Registro: la clausola penale è atto con imposta autonoma

Registro: la clausola penale è atto con imposta autonoma

La clausola penale, contenuta nell’atto di compravendita, deve essere assoggettata all’imposta di registro in misura autonoma, in quanto disposizione non necessariamente connessa al negozio principale. È quanto ha affermato, accogliendo le tesi dell’Amministrazione finanziaria, la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Udine, con la sentenza n. 58 del 31 marzo 2023.
Infatti, “se un atto contiene più disposizioni che non derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, ciascuna di esse è soggetta ad imposta come se fosse un atto distinto” (articolo 21, comma 1, del Dpr n. 131/1986).

Nel caso in esame, in un atto di compravendita, era stata inserita una clausola penale in base alla quale le parti avevano pattuito il pagamento di un indennizzo in caso di ritardo nella consegna dell’immobile. A giudizio dei magistrati tributari tale clausola deve, dunque, essere assoggettata all’imposta di registro in misura autonoma.

La vicenda e il ricorso in primo grado
Due contribuenti realizzavano un’operazione di compravendita immobiliare, inserendo nel relativo contratto una clausola penale, che prevedeva un indennizzo giornaliero qualora vi fosse stato un ritardo nella consegna dell’immobile.
Al momento della registrazione e autoliquidazione del contratto, il notaio che lo ha redatto non riteneva di dover assoggettare a tassazione una tale clausola penale posta in essere dalle parti, sottoponendo a tassazione solo il complessivo atto di compravendita.
In sede di controllo dell’atto, l’ufficio dell’Agenzia delle entrate emetteva un avviso di liquidazione, ritenendo che la predetta clausola penale, non essendo necessariamente connessa al negozio principale, andasse tassata con l’imposta di registro in misura fissa (articoli 21, comma 1, e 27 del Dpr n. 131/1986, il Testo unico dell’imposta di registro).

Secondo l’Amministrazione finanziaria, dunque, quella in questione non era una clausola che, per sua natura, derivava necessariamente dalla compravendita in sé stessa, ma era una previsione pattiziamente aggiunta dalle parti allo scopo di produrre ulteriori e distinti effetti giuridici, costituenti espressione di autonoma capacità contributiva e che, quindi, doveva essere assoggettata ad autonoma imposizione. Con il citato avviso di liquidazione venivano, quindi, recuperate a tassazione l’imposta di registro in misura fissa pari a 200 euro, nonché l’imposta di bollo (ex articolo 1-bis, Dm del 22 febbraio 2007).

Avverso tale determinazione, il notaio, quale sostituto d’imposta, presentava all’ufficio apposita istanza di reclamo/mediazione, chiedendo l’annullamento dell’avviso di liquidazione in quanto, a suo giudizio, il complessivo contratto di compravendita andava tassato una sola volta e per tutte le sue clausole, senza che alcune di esse dovessero scontare una tassazione specifica.

L’ufficio, ritenendo corretto il proprio operato, comunicava al professionista che l’istanza di reclamo/mediazione non poteva trovare accoglimento e così quest’ultimo decideva di ricorrere in giudizio dinanzi alla competente Corte di giustizia tributaria di primo grado.

Le norme in questione e la decisione dei giudici friulani  
Chiamati a pronunciarsi sulla questione, i giudici tributari di primo grado di Udine hanno rigettato il ricorso del professionista, confermando la correttezza dell’operato dell’Amministrazione finanziaria.
La disciplina fiscale applicabile a un atto che contiene più disposizioni, hanno infatti chiarito i giudici friulani, è contenuta nell’articolo 21 del Dpr n. 131/1986. Tale norma, difatti, prevede, al primo comma, che “se un atto contiene più disposizioni che non derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, ciascuna di esse è soggetta ad imposta come se fosse un atto distinto“, per poi proseguire, al secondo comma, affermando che “se le disposizioni contenute nell’atto derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, l’imposta si applica come se l’atto contenesse la sola disposizione che dà luogo all’imposizione più onerosa”.

A giudizio dei magistrati tributari, la clausola penale di cui all’articolo 1382 del codice civile, è negozio autonomo, la cui causa concreta consiste nell’attuazione di uno scopo pratico diverso e ulteriore rispetto al negozio cui accede. È dunque un patto accessorio del contratto, posto in essere dalle parti per consolidare il vincolo contrattuale, con la doppia funzione di rafforzare l’adempimento e predeterminare la misura del risarcimento per l’eventuale inadempimento o ritardato adempimento.

Negli stessi termini, hanno tenuto a precisare i magistrati friulani, si è pronunciata in più occasioni la Corte di cassazione (cfr Cassazione, ordinanza n. 10046/2018), affermando che “la clausola penale ha una causa distinta da quella del contratto cui afferisce, rispetto al quale assume una sua rilevanza contrattuale autonoma, anche se collegata e complementare”.
Essendo, dunque, negozio autonomo, la clausola penale deve essere soggetta ad autonoma tassazione in misura fissa, ai sensi dell’articolo 21, comma 1, del Testo unico dell’imposta di registro.
Inoltre, la clausola penale altro non è che una pattuizione sospensivamente condizionata al verificarsi di un evento, rappresentato dall’inadempimento o dal ritardato adempimento dell’obbligazione posta a carico di una parte. E, come atto condizionatamente sospeso, soggiace anche all’applicazione dell’articolo 27 del Dpr n. 131/1986, il quale prevede che gli atti sottoposti a condizione sospensiva siano registrati con il pagamento dell’imposta in misura fissa.

Per queste motivazioni, dunque, la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Udine ha statuito, respingendo il ricorso del notaio e avallando le tesi dell’ufficio finanziario, che la clausola penale contenuta nell’atto di compravendita, rientrando nella richiamata disciplina contenuta nel Testo unico dell’imposta di registro, sconta l’applicazione di un Registro in misura fissa al momento della registrazione del contratto.



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale