Il tempo per chiedere il rimborso scorre dall’ora del versamento errato

Il tempo per chiedere il rimborso scorre dall’ora del versamento errato

La vicenda controversa ha preso le mosse dal pensionamento, avvenuto nel 2001, di un contribuente, il quale percepiva dal proprio Fondo cassa un importo, a titolo di prestazioni di previdenza complementare maturato al 31 dicembre 2000, sul quale veniva operata la ritenuta del 28,48 per cento. Vicende successive portavano poi l’ufficio al ricalcolo del dovuto e, in relazione ai redditi soggetti a tassazione separata dichiarati nel 2002, richiedeva il versamento di un saldo Irpef.

Il contribuente presentava, allora, istanza di rimborso della somma 12.154,26 euro, dipendente dall’applicazione dell’aliquota del 28,48% sull’intero ammontare del credito previdenziale maturato, somma corrispondente al capitale versato dalle parti (datore di lavoro e lavoratore) nonché il riconoscimento degli interessi maturati. Diversamente, secondo il lavoratore, su quanto corrisposto a titolo di interessi, pari a 42.676,45 euro, non avrebbe dovuto essere applicata alcuna ulteriore imposizione all’atto dell’erogazione, in quanto le somme erano già state tassate alla fonte.

L’ufficio opponeva il proprio silenzio-rifiuto il quale veniva impugnato dinanzi la Ctp di Roma, la quale riteneva – in via preliminare – tempestiva l’istanza di rimborso, respingendo l’eccezione erariale e, nel merito, accoglieva la domanda subordinata proposta dal contribuente e affermava che doveva riconoscersi il diritto dell’istante a ottenere la tassazione sulla “componente interessi” nella misura ridotta del 12,50 per cento.
Quindi, proponeva appello alla citata pronuncia e il contribuente spiegava, a sua volta, ricorso incidentale rinnovando la richiesta di esclusione da ogni ulteriore tassazione delle somme corrispostegli in ragione degli interessi maturati. La Ctr del Lazio rigettava sia l’appello principale sia quello incidentale e confermava la decisione di primo grado.

L’Amministrazione finanziaria ha interposto ricorso per cassazione, affidando l’impugnativa a quattro motivi di doglianza.
La suprema Corte, con l’ordinanza n. 15980 del 7 giugno scorso, ha accolto il ricorso dell’Agenzia e, decidendo nel merito, ha rigettato l’originaria impugnazione del contribuente.
I giudici di legittimità, all’esito della disamina delle posizioni assunte dalle parti in causa, hanno ritenuto meritevole di accoglimento il primo motivo di impugnazione – assorbiti i restanti – con il quale l’ufficio aveva lamentato la violazione o falsa applicazione dell’articolo 38, secondo comma, del Dpr n. 602/1973, in combinato disposto con l’articolo 21, comma 1, del Dlgs n. 546/1992, per avere la Ctr erroneamente ritenuto che il contribuente non fosse decaduto dalla facoltà di domandare il rimborso richiesto.

Sul punto, la Ctr osserva sinteticamente, che “in particolare giustamente il primo giudice ha considerato che il termine di decadenza del diritto al rimborso debba nel caso di specie, decorrere dal momento della ricezione da parte del contribuente dell’avviso bonario per l’applicazione della tassazione separata”. Il giudice dell’appello, però, non spiega per quale ragione abbia ritenuto corretta la valutazione operata dai giudici di primo grado.

La valutazione richiesta alla Corte di legittimità assumeva contorni di puro diritto in base al quale, nel caso concreto, l’ufficio evidenzia che lo stesso contribuente, nella sua istanza di rimborso, affermava che “dai conteggi relativi alla posizione chiusa al 31/12/2000, l’imponibile Irpef ammontava a Euro 75.187,28 sul quale è stata applicata una trattenuta Irpef del 28,48% pari a Euro 21.413,34”; di conseguenza “il diritto al rimborso della ritenuta indebitamente operata sarebbe da ritenersi venuto ad esistenza fin dalla data in cui è stata operata la medesima ritenuta, ossia fin dal 2002; il termine perentorio di quarantotto mesi di cui all’art. 38, II comma, del D.P.R. n. 602 del 1973 deve farsi decorrere dalla data del versamento: un eventuale differimento del dies a quo può ammettersi, sulla scorta del disposto del nominato art. 21, comma 1, secondo periodo del D.Lgs. n. 546 del 1992, unicamente nel caso in cui il diritto ad ottenere il rimborso si fondi su un presupposto venuto ad esistenza in un momento successivo, così che il rimborso non avrebbe potuto essere domandato prima di quel momento”.

Ebbene, il fatto che l’Amministrazione finanziaria abbia notificato al contribuente un “prospetto esaustivo dei conteggi effettuati”, non nega la circostanza che le trattenute, in ordine alle quali il rimborso è stato richiesto, fossero state effettuate, si assume indebitamente, ben più di quarantotto mesi prima che l’istanza di rimborso venisse presentata.

Sul punto, la Corte di cassazione, ha semplicemente richiamato l’ampia e consolidata giurisprudenza in base alla quale “il termine di decadenza per la presentazione dell’istanza di rimborso delle imposte sui redditi, previsto dall’art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973, decorre dal giorno dei singoli versamenti in acconto, nel caso in cui questi, già all’atto della loro effettuazione, risultino parzialmente o totalmente non dovuti, sussistendo, in questa ipotesi, l’interesse e la possibilità di richiedere il rimborso sin da tale momento, a nulla rilevando la successiva riliquidazione dell’imposta complessivamente dovuta. (Nella specie, la S.C., in applicazione del principio, ha cassato la decisione impugnata, ritenendo che il termine per l’istanza di rimborso decorresse, nell’ipotesi di effettuazione di una ritenuta da parte del sostituto d’imposta, da detto momento e non da quello in cui sia stato ricalcolato l’ammontare dell’imposta dovuta con l’evidenziazione del saldo a credito del contribuente)” (cfr  Cassazione, pronuncia n. 2533/2018).



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale