Se la lite per la società è in corso e per il socio no, non c’è condono

Se la lite per la società è in corso e per il socio no, non c’è condono

La pendenza della lite nei confronti della società, nonostante la connessione tra le due cause, rende inapplicabile la richiesta di condono per il socio, essendo la posizione di quest’ultimo divenuta definitiva con sentenza ormai passata in giudicato. Lo conferma la Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 26771 del 18 settembre 2023.

La questione controversa, portata al vaglio dei supremi giudici, scaturisce dalla notifica di un avviso d’accertamento, ai fini Irpef, a un contribuente persona fisica, nella qualità di socio di una Srl già Sas, collegato a un altro accertamento, ai fini Ilor, emesso nei confronti della richiamata società.
In seguito alla notifica, il contribuente proponeva istanza di condono (ex articolo 16, legge n. 289/2002). L’ufficio comunicava la carenza del presupposto della pendenza della lite ai fini della definizione della lite medesima con i benefici ivi previsti, a causa di un precedente contenzioso già definito con sentenza depositata nel 1999.
Tale ultima pronuncia, nonostante il suo passaggio in giudicato per omessa tempestiva impugnazione, statuiva che “il reddito di partecipazione ai fini IRPEF per l’anno 1991 imputabile ai soci venga determinato in relazione a quello che sarà deciso in forma associata”.

Per l’Agenzia delle entrate a nulla rilevava il contenuto della sentenza “per relationem” nei confronti del procedimento verso la società (quest’ultimo ancora pendente), in quanto la posizione del socio, di cui si chiedeva la definizione agevolata, era, per l’appunto, divenuta definitiva per passaggio in giudicato della sentenza, non ricorrendo pertanto il requisito della pendenza della lite come richiesto dalla normativa di riferimento.

Il contribuente proponeva ricorso, che la Ctp accoglieva, ritenendo che la decisione della causa per il socio era subordinata all’esito della vicenda processuale relativa alla società; pertanto, la lite avrebbe dovuto assumersi pendente in senso sostanziale e non formale a nulla rilevando il passaggio in giudicato della sentenza in capo al socio.
 
Avverso tale ultima decisione proponeva appello l’ufficio, deducendo la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 16, comma 3, della legge n. 289/2002, in quanto i giudici di primo grado, dopo avere riconosciuto che la sentenza relativa al socio era passata in giudicato al momento dell’entrata in vigore della legge, aveva tuttavia ritenuto illegittimo il diniego opposto.
La Ctr rigettava l’appello erariale, richiamando la propria giurisprudenza in controversie analoghe e ribadendo che la pendenza della lite, ai sensi dell’articolo 16 della legge n. 289/2002 “deve intendersi in senso sostanziale, coprendo non solo i casi in cui la specifica vicenda processuale non sia ancora esaurita, ma anche quelli in cui, pur a fronte di una formale definizione della vicenda processuale, l’esito sostanziale della stessa sia ancora “in fieri”, in ragione delle peculiarità della pronuncia emanata dal giudice mediante un rinvio ad altra questione ancora formalmente pendente”.
Pertanto, “la mancata impugnazione delle sentenze relative alla posizione dei soci non ha avuto l’effetto di definire la lite, quanto meno ai sensi e per gli effetti previsti dall’art. 16 L. n. 289/2002 non essendo ancora determinato l’effettivo ammontare dell’imposta che il singolo socio avrebbe dovuto pagare e avendo la sentenza collegato “in modo inscindibile l’esito dell’accertamento nei confronti del singolo socio all’esito dell’accertamento nei confronti della società, quando questo fosse divenuto definitivo”.

Avverso tale ultima statuizione l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a un unico motivo.
I giudici di legittimità, con l’ordinanza n. 26771 del 18 settembre 2023, hanno accolto il ricorso e, decidendo nel merito, hanno rigettato l’originaria impugnativa del contribuente.
In via preliminare, la Cassazione ha disatteso l’eccezione di parte di inammissibilità del gravame dell’Agenzia; eccezione fondata su una presunta formazione di giudicato esterno sostanziale sulla medesima fattispecie. Sul punto, è stato ribadito che il giudicato esterno, la cui ratio è la stabilità dei rapporti (cfr Cassazione, sezioni unite, n. 226/2001) e la risoluzione o prevenzione delle liti consiste nell’autorità di giudicato che una sentenza produce in un altro processo (ex articolo 2909 cc) per questioni identiche che riguardino gli stessi soggetti; è stato escluso (cfr Cassazione, sezioni unite, n. 13916/2006) che il giudicato relativo a un singolo periodo d’imposta sia idoneo a fare stato per i successivi in via generalizzata, in quanto non a ogni statuizione della sentenza può riconoscersi tale idoneità.

Nel merito, l’Agenzia, con unico motivo, deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 16, comma 3, lettera a), della legge n. 289/2002, per avere la Ctr ritenuto erroneamente che il diritto della parte all’accesso al condono non fosse precluso, perché la pendenza della lite fiscale sarebbe da intendersi in senso sostanziale, coprendo non solo i casi in cui la specifica vicenda non sia ancora esaurita, ma anche quelli in cui, pur a fronte di una formale definizione della vicenda processuale, l’esito sostanziale non sia ancora in fieri mediante un rinvio ad altra questione ancora formalmente pendente.
Il più volte citato articolo 16 specifica, quale presupposto per la definizione agevolata, la circostanza che alla data del 29 settembre 2002 non sia intervenuta una sentenza passata in giudicato della controversia tributaria di cui si chiede la definizione.
Nel caso concreto, la controversia instaurata dal socio si era conclusa con la sentenza della Ctp del 1999 la quale, non essendo stata impugnata tempestivamente nei termini di legge, era passata in giudicato.
Ciò appare sufficiente a escludere la pendenza della lite.
Né possono ritenersi autorevoli le vicende relative alla posizione del socio, sul quale con sentenza passata in giudicato, la Ctr ha statuito che il reddito di partecipazione ai fini Irpef, per l’anno 1991 a egli imputabile, vada determinato in relazione a quello che sarebbe poi stato deciso per la società.

In base all’orientamento consolidato della Cassazione, nell’ipotesi in cui la vicenda processuale del socio risulti decisa essa fa stato a ogni effetto fra le parti.
La pendenza della lite nei confronti della società, nonostante la connessione tra le due cause, rende inapplicabile la richiesta di condono per il socio, essendo la posizione di quest’ultimo divenuta definitiva con sentenza ormai passata in giudicato (cfr Cassazione n. 643/2015).
Inoltre, in tema di condono fiscale, gli avvisi di accertamento emessi nei confronti della società e quelli conseguenziali nei confronti dei soci mantengono una propria autonomia e il principio secondo cui il condono fiscale ottenuto dalla società non estende automaticamente i propri effetti ai singoli soci, nei confronti dei quali l’Amministrazione finanziaria conserva il potere di procedere ad accertamento, e che devono, pertanto, presentare autonoma istanza per potersi avvalere del  beneficio (cfr Cassazione nn. 12214/2010, 7134/2014, 757/2002, 4281/2001, 14392/2001, 13186/2000 e 8597/2006).

L’applicabilità di detti principi al caso in esame porta a concludere che la modalità di estinzione della lite pendente (articolo 16, legge n. 289/2002) della quale si è avvalsa la società non risulta contrastata dalla statuizione del giudicato.
Pertanto, non sussiste alcuna preclusione all’esercizio del potere-dovere di accertamento dell’Amministrazione finanziaria, la quale non è tenuta ad adeguare il reddito da partecipazione dei soci, che abbiano scelto di non avvalersi di tale istituto, a quello – ricalcolato in base al condono – della società (cfr Cassazione nn. 14858/2016 e 7134/2014).



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