argomentazioni, in fatto e in diritto enunciate, possono ricavarsi i seguenti principi di diritto dalla vicenda in commento:
– “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, costituiscono dati la cui sopravvenuta conoscenza consente l’integrazione o la modificazione dell’avviso di accertamento, ai sensi dell’art. 43, comma 3, del DPR n. 600 del 1973, anche quelli noti ad un ufficio fiscale, ma non ancora in possesso di quello che ha emesso l’atto al momento dell’adozione dello stesso, senza che rilevi in senso contrario né l’art. 33 del medesimo decreto, che pone solo un dovere di reciproca collaborazione tra uffici finanziari e Guardia di finanza, né la circostanza che sia stato effettuato un primo accertamento parziale, in quanto si tratta di uno strumento volto a favorire la sollecita emersione della materia imponibile, che non preclude, pertanto, l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice, anche ove definito con adesione
– “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, costituiscono dati la cui sopravvenuta conoscenza legittima l’integrazione o la modificazione in aumento dell’avviso di accertamento, mediante notificazione di nuovi avvisi, ai sensi dell’art. 43, comma 3, del DPR 29.9.1973, n. 600 (e art. 57, del DPR 26.10.1972, n. 633), anche i dati conosciuti da un ufficio fiscale, ma non ancora in possesso di quello che ha emesso l’avviso di accertamento Numero sezionale [Omissis] al momento dell’adozione di esso” (cfr ordinanza Cassazione n. 1542/2018).



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale