Expat, per i benefici fiscali tassativi i due anni all’estero

Expat, per i benefici fiscali tassativi i due anni all’estero

Al fine di accedere ai benefici previsti dalla legge n. 238/2010 e dal decreto ministeriale 3 giugno 2011, sul rientro dei cervelli, il requisito della residenza all’estero per svolgere attività lavorativa post lauream o attività di studio conseguendo un titolo accademico, deve necessariamente essere integrato da quello per cui siffatta permanenza deve protrarsi per almeno ventiquattro mesi.
E’ quanto ha stabilito, in tema di incentivi fiscali per il rientro dei lavoratori in Italia, la quinta Sezione della Corte di cassazione, con la sentenza n. 36016 del 27 dicembre 2023, accogliendo le tesi dell’amministrazione finanziaria e cassando la decisione dei giudici tributari di secondo grado.

Il caso di specie e il giudizio di merito
Una contribuente, che aveva trascorso un periodo di studio e lavoro all’estero, conseguendone un formale attestato, faceva domanda di rimborso ai fini Irpef ai sensi della legge n. 238/2010 e del decreto ministeriale 3 giugno 2011 che dettano una disciplina fiscale di favore al fine di incoraggiare il rientro in Italia dei soggetti espatriati.
L’Amministrazione finanziaria emetteva un provvedimento di diniego in relazione all’istanza presentata in quanto alla contribuente mancava il requisito della permanenza biennale all’estero per ragioni di studio e lavoro.
Avverso tale determinazione, la cittadina proponeva ricorso di primo grado dinanzi alla competente Corte di giustizia tributaria che lo respingeva dando ragione al Fisco.
La contribuente proponeva, così, appello innanzi ai giudici tributari di secondo grado e questa volta si vedeva dar ragione con la Corte di giustizia che annullava la decisione di primo grado.
L’Agenzia delle entrate decideva, quindi, di ricorrere in ultima istanza dinanzi la Corte di cassazione lamentando la violazione degli articoli 1 e 2  della legge n. 238/2010, e dell’articolo 1 del dm 3 giugno 2011, in quanto, a suo parere, il requisito della residenza all’estero per svolgere attività lavorativa post lauream o attività di studio conseguendo un titolo accademico, doveva necessariamente essere integrato da quello per cui siffatta permanenza doveva necessariamente protrarsi per almeno ventiquattro mesi, circostanza, quest’ultima, che non si era verificata nella caso di specie riguardante la contribuente.

La legge n. 238/2010 e il Dm 3 giugno 2011, benefici e beneficiari
La legge 30 dicembre 2010, n. 238 propone di contribuire allo sviluppo del Paese mediante la valorizzazione delle esperienze umane, culturali e professionali maturate dai cittadini che, dopo aver studiato, lavorato o conseguito una specializzazione post lauream all’estero decidono di fare rientro in Italia.
A tale fine, è prevista e regolamentata la concessione di incentivi fiscali riguardanti l’imposta sul reddito delle persone fisiche sotto forma di parziale imponibilità del reddito derivante dalle attività di lavoro dipendente, autonomo o d’impresa avviate in Italia da soggetti in possesso di determinati requisiti.
Con decreto del ministro dell’Economia e delle Finanze del 3 giugno 2011 sono state individuate le categorie dei soggetti beneficiari degli incentivi e, con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate del 29 luglio 2011, n. 97156, sono state definite le modalità di richiesta dei benefici fiscali da parte dei lavoratori dipendenti rientrati in Italia, nonché gli adempimenti conseguenti a cura del datore di lavoro. Infine, con la circolare n. 14/2012 sono stati forniti chiarimenti sull’applicazione delle richiamate disposizioni.

In particolare, per quanto concerne i soggetti beneficiari la disciplina prevede che questi siano coloro che, in possesso di un titolo di laurea, hanno risieduto continuativamente per almeno 24 mesi in Italia e negli ultimi due anni o più, hanno risieduto fuori dal proprio Paese d’origine e dall’Italia svolgendovi continuativamente un’attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o d’impresa o conseguendovi un titolo di laurea o una specializzazione post lauream. Per poter beneficiare delle agevolazioni previste, detti soggetti devono essere assunti o avviare un’attività di impresa o di lavoro autonomo in Italia e devono trasferire la propria residenza e il proprio domicilio in Italia entro tre mesi dall’assunzione o dall’avvio dell’attività stessa.

Per quanto riguarda gli incentivi fiscali previsti dalla normativa, l’articolo 3, comma 1, della legge prevede che i redditi di lavoro dipendente, i redditi d’impresa e i redditi di lavoro autonomo percepiti dalle persone fisiche di cui all’articolo 2 (soggetti beneficiari) concorrono alla formazione della base imponibile ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche in misura ridotta, e precisamente al 20 per cento per le lavoratrici e al 30 per cento per i lavoratori. I redditi agevolati sono comunque determinati secondo le ordinarie disposizioni del Tuir previste per ciascuna categoria di reddito.
E’ prevista, infine, una specifica ipotesi di decadenza per cui il beneficiario degli incentivi fiscali di cui all’articolo 3 decade dal diritto agli stessi se trasferisce nuovamente la propria residenza o il proprio domicilio fuori dell’Italia prima del decorso di cinque anni dalla data della prima fruizione del beneficio ed in tal caso si provvede al recupero dei benefici già fruiti, con applicazione delle relative sanzioni e interessi.

La decisione della Corte di cassazione
Chiamati a pronunciarsi definitivamente sulla questione, i giudici di legittimità hanno dato ragione al Fisco, ritenendo fondato il ricorso proposto.
I magistrati di Piazza Cavour hanno, infatti, evidenziato come ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera b), della legge n. 238/2010 e dell’articolo 1, comma 1, lettera c) del decreto ministeriale 3 giugno 2011, le agevolazioni fiscali previste dalla normativa ora richiamata spettino esclusivamente a quei lavoratori che negli ultimi due anni o più hanno risieduto fuori dal proprio Paese d’origine e dall’Italia svolgendovi continuativamente un’attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o d’impresa nonché a coloro che negli ultimi due anni o più hanno risieduto fuori dal proprio Paese d’origine e dall’Italia conseguendovi un titolo di laurea o una specializzazione post lauream.
Dunque, hanno chiarito i Supremi giudici, la normativa in materia disciplina due distinte ipotesi meritevoli di usufruire della tassazione agevolata, ed in particolare quelle riguardanti:

  • i soggetti che hanno maturato un’esperienza lavorativa significativa, per la quale il legislatore ha ritenuto di fissare una soglia minima presuntiva della meritevolezza indicata nella misura temporale di ventiquattro mesi, con la conseguenza che un’esperienza lavorativa protrattasi al di sotto di tale soglia non permette la concessione dei benefici
  • i soggetti che hanno risieduto all’estero per due anni conseguendovi un titolo di laurea o una specializzazione. Sul punto, la richiamata circolare n. 14/2012 dell’Agenzia delle entrate ha precisato che il requisito dell’attività di studio va autonomamente considerato, ritenendolo comunque soddisfatto da coloro che abbiano svolto un corso di studi della durata minima di due anni accademici.
  • Ma proprio perché il requisito dell’attività di studio va autonomamente considerato, i giudici di Cassazione hanno sottolineato come lo stesso non possa ritenersi, da solo, bastevole alla concessione dei benefici fiscali. Una considerazione cumulativa delle due esperienze, ciascuna in sè non provvista del requisito temporale idoneo a renderla “significativa” agli effetti di legge, non è infatti in grado di aprire le porte alla tassazione agevolata.

Dunque, unitamente al conseguimento del titolo di studio deve esservi l’immancabile requisito del biennio di residenza all’estero, che non può identificarsi con la durata di due anni accademici, bensì con due anni temporali da calendario, cioè ventiquattro mesi, dato che nessuna interpretazione della norma può portare a ritenere sufficiente il riferimento esclusivo all’anno accademico.
Per tutto quanto sopra ora visto, la Corte di cassazione, definitivamente pronunciandosi sulla controversia, ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle entrate e cassato la decisione dei giudici tributari di secondo grado favorevole alla contribuente, condannando la stessa al pagamento delle spese processuali.



Fonte: https://www.fiscooggi.it/ Vai all’articolo originale