Erronea qualificazione del reddito? Valido il versamento della ritenuta

Erronea qualificazione del reddito? Valido il versamento della ritenuta

Il contribuente che impugna il rigetto dell’istanza di rimborso deve allegare e provare gli elementi costitutivi della pretesa, ovvero che la diversa qualificazione delle somme percepite avrebbe comportato un’imposizione fiscale minore.
È quanto ha sancito la Cassazione con l’ordinanza 18644 del 3 luglio 2023, con cui è stato rigettato il ricorso di alcuni contribuenti.

La vicenda processuale e la pronuncia della Cassazione
Rigettato il ricorso dei contribuenti, ex soci di una società, avverso il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di ripetizione della ritenuta subita sulle somme corrisposte dalla società a seguito del loro recesso. La società, dopo aver deliberato l’annullamento di tutte le azioni proprie detenute in portafoglio, aveva richiesto ai due ex soci, limitatamente alla parte di azioni acquistate dalla stessa e successivamente annullate, la provvista per il versamento della ritenuta d’acconto sulle somme liquidate, ritenendo che il reddito conseguito in ragione del rimborso andasse qualificato come reddito di capitale; i soci, dopo aver eseguito in via cautelativa il pagamento, chiedevano la restituzione di quanto versato all’erario con istanza rimasta inevasa e sulla quale si formava il silenzio-rifiuto. Secondo i ricorrenti era erronea la qualificazione del reddito come reddito di capitale anziché quale reddito diverso.
Tuttavia, la Cassazione ha precisato che, in tema di rimborso delle imposte sul reddito, il contribuente che impugni il rigetto dell’istanza riveste la qualità di attore in senso sostanziale; di conseguenza grava su di lui l’onere di allegare e provare gli elementi costitutivi della pretesa (Cassazione n. 17580/2022 e n. 31626/2018)
Pertanto, al fine di considerare indebito il versamento eseguito dal sostituto d’imposta, non è sufficiente la mera allegazione dell’erronea qualificazione del reddito da parte di quest’ultimo. Occorre, invece, la prova che la corretta qualificazione avrebbe escluso l’imposizione fiscale o comportato un’imposizione fiscale meno gravosa; cosa non avvenuta nel caso in esame, in cui i ricorrenti non hanno in alcun modo dimostrato che la diversa qualificazione delle somme percepite – reddito diverso anziché reddito di capitale – avrebbe comportato a loro carico un’imposizione fiscale meno gravosa.

Ulteriori osservazioni
In tema di rimborsi, spetta al contribuente che avanza l’istanza di rimborso di un tributo, l’onere di allegare e di provare i fatti ai quali la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato nella domanda e che le argomentazioni con le quali l’ufficio nega la sussistenza dei fatti, o la qualificazione ad essi attribuita dal contribuente, costituiscono mere difese, come tali non soggette ad alcuna preclusione processuale, salvo la formazione del giudicato interno o – dove in concreto ne ricorrono i presupposti – l’applicazione del principio di non contestazione.
Al riguardo è opportuno segnalare l’orientamento espresso, in tema di Iva, dalla Corte suprema in numerose pronunce secondo cui tale onere probatorio non può essere adempiuto “con la mera esposizione della pretesa restitutoria nella dichiarazione presentata … giacché il credito fiscale non nasce da questa, bensì dal meccanismo fisiologico di applicazione del tributo previsto dalla legge” (Cassazione, sentenze n. 8998/2014, n. 23042/2015 e n. 18427/2012).
In ordine agli aspetti processuali, “le argomentazioni con cui l’Ufficio nega la sussistenza di detti fatti, o la qualificazione ad essi attribuita dal contribuente, costituiscono mere difese, come tali non soggette ad alcuna preclusione processuale, salva la formazione del giudicato interno”, in ossequio alla disciplina contenuta nell’articolo 57 del Dlgs 546/1992.
Si definiscono, in genere, mere difese quelle fondate sulla deduzione di nuove argomentazioni giuridiche o sulla richiesta di applicazione di norme diverse da quelle invocate in giudizio. Secondo la Corte suprema sono “mere difese” quelle “dirette a sollecitare il rilievo d’ufficio da parte del giudice, della inesistenza dei fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio (Cassazione,  15546/2004, con riferimento alla posizione del contribuente), ovvero, specularmente, in quanto volte alla mera contestazione, da parte dell’Amministrazione, delle censure mosse dal contribuente all’atto impugnato con il ricorso ed alle quali rimane circoscritta la indagine rimessa al giudice” (sentenza n. 13331/2016).



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale