Diniego alla transazione fiscale: la competenza è del giudice ordinario

Diniego alla transazione fiscale: la competenza è del giudice ordinario

Le controversie relative all’impugnazione del diniego di transazione fiscale spettano, anche con riguardo al periodo anteriore all’entrata in vigore del Dlgs n. 14/2019, alla giurisdizione ordinaria del tribunale fallimentare, considerata l’obbligatorietà di tali proposte nell’ambito delle procedure nelle quali sono consentite e in ragione della prevalenza dell’interesse concorsuale su quello tributario.

La Corte di cassazione, con la sentenza n. 34865 del 13 dicembre 2023, ha ribadito, anche in riferimento alla disciplina antecedente a quella attuale, la giurisdizione del giudice ordinario in ordine alle controversie relative al diniego di transazione fiscale.
Nella vicenda in discussione, l’Agenzia delle entrate ricorreva avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, la quale ne aveva rigettato l’appello, ritenendo che nel caso, come quello in esame, di impugnazione del diniego di transazione fiscale nell’ambito di una procedura di concordato preventivo sussistesse la giurisdizione del giudice tributario.
L’Agenzia, per quanto di interesse, denunciava la violazione del Rd n. 267/1942, articoli 182-bis e ter, avendo la Ctr erroneamente escluso la natura negoziale della transazione fiscale e la sua efficacia nell’ambito del concordato preventivo, nel quale si inseriva un accordo di ristrutturazione dei debiti.

L’Amministrazione rilevava, inoltre, che la Commissione tributaria regionale avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il ricorso, non costituendo la transazione fiscale espressione della potestà impositiva, ma inserendosi nell’ambito del concordato preventivo e potendo, pertanto, essere impugnata con i rimedi giurisdizionali previsti dalla legge fallimentare. L’esame della controversia doveva, quindi, essere rimessa al Tribunale ordinario, sezione fallimentare.
Secondo la Corte suprema, le censure erano fondate.

Evidenziano i giudici di legittimità che, dopo la proposizione del ricorso, le sezioni unite si erano già pronunciate sulla questione, enunciando il seguente principio di diritto: “Le controversie relative al mancato assenso dell’agenzia fiscale alle proposte di trattamento dei crediti tributari regolate dalla L.Fall., art. 182 – ter, spettano, anche con riguardo al periodo anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 14 del 2019, alla giurisdizione ordinaria del tribunale fallimentare, considerata l’obbligatorietà di tali proposte nell’ambito delle procedure nelle quali sono consentite ed in ragione, altresì, del disposto della L.Fall., artt. 180, 182 – bis e 182 – ter, nel testo modificato dal citato D.Lgs. n. 14 del 2019 e dal D.L. n. 125 del 2020, da cui si evince la prevalenza, con riferimento all’istituto in esame, dell’interesse concorsuale su quello tributario, senza che assuma rilievo, invece, la natura giuridica delle obbligazioni oggetto dei menzionati crediti” (Cassazione, sezioni unite, n. 8504/2021).

La decisione è stata poi ripresa anche dalla decisione della Cassazione, sezioni unite, n. 35954/2021, che ha ribadito, con riferimento alla condotta dell’Amministrazione fiscale rispetto alla proposta transazione fiscale originata all’interno di una proposta di concordato preventivo, che, mancando la natura provvedimentale della scelta va individuata la giurisdizione del Tribunale fallimentare, essendo appunto in discussione la mera manifestazione di volontà di uno dei creditori sulla transazione fiscale, sulle quali è funzionalmente competente a decidere detto organo giurisdizionale.
In sostanza, prevale la ratio concorsuale su quella fiscale, nel senso che questo “incidente tributario” è essenzialmente finalizzato alla definizione concordataria o di ristrutturazione debitoria della crisi di impresa.

Le sezioni unite hanno, quindi, ritenuto “la natura ancillare del procedimento di transazione fiscale e delle questioni che lì si pongono (fra le quali i pareri sullo stesso resi dai creditori) rispetto a quello fallimentare”, individuando il giudice ordinario come competente per le controversie concernenti il diniego di parere favorevole dell’Agenzia delle entrate, e questo ancor più a seguito della disciplina sopravvenuta, introdotta dal Dl n. 125/2020 in tema di omologazione in caso di mancata adesione, non applicabile alla vicenda in esame, tesa a “valorizzare la prevalente/assorbente finalità concorsuale dell’accordo transattivo e quindi del suo mancato raggiungimento a causa del dissenso opposto dall’Ente impositore” (cfr Cassazione, sezioni unite, n. 8504/2021).

Tali principi erano applicabili anche alla transazione fiscale in esame, regolata dalla legge fallimentare, che si muoveva, dunque, in un perimetro prevalentemente concorsuale, diversamente dalla transazione fiscale regolata dal Dl n. 138/2002, ex articolo3, comma 3, che apparteneva, invece, alla giurisdizione del giudice tributario, avendo come oggetto una procedura di definizione dei ruoli posta nella fase di esecuzione dei carichi fiscali (cfr Cassazione, sezioni unte, n. 25632/2016).

Tanto premesso, giova anche evidenziare quanto segue.
A tale conclusione le sezioni unite sono pervenute non soltanto sulla base della normativa sopravvenuta, come introdotta con il Dl n. 125/2020, ma più in generale in ragione della ritenuta natura “concorsuale” del procedimento, ricostruita sulla base del quadro normativo applicabile all’istituto anche nella vigenza anteriore al nuovo codice della crisi di impresa.

Il suddetto orientamento non ha, dunque, inteso riconoscere l’applicabilità retroattiva della disciplina in tema di omologazione del concordato preventivo anche in caso di parere contrario dell’Amministrazione fiscale. Ma ha ravvisato, nella disposizione richiamata, soltanto un’ulteriore manifestazione dell’intento del legislatore di concentrare innanzi al Tribunale fallimentare la cognizione delle questioni che gravitano attorno alle procedure della transazione fiscale e del concordato preventivo, all’interno delle quali si collocano pienamente anche quelle relative alle manifestazioni di voto, da qualunque creditore espresse, sulla proposta di transazione fiscale.

La prima forma di “transazione fiscale”, si ricorda, era stata introdotta nell’ordinamento con l’articolo 3, comma 3, Dl n. 138/2002, con una previsione normativa limitata, riferendosi la stessa solo ai tributi erariali iscritti a ruolo, la cui ratio aveva, dunque, quale presupposto sostanziale, l’accertamento della convenienza rispetto alla riscossione coattiva.
Questa prima forma di transazione fiscale, più specificamente denominata in dottrina e nella prassi come “transazione sui ruoli”, era confinata nell’ambito dell’esecuzione esattoriale e, quindi, nell’ambito tributario, senza alcun riferimento diretto alle esecuzioni concorsuali ordinarie.
Con il Dlgs. 5/2006, contenente una riforma organica della legge fallimentare del 1942, il legislatore ha poi introdotto il vero e proprio istituto della transazione fiscale, collocandolo all’interno della disciplina delle procedure concorsuali.
Un nuovo, ben più ampio e speciale, modulo di attuazione “consensuale” dei tributi, seguito poi da ulteriori interventi normativi, che hanno portato all’assetto attuale, accentuando ancor più tali profili, e collocando chiaramente l’istituto in esame all’interno delle procedure concorsuali.



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale