Istanza rimborso, il rifiuto in toto frena l’ipotesi di non contestazione

Istanza rimborso, il rifiuto in toto frena l’ipotesi di non contestazione

Con la decisione n. 28233 dello scorso 9 ottobre, la Corte di cassazione torna a fare chiarezza sui limiti operativi delle impugnazioni proposte avverso i provvedimenti negatori, adottati dall’ufficio, a fronte di istanze di rimborso, anche in relazione al principio processuale di non contestazione dei fatti e delle prove dedotte a giudizio.

Nel dettaglio i giudici di legittimità affermano, che qualora “si controverta su una domanda di rimborso del contribuente, quest’ultimo riveste la qualità di attore in senso non soltanto formale – come nei giudizi di impugnazione di un atto impositivo – ma anche sostanziale”. In relazione, poi, all’ambito applicativo del principio di non contestazione gli stessi giudici ritengono che “non può operare nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria neghi in radice l’esistenza del credito, sicché il difetto di specifica contestazione dei conteggi funzionali alla quantificazione del credito oggetto della pretesa del contribuente può avere rilievo solo quando si riferisca a fatti non incompatibili con le ragioni della contestazione dell’an debeatur”. Questo perché il principio di non contestazione opera sul piano della prova e non contrasta, né supera, il diverso principio per cui la mancata presa di posizione sul tema introdotto dal contribuente non restringe il thema decidendum ai soli motivi contestati, se sia stato chiesto il rigetto dell’intera domanda. Né, a tal fine, può valere il richiamo alla dichiarazione sostitutiva di atto notorio che, parimenti, non può assurgere a fonte di prova.

La questione
La controversia in commento origina dalla presentazione di un ricorso, da parte di una contribuente, avverso il silenzio rifiuto opposto dall’Agenzia a una istanza di rimborso presentata per ottenere la restituzione di somme versate a titolo di Irpef, Ilor e contributo al Ssn, al fine di definire in maniera automatica la propria posizione fiscale, a seguito del sisma siciliano del 1990, nell’ambito della disciplina prevista dall’articolo 9, comma 17, legge n. 289/2002.
La contribuente allegava al ricorso l’stanza di rimborso, unitamente ad alcuni articoli di stampa e a copie di sentenze di legittimità. I giudici tributari del primo grado del giudizio rigettavano l’impugnazione per carenza probatoria, in ordine alla prova degli avvenuti versamenti delle somme chieste a rimborso.
Quindi, la contribuente proponeva appello avverso la decisione di primo grado, lamentando che le prove di versamento risultavano dai dati risultanti dall’anagrafe tributaria. Costituitosi l’ufficio, i giudici del gravame accoglievano l’appello ritenendo adempiuto l’onere probatorio da parte della contribuente, alla luce di quanto prodotto nel corso del primo grado di giudizio e per nulla aver eccepito a contrariis l’ufficio.

La decisione della Cassazione
I giudici di legittimità, con la pronuncia in esame, ribaltano la sentenza del secondo grado accogliendo uno dei motivi di impugnazione proposto dall’Agenzia. Nel dettaglio, affermano chiaramente che “quando si controverta su una domanda di rimborso del contribuente, quest’ultimo riveste la qualità di attore in senso non soltanto formale – come nei giudizi di impugnazione di un atto impositivo – ma anche sostanziale. Ciò significa, in primo luogo, che l’onere di allegare e provare i fatti ai quali la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato in domanda grava sul contribuente; secondariamente, che le argomentazioni con le quali l’Ufficio nega la sussistenza di detti fatti o contesta che i medesimi siano qualificabili giuridicamente nei termini proposti dal contribuente, costituiscono “mere difese”, come tali non soggette ad alcuna preclusione processuale, salva l’ipotesi del formarsi di un giudicato interno o, ricorrendone i presupposti, l’applicazione del principio di non contestazione. Con riferimento a tale ultimo principio, certamente applicabile anche nel processo tributario, è stato chiarito, proprio in relazione ad una fattispecie similare, che esso non può operare nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria neghi in radice l’esistenza del credito, sicché il difetto di specifica contestazione dei conteggi funzionali alla quantificazione del credito oggetto della pretesa del contribuente può avere rilievo solo quando si riferisca a fatti non incompatibili con le ragioni della contestazione dell’an debeatur. Invero, il principio di non contestazione opera sul piano della prova e non contrasta, né supera, il diverso principio per cui la mancata presa di posizione sul tema introdotto dal contribuente non restringe il thema decidendum ai soli motivi contestati se sia stato chiesto il rigetto dell’intera domanda. Né a tal fine può valere il richiamo alla dichiarazione sostitutiva di atto notorio che, parimenti, non può assurgere a fonte di prova”.

Brevi considerazioni
Il principio di non contestazione contenuto nell’articolo 115 cpc è applicabile – per consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità – anche al processo tributario, pur se con alcuni limiti e all’interno di determinati principi connessi alla specialità del contenzioso tributario.
Il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti, nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita; pertanto una circostanza dedotta da una parte può ritenersi pacifica – in difetto di una norma o di un principio che vincoli alla contestazione specifica – se essa sia esplicitamente ammessa dalla controparte o se questa, pur non contestandola in modo specifico, abbia improntato la difesa su circostanze o argomentazioni incompatibili con il suo disconoscimento (cfr Cassazione, nn. 10397/2011 e 9439/2022).
Le conseguenze processuali, che derivano dall’applicazione del principio di non contestazione, si riferiscono, però, solo ai fatti sia storici che processuali, e in particolare, alle prove sui fatti, non alle prospettazioni in diritto formulate dalle parti processuali.
Ora, ai sensi dell’articolo 19, comma 1, lettera g) del Dlgs n. 546/1992, è impugnabile il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie e interessi o altri accessori non dovuti. La formulazione tecnica della norma mira a conferire, al silenzio dell’Amministrazione per novanta giorni dalla domanda di restituzione, il valore di provvedimento negativo autonomamente impugnabile, venendo così ad attribuire a tale inerzia un significato tipico.

Nella decisione in commento e a parere dei giudici, il difetto di specifica contestazione dei conteggi funzionali alla quantificazione del credito oggetto della pretesa attorea da parte dell’Agenzia convenuta, che si è limitata a negare in radice l’esistenza di tale credito, può avere rilievo solo quando si riferisca a fatti non incompatibili con le ragioni della contestazione sull’an debeatur. Ne discende, che operando il principio di non contestazione sul piano della prova, esso non elide l’operatività dell’altro principio – operante sul piano dell’allegazione e collegato alla specialità del contenzioso tributario – secondo cui la mancata presa di posizione dell’ufficio sui motivi di opposizione alla pretesa impositiva svolti dal contribuente in linea di subordine non equivale ad ammissione delle affermazioni che tali motivi sostanziano, né determina il restringimento dell’oggetto del contendere ai soli motivi contestati: in altri termini, la richiesta di rigetto dell’intera domanda del contribuente consente all’Agenzia di scegliere le diverse argomentazioni difensive, da opporre alle domande subordinate avversarie, allorché le questioni dedotte in principalità siano state rigettate.
Pertanto, in tema di contenzioso tributario il contribuente che impugna il silenzio rifiuto su di un’istanza di rimborso d’imposta, deve dimostrare, in punto di fatto, che non sussiste alcuna delle ipotesi che legittimano il rifiuto, mentre l’Amministrazione finanziaria può difendersi senza alcun vincolo a una specifica motivazione di rigetto, sì che le eventuali incongruenze del ricorso introduttivo possono legittimamente essere eccepite dall’ufficio anche in grado di appello a prescindere dalla preclusione posta dall’articolo 57 del Dlgs n. 546/1992, trattandosi comunque di rilievi pur sempre attinenti all’originario tema del decidere e cioè la sussistenza o meno dei presupposti idonei a legittimare il rifiuto del richiesto rimborso.



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale